Politik | Prospettive

Ops! Mi è scappato uno statuto

La SVP del giovane Achammer e di Arno Kompatscher è davvero disposta a rinunciare all'esclusiva sulla riscrittura dello statuto di autonomia?

Lavori in corso attorno allo statuto di autonomia. A quasi mezzo secolo di distanza dalla seconda edizione sembra prendere consistenza l'ipotesi di sottoporre la 'Magna Charta' altoatesina ad una manutenzione straordinaria. Consegnata a un incerto futuro l'ipotesi della famosa Convenzione, attorno alla quale riunire tutti i soggetti del mondo politico e sociale dell'Alto Adige, prende corpo invece la possibilità di trasformare, e sarebbe la prima volta, il consiglio provinciale in una sorta di costituente a tempo determinato.

Uno sguardo al recente passato permette tuttavia di guardare a questi sviluppi con fondata perplessità.

Dal secondo dopoguerra a oggi tutta la trattativa politica tra Bolzano, Roma e Vienna sulle questioni fondamentale dell'autonomia è avvenuta nel rigoroso rispetto di alcuni precetti fondamentali.

Il primo: a trattare, in nome e per conto delle minoranze tedesca e ladina, è sempre stata unicamente la Suedtiroler Volkspartei. Il partito della stella alpina ha difeso con le unghie e con i denti questa titolarità sia nei confronti dei tentativi di destabilizzazione compiuti da Roma almeno fino agli anni 60, sia rispetto ai tentativi di concorrenza, portati avanti nel tempo dai numerosi partiti, sorti alla sua destra e alla sua sinistra. Nella stessa maniera dal tavolo del confronto sono sempre stati esclusi i rappresentanti del mondo politico italiano, anche di quello dotato di impeccabili credenziali autonomiste. Non traggano in inganno le varie iniziative, cosiddetti tavoli per l'autonomia, varate in tempi più o meno recenti. Quelle promosse da Bettino Craxi, Romano Prodi, Bobo Maroni, Gianclaudio Bressa, non sono state nulla di più che consultazioni formali, giri d'orizzonte. Le trattative vere e proprie si sono sempre compiute altrove e, preferibilmente, nel riserbo ovattato di qualche ufficio ministeriale.

Irremovibile nell'escludere dal tavolo di trattativa ogni altro soggetto politico locale, la SVP ha sempre mostrato un accomodante realismo nell'accertare come controparte qualunque tipo di interlocutore. Gli 'amici' Moro e Andreotti possono esser stati gli interlocutori preferiti, ma ci si è seduti tranquillamente al tavolo anche con i governi Berlusconi che includevano i post- fascisti di alleanza nazionale. Proprio con un governo di centro-destra è stato concluso, tanto per fare un esempio, il famoso Accordo di Milano, pietra miliare della cosiddetta autonomia dinamica.

Nel corso dei decenni, ovviamente, è cambiato invece il tipo di rapporti con cui la trattativa per l'autonomia si è sviluppata. Fino alla fine degli anni '50 a parlare con Roma sono soprattutto i parlamentari della neonata SVP. Poi con l'ascesa del nuovo astro politico di Silvius Magnago tutto inizia a ruotare attorno ai vertici del partito e, per decenni interi, è l'Obmann a condurre la danza, a fissare i paletti della trattativa, discutendone direttamente con i presidenti del consiglio o, dalla fine degli anni '80 in poi, con i ministri per gli affari regionali, cui è demandata la questione. Dal varo del nuovo statuto e sino alla chiusura della controversia nel 1992, a queste trattative di alto livello si somma il lavoro di messa a punto delle varie norme di attuazione compiuto nell'ambito della commissione dei sei.  Anche qui sono i rappresentanti politici della Volkspartei e solo loro a misurarsi con i funzionari dell'amministrazione statale. Non tragga in inganno il ruolo del presidente Alcide Berloffa che la SVP accetta e sostiene come fondamentale elemento di raccordo con il governo e non certo come rappresentante del mondo politico italiano dell'Alto Adige.

Dal '92 in poi la chiusura della vertenza e la fine della prima Repubblica sconvolgono l'intero panorama politico. L'era Magnago è terminata, la commissione dei sei, pur mantenuta in vita, diviene sempre più elemento del tutto secondario e tornano in auge i parlamentari della stella alpina che si muovono con discrezione e spregiudicatezza tra Camera e Senato, sfruttando con abilità i nuovi e incerti equilibri che di volta in volta caratterizzano l'assetto politico nazionale. Un assalto alla diligenza che ha dato sicuramente frutti copiosi (il famoso 'limone spremuto' evocato dall'onorevole Brugger in un congresso del partito), ma che, nell'ultimo decennio in particolare, ha creato anche qualche problema a causa del sovrapporsi di iniziative tra gli onorevoli e il vulcanico presidente della giunta provinciale.

Questa, ad oggi la situazione.

Se così stanno le cose occorre chiedersi se la SVP del giovane Achammer e di Arno Kompatscher sia davvero disposta a rinunciare all'esclusiva gelosamente rivendicata per decenni e delegare realmente a un'ipotetica Convenzione o più probabilmente a un consiglio provinciale, nel quale tra l'altro non ha più la maggioranza assoluta, il compito di riscrivere in parte almeno, lo statuto di autonomia, o se quello che viene apparecchiato non sia altro che l'ennesimo tavolo, attorno al quale si parla molto e non si decide nulla.

In quest'ultimo caso tutto continuerà come prima, ma se invece per il resto del mondo politico altoatesino l'occasione di entrare finalmente in gioco fosse concreta e attuale, il panorama che si presenta è tutt'altro che confortante. La destra sudtirolese ha ormai sposato la redditizia utopia del 'Los von Italien', il centrodestra italiano ha quasi completato un complesso progetto di autodistruzione e, per quanto riguarda, infine, il centro sinistra autonomista, gli unici flebili segnali di vita arrivano dalla galassia verde. Per il resto silenzio e scaramucce personalistiche.