Politik | Guerra e pace

Jabbar: “Il futuro è condivisione”

Il sociologo iracheno indica la necessità di un pluralismo tout court. Intanto gli USA tornano a bombardare l'Iraq e salgono a 800 i migranti annegati nel Mediterraneo.

“Davanti a voi, con il volere di Dio, ci sono giorni come quelli dei tempi di Al Zarqawi e saranno seguiti da conquiste come quelle di Abu Omar al-Baghdadi. Monitorate gli obiettivi e reimpostate i piani, imbottite le auto, fabbricate le cinture esplosive, sperimentate i silenziatori, perfezionate gli ordigni, rafforzate le braccia, stringete la cinghia, digrignate i denti, scrutate negli occhi. Fate vedere la vostra ferocia, senza sorridere, e colpite con determinazione”.

Si apriva con questo estratto dall’ultimo video messaggio di minaccia dell’Isis (l’organizzazione sunnita estremista fra le più violente in circolazione) la prima puntata di Piazza Pulita ieri, 15 settembre, su La7. Affermazioni, queste, che non fanno che incancrenire i faticosi processi di tolleranza religiosa, inscatolandoci nei nostri feudi in nome di quell’isolazionismo che fa deperire ogni forma di diplomazia e progresso. Il risultato è una serie di effetti a cascata che diventa, prevedibilmente, sempre più complicato arginare: nemmeno i bigini dell’Islam hanno più facoltà di insegnare che la religione di Maometto non è quell’arma letale che i soverchianti islamisti dogmatici brandiscono con orgoglio cieco. Eppure – con ogni probabilità - è così che verrà digerita dalla Storia.

Nel frattempo Barack Obama promette appoggio militare e logistico al governo di Baghdad: in accordo con la linea politica offensiva del Pentagono che apre una nuova fase delle operazioni contro i jihadisti, i caccia americani hanno colpito una postazione dei ribelli sunniti dell’autoproclamato Stato Islamico (l’Isis, appunto) in una zona a sud-ovest della capitale. Piena solidarietà anche dal presidente francese Hollande: “La lotta degli iracheni contro il terrorismo è anche la nostra lotta – aveva detto ieri il Primo ministro rivolgendosi ai paesi occidentali e arabi durante il vertice sulla sicurezza in Iraq a Parigi - dobbiamo impegnarci in modo chiaro, lealmente e con forza al fianco delle autorità irachene. Non c’è tempo da perdere”. Uno scenario tutt’altro che confortante che si va ad allineare alla strage dei naufragi al largo di Malta prima e della Libia poi; negli ultimi cinque giorni sono annegati 800 migranti, “Una crisi umanitaria senza precedenti” come l’ha definita l’Unhcr, l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu.

Chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia, scriveva lo scrittore e saggista Karl Kraus. Per riprendere fiato, riflettere e trovare – se possibile – le parole giuste. Ci provano nel loro piccolo i promotori della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico che, con un comunicato congiunto, tentano di ricucire lo strappo fra le due comunità religiose, e più ampiamente fra Occidente e Oriente, denunciando le attuali, deplorevoli, logiche di guerra: “Insieme dichiariamo che la fuga dalla guerra e dal terrore di migliaia di cristiani, musulmani e di altre minoranze etniche e religiose dal Medio Oriente, oltre che provocare lo sgretolamento del tessuto sociale di questa martoriata regione, segna la sconfitta di ogni principio di civiltà, di convivenza e di democrazia”. La riconciliazione sarà il leitmotiv della XIII giornata ecumenica - che si celebrerà il prossimo 27 ottobre 2014 – allorché questa “si svolga all’insegna di un impegno coerente affinché nessuno creda che la sopraffazione e la crudeltà possano in qualche modo essere difesa o compensazione di torti subiti”.

Adel Jabbar, sociologo iracheno trentino d’adozione, ha redatto il suddetto comunicato insieme a intellettuali, teologi, giornalisti impegnati da anni sui temi del pluralismo religioso e culturale, tutti “osservatori competenti consapevoli delle gravi problematiche di questo periodo storico devastato da guerre e terrorismo, ma anche dalla consapevolezza della connessione virtuale, economica, culturale che lega a filo doppio persone da ogni parte del mondo”. “Questo comunicato – continua Jabbar - è un segno di speranza, un esempio di lucidità ed equilibrio che ha come fulcro la dignità della persona messa costantemente in discussione dalla crisi economica e dai conflitti. Del resto il futuro sarà questo: condivisione degli spazi, delle ricchezze, delle opinioni. Possono sembrare parole al vento, ma a me piace definirle, al contrario, ‘vento di speranza’”.