Kultur | Il libro

Paolo Nori, parole come colori

Lo scrittore parmigiano ha presentato al Centro Trevi di Bolzano, nell'ambito della manifestazione Spazio Lib(e)ro, il suo ultimo romanzo: “Siamo buoni se siamo buoni”.

Parcheggio la bici all'inizio di via dei Cappuccini e mentre lo faccio vedo con la coda dell'occhio, vicino a me, un tizio che si china, mi pare per legarsi le stringhe delle scarpe, cioè degli anfibi. Guardo meglio. Sicuramente è lui. Paolo Nori. "Paolo Nori?”, chiedo. “Sì”, risponde, con l'aria un po' frastornata mentre si rialza. Siccome tra mezz'ora è prevista la presentazione del suo nuovo libro al Centro Trevi, mi vien da pensare che magari è un po' disorientato e allora, per attaccare bottone, gli chiedo se sa esattamente dove deve andare. “Più o meno”, mi risponde, così mi pare che in realtà non lo sappia e decido di accompagnarlo.

Nel breve tragitto gli chiedo ancora: “E' la prima volta che viene a Bolzano?”. “Sì”, mi fa lui, “anzi no, sono venuto un paio di volte a trovare un amico che insegnava qui, parecchio tempo fa”. Intanto purtroppo siamo già arrivati al portone del Trevi e un po' mi dispiace. Mi dispiace anche che Nori qui ci sia già stato, altrimenti avrei potuto provare persino a giocarmi alla svelta la solita carta della città molto interessante per via della sua storia che ricapitola quella del Novecento e le dittature e gli italiani e i tedeschi e tutto quello che si dice quando si incontra uno che è appena sbarcato a Bolzano. Poi però penso anche che a lui, di quella storia lì, non interessa un fico secco e infatti non è che uno, appena arriva a Bolzano, vuol sapere tutto su Bolzano e sulla sua storia. Magari preferisce anche non sapere tutto, soprattutto subito, ma gli basterebbe sapere solo qualcosa, non necessariamente di argomento storico. Entrati nel Trevi, gli indico la sala dove avrebbe dovuto parlare e gli dico anche “a dopo, io vado a riportare questi dvd qui sopra”, avevo dei dvd da riportare, e lui mi dice “sì”, sempre con l'aria un po' frastornata.

Dopo cinque minuti anch'io entro nella sala dove verrà presentato il libro e vedo che intanto arriva un sacco di gente. Strano, penso, che arrivi tanta gente, però poi penso che siccome nell'invito c'è scritto che regaleranno il libro di Nori, penso anche che la gente arriva perché riceverà il libro in regalo e se non regalassero il libro di gente ce ne sarebbe sicuramente di meno. Comunque c'è tanta gente davvero e sicuramente ci saranno anche quelli che sarebbero venuti lo stesso, anche senza il libro in regalo, e allora guardo un po' questa gente cercando di capire chi sarebbe venuto lo stesso e chi è venuto per prendersi il libro in regalo. A un certo punto arriva anche l'assessore Tommasini e fa un discorsetto in cui in sostanza dice che leggere è importante e chi legge sa più cose di chi non legge. Mentre l'assessore Tommasini dice che chi legge sa più cose di chi non legge, io guardo Nori che guarda sorridendo l'assessore Tommasini e mi chiedo se anche lui pensa che chi legge sa più cose di chi non legge. Io, per esempio, non lo so mica se sono d'accordo e comunque avrei molte cose da ridire sul fatto che chi legge sa molte più cose di chi non legge. Alla fine però nessuno per fortuna commenta questa frase e allora inizia la vera presentazione del libro.

Del libro in realtà Nori non parla molto e si limita a leggerne qualche passo molto divertente con quel suo modo incalzante e con l'accento parmigiano, che se lo senti capisci anche come scrive, non prima di aver divagato su molte altre cose. La prima cosa che dice è che non sopporta la lingua usata dai giornalisti. Essendo anch'io un po' giornalista a me questa cosa che lui non sopporta la lingua usata dai giornalisti mi dovrebbe scocciare, però forse lui l'ha detto anche un po' per colpire e comunque in un modo simpatico e quindi anch'io, nonostante sia un po' giornalista, alla fine penso che abbia ragione lui e penso che la lingua dei giornalisti sia proprio insopportabile. Nori parla quindi del suo stile sgrammaticato e vicino al parlato. Cita un paio di autori russi, lui è un grande esperto di letteratura russa, anche un autore del Settecento, non mi ricordo il nome, e spiega che in Russia la lingua letteraria è una lingua che capiscono tutti perché è vicina al parlato e anche gli autori russi più famosi hanno scritto in un modo che tutti i russi poi capiscono quello che hanno scritto, mentre in Italia abbiamo scrittori, prendiamo uno come Manzoni, dice Nori, che quando scrivono “Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro” nessuno ci capisce niente. “La grammatica non deve essere come una gabbia”, spiega ancora Nori, “e a me piace usare le frasi, ma anche le parole e persino le lettere come i bambini usano i colori”.

Questa cosa delle frasi e delle parole e persino delle lettere che sono come colori mi piace molto e allora sono contento che poi Nori citi un autore che forse lui cita molto spesso quando illustra questa cosa delle frasi e delle parole e delle lettere che sono come colori. Cita Daniil Charms, Nori, pronunciandolo “Kharms”, che sicuramente è la pronuncia giusta, non come la mia prima di sentire Nori pronunciare il nome di Charms, e legge un piccolo brano che effettivamente sembra prelevato da un libro che potrebbe aver scritto lui, in cui si parla di un tizio con i capelli rossi che però non aveva né occhi né orecchie e neppure capelli o bocca o pancia o spina dorsale e quindi, dice Nori leggendo Charms, non si capisce bene di chi si stia parlando ed è meglio non parlarne più. Quando parla di Charms Nori si commuove, si commuove sul serio, con gli occhi lucidi e la voce un po' rotta, pensando alla fine di Charms e al fatto che dopo essere stato ucciso e dimenticato poi in Russia l'hanno riabilitato e gli hanno messo una targa per ricordarlo e mettersi la coscienza a posto.

Alla fine Nori ha letto una pagina di “Siamo buoni se siamo buoni” che ha fatto ridere tutti. Il pezzo, ce l'ho davanti perché anch'io poi sono andato come tutti a ritirare il libro e ora ce l'ho davanti, parlava del “non essere contemporanei al proprio tempo” e del fatto che dovrebbe essere una cosa che ci crea imbarazzo ma che se uno è uno scrittore in realtà nell'imbarazzo ci si può sguazzare. “C'era uno scrittore – legge Nori – che si chiamava Sedaris che ha raccontato di una volta che era andato a una festa, in America, a casa di amici di sua sorella, che lui praticamente non conosceva nessuno e era una festa così, come sono le feste con della gente che non conosci nessuno e a un certo momento questo scrittore era andato in bagno e quando era stato in bagno aveva visto che, nella tazza del water, c'era una merda enorme, una specie di colosso evidentemente lasciato lì da quello che era stato in bagno prima di lui”. La storia è divertente perché Nori descrive le peripezie del tizio nel bagno alle prese con questo colosso, anche se poi dice che non è tanto importante come va a finire la storia, e la cosa più importante, invece, è che si tratta di una storia vergognosa e dunque una storia bellissima perché in effetti ci libera da questa cosa del provare vergogna e ci dice che nella vergogna ci si può anche sguazzare e, insomma, ci fa sentire un po' tutti come dei colossi persino felici di esserlo.

Dopo la presentazione sono uscito dalla sala, fuori era già buio, molto contento di essere stato a questa presentazione e ho chiesto a un tizio se aveva da accendere. In genere, fateci caso, chi ti fa accendere non dice nulla, ti fa accendere e basta. Quello invece mi ha chiesto subito se ero di Roma, perché dal mio accento, mi ha detto, ha pensato che io ero di Roma, e allora io gli ho detto di no, gli ho detto che non ero di Roma, ero di Livorno, e lui mi ha chiesto se era la prima volta che venivo a Bolzano.

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Gianluca Trotta Sa., 18.10.2014 - 22:09

Gabriele-der Stimmenimitator. Ovviamente, shame on all the people I know in Bolzano-Bozen-Bulsàn, che ci fosse stato un cane che m'avesse fatto una telefonata scritto una mail scritto un uozapp per dirmi che ci sarebbe stato. Vabbè, tu, almeno, ti sei fatto perdonare con questo bellissimo pezzo. Grazie.

Sa., 18.10.2014 - 22:09 Permalink
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Gianluca Trotta Sa., 18.10.2014 - 23:08

Eh, secondo me Paolo Nori è lo scrittore più tomasbernardiano che scrive in italiano. E infatti io non mi trovo d'accordo quando leggo che si dice che abbia uno stile che imita il parlato eccetera; a me lo stile di Nori sembra molto costruito, ben lontano dalla spontaneità del parlato, e, appunto, sarebbe come dire la stessa cosa di Bernhard, che, penso, nessuno lo direbbe, forse. Però poi Nori mi sembra molto diverso da Bernhard nel rapporto con il mondo: entrambi sono due splendidi anarchici, e viva l'anarchia e gli anarchici tutti; però tanto Bernhard è distruttivo e cupo (a parte, forse, quel gioiello di Wittgensteins Neffe), quanto Nori è, studiatamente, ingenuo e positivo. Un po' come se, leggendo Nori, leggessimo le parole di un bambino che scrive (da dio) e ci face vedere il mondo con i suoi occhi. E quella "aria frastornata" che hai notato tu, mi sembra lo sguardo trasognato di uno che stesse vedendo per la prima volta il mondo, e ce lo descrivesse con lo stupore della scoperta. Insomma, Nori mi piace parecchio, mi pare si sia capito. E, caro mio, il tuo tentativo di persuasione occulta pro Facebook non attechisce proprio, con me: procul, o procul este!

Sa., 18.10.2014 - 23:08 Permalink
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Gabriele Di Luca So., 19.10.2014 - 10:54

Antwort auf von Gianluca Trotta

E' vero. Ho scritto anch'io che imita il parlato, ma forse bisognerebbe dire che parte dal parlato, da una certa idea di parlato, e poi costruisce qualcosa che potrebbe sembrare vicino al parlato, ma che invece corrisponde a uno stile molto costruito, molto "ritmico" e quindi siamo assolutamente dalle parti di T. Bernhard (e hai ancora ragione tu a mettere in evidenza la loro differenza, anche se forse Bernhard non è proprio veramente distruttivo e cupo, cioè lo è, ma non veramente). Anche mi trovi d'accordo sullo stupore della scoperta del mondo. Ci piace un sacco, Paolo Nori. Peccato che questo nostro dialogo sia sempre il solito dialogo tra chi conosce già le cose e nessuno (come sembra, magari sembra solo, ma così sembra) scriva qui due righe per dire "caspita, Paolo Nori, non lo conoscevo mica, quasi quasi compro un libro, mi compro". Peccato che queste cose qui non capitino.

So., 19.10.2014 - 10:54 Permalink