Gesellschaft | Gastbeitrag

“Gli immigrati non commettono più crimini”

Lo psicologo sociale dell’Università di Padova Fernando Biague ribalta, dati alla mano, un pregiudizio diffuso ma a quanto pare infondato.

Buona parte dell’opinione pubblica associa gli immigrati a contesti di povertà e degrado, considerandoli non solo delinquenti, ma più criminali degli autoctoni. Questa visione non corrisponde alla realtà dei fatti. Come per gli autoctoni, infatti, solo una esigua percentuale di immigrati commette reati ed occorre dimostrare perché.

Da molti anni leggiamo i dati riportati dalle svariate fonti istituzionali e assistiamo anche a dibattiti che citano percentuali elevate di stranieri in regime di detenzione. Ma un conto è asserire che gli immigrati siano presenti in grande quantità nelle carceri italiane, un altro assumere che per questo essi delinquano più degli autoctoni.
I calcoli non contestualizzati sulla presenza di immigrati nelle carceri portano ad errori che poi generano la lettura e la valutazione errate del fenomeno.

Il primo errore è dato dal fatto che tali conteggi non tengono in considerazione i seguenti fattori:
a) la minore o la mancanza di disponibilità economica degli immigrati: ciò impedisce di ingaggiare un legale che possa fornire una difesa adeguata in sede processuale. Proprio per questo la gran parte dei detenuti ricorre all’avocato d’ufficio (previsto dalla legge) che però nella maggiore dei casi non garantisce l'effetto sperato;
b) l’iter processuale: il percorso processuale dei detenuti immigrati raramente arriva al terzo livello (Cassazione) per mancanza di soldi;
c) le misure alternative: la gran parte dei detenuti, essendo irregolari o peggio ancora “clandestini”, non dispongono di documenti personali e di un domicilio. Essi non riescono perciò a fruire delle pene alternative sia in attesa del processo (detenzione domiciliare), sia nella parte finale (detenzione domiciliare, affidamento in prova ai servizi, liberazione anticipata, semilibertà ecc.). L’unico posto dove le autorità competenti possono controllarli in attesa del processo è dunque il carcere;
d) il percorso di reinserimento: gli irregolari, ma soprattutto i “clandestini”, non sono in gran parte ammessi a nessun tipo di programma di reinserimento nella società e quindi sono soggetti alla recidiva, cioè a commettere nuovamente i reati e rientrare nelle carceri.

Il consistente numero di autoctoni che hanno commesso i reati e che fruiscono di misure alternative, inoltre, non viene considerato nel calcolo. Basterebbe inserire tutti i dati degli autoctoni che rientrano nelle voci di cui sopra per accorgersi che la realtà è molto diversa da quella che certi numeri potrebbero far supporre.

Il secondo sbaglio è dato dal fatto che, quando si calcola il numero di stranieri nelle carceri, si dimentica che i “clandestini”, ovvero la maggioranza dei detenuti immigrati, non fanno parte dell’universo immigrati conosciuto dalle istituzioni. È assolutamente sbagliato ad esempio includere i “clandestini” nella popolazione immigrata residente per il calcolo della percentuale. Questo perché il numero dei clandestini non è noto ed in questi casi valgono stime molto approssimative. 

Cosa si dovrebbe fare per mutare la percezione delle cose? Da un lato si dovrebbe calcolare la percentuale di immigrati regolari detenuti sul totale della popolazione straniera residente, cioè nota alle istituzioni. Dall’altro computare il numero di “clandestini” sulle stime prodotte relativamente alla stessa categoria clandestina. In entrambi i casi le percentuali risulterebbero fortemente ridotte.

Oltre a questi due errori madornali si aggiunge poi il ruolo negativo svolto dai media nella costruzione dell’immagine criminale dell’immigrato. È noto infatti che nel riportare le notizie di cronaca i media usano un linguaggio aggravante quando si tratta di reati compiuti da immigrati. Viceversa, quando l’autore della condotta sbagliata è l’autoctono, il linguaggio assume toni attenuanti. Naturalmente ciò concorre a produrre e fissare nell’opinione pubblica l’immagine negativa degli stranieri.

L'utilizzo di dati sbagliati da parte dei media innesca infine un complicato e strutturale meccanismo di influenzamento reciproco che interessa i cittadini ed i vari livelli istituzionali. Ad esempio, quando si parla di percentuali elevate di immigrati nelle carceri, indicandone per giunta l'intrinseca criminalità, in una parte di cittadini viene amplificata la paura utilizzata da certi ambienti politici, i quali, a loro volta, spingono per l'adozione di misure di legge restrittive (vedi l'introduzione del reato di clandestinità) che si traducono in una crescita degli arresti. Questo circolo vizioso ingigantisce il fenomeno e produce l’immagine negativa dell’immigrato.

Il tema della devianza degli immigrati è stato analizzato profondamente in ogni epoca e società e la vastissima letteratura scientifica disponibile nei vari Paesi caratterizzati da una forte immigrazione (USA, Australia, Canada, ma anche molti Paesi europei) ha sempre dimostrato che, a parità di condizioni, gli stranieri non commettono più reati degli autoctoni.