Gesellschaft | 75 anni fa

Le Opzioni? Un affare!

I risvolti economici degli accordi stipulati tra nazisti e fascisti per fare emigrare nel 1939 i sudtirolesi.

"Norme per il rimpatrio dei cittadini germanici e per l'emigrazione di allogeni tedeschi dall'Alto Adige in Germania." 

S'intitola così l'accordo siglato esattamente settantacinque anni or sono dal prefetto di Bolzano Giuseppe Mastromattei e dal console tedesco a Milano Otto Bene e che costituisce sostanzialmente la fonte principale di tutta la colossale operazione delle opzioni di cittadinanza per trasferire in Germania la popolazione di lingua tedesca e ladina dell'Alto Adige.

È cosa già notevole in sé che l'accordo sia stato messo nero su bianco e firmato a ben quattro mesi di distanza dalla famosa famigerata riunione del 23 giugno 1939, presso il comando delle SS a Berlino, nella quale si era concordato di avviare l'intera operazione. Una riunione terminata senza la sigla di un accordo, senza che nessuna delle due parti, italiani e germanici, ritenesse opportuno nemmeno di trascrivere quanto detto in un verbale ufficiale.

Semplice sciatteria o coscienza sporca? La domanda rimane ancor oggi senza risposta. Certo è che la vaghezza sui termini dell'accordo raggiunto contribuisce non poco, nelle settimane e nei mesi successivi, a fare in modo che l'intero processo delle opzioni venga avviato in maniera confusa e ancor più inquietante per quei sudtirolesi che ne sono le vittime designate e che vengono a sapere del loro destino in maniera imprecisa, frammentaria e con enorme ritardo.

Si arriva comunque alla data del 21 ottobre e alla sigla del primo e principale tra i vari accordi che i due governi stipuleranno nei mesi successivi per regolare la complessa vicenda delle opzioni. Il documento del 21 ottobre, che peraltro gli abitanti dell'Alto Adige possono conoscere solo con cinque giorni di ritardo, quando viene integralmente pubblicato sul quotidiano "La Provincia di Bolzano" si compone di due parti ben distinte. La prima, intitolata "disposizioni relative alle persone" si compone di 22 articoli e regola minutamente il processo attraverso il quale i sudtirolesi, entro il 31 dicembre successivo, dovranno scegliere se restare cittadini italiani o se acquistare la cittadinanza germanica e trasferirsi dal terzo Reich. Il testo più conosciuto e studiato, quello di cui parlano gli storici quando vogliono raccontare il dramma di un popolo cui fu imposta un'alternativa diabolica: o rinunciare al proprio retaggio culturale e linguistico o abbandonare per sempre la terra su cui era vissuto da secoli.

Meno frequentata invece la seconda parte dell'accordo siglato il 21 ottobre del 1939: si tratta di 20 articoli, raccolti sotto il titolo di "disposizioni di carattere economico" e con il quale viene disciplinata tutta la materia finanziaria e patrimoniale delle opzioni. È ovvio che l'arido elenco di disposizioni sia apparso molti del tutto trascurabile, rispetto al dramma umano culturale e politico, eppure l'analisi di questo aspetto riserva non pochi elementi di interesse.

Spieghiamo innanzitutto, per sommi capi almeno, il meccanismo escogitato da nazisti e fascisti. I sudtirolesi optanti per la cittadinanza germanica non potevano trasferire autonomamente nel terzo Reich il loro patrimonio. Beni mobili, titoli, denaro contante dovevano essere dichiarati all'atto delle opzioni e versati, loro nome, su un conto particolare aperto per l'occasione. Sullo stesso conto era previsto il versamento delle somme ricavate dalla vendita dei beni immobili, case e terreni agricoli, degli optanti. Questi ultimi potevano scegliere se vendere al libero mercato o se cedere, per sfuggire all'inevitabile crollo dei prezzi, all'Ente Tre Venezie, incaricato dal governo italiano di acquistare ad un prezzo stabilito da apposite commissioni bilaterali. Le somme versate sul conto sarebbero state convertite da lire a marchi ad un cambio fisso pari a L. 4,5 per marco. La Germania si impegnava a restituire il controvalore in marchi all'optante una volta trasferito sul suo territorio, salva la possibilità di dargli, invece dei soldi, proprietà e beni di valore equivalente. 

Il marchingegno, all'apparenza, sembra fatto per funzionare, ma il diavolo, come noto si nasconde nei dettagli ed è proprio l'aspetto economico quello che contribuisce a trasformare le opzioni in un colossale fallimento politico e in una brutale truffa ai danni di povera gente, menata per il naso e derubata dalle due dittature.

Per capire bene è utile ricordare che, nella tarda primavera del 39, l'Italia che pesta i pugni sul tavolo di Berlino perché venga risolta una volta per tutte la questione dell'appoggio nazista agli ambienti più turbolenti della minoranza altoatesina, intende fare in modo che il terzo Reich si riprenda prima di tutto le migliaia di cittadini germanici ancora dimoranti in Alto Adige, molti dei quali ben attivi sul piano della propaganda anti italiana e poi anche una fetta di quei sudtirolesi, quasi tutti giovani, intellettuali, di estrazione borghese cittadina che costituiscono la spina dorsale della resistenza contro l'italianizzazione portata avanti dal fascismo. Venti o trentamila persone in tutto senza le quali, ragionano Mussolini e il suo prefetto Mastromattei, la provincia si aprirà senza più contrasti all'immigrazione italiana. Un obiettivo limitato dunque ed è forse anche per questo che l'aspetto economico viene ampiamente sottovalutato. Solo nei mesi successivi, quando è chiaro a tutti che la macchina di propaganda, armata dal capo delle SS Heinrich Himmler mira a far optare per la Germania tutta la popolazione sudtirolese, i responsabili fascisti cominciano a mettere qualche cifra sulla carta e a rendersi conto che se, come altamente probabile, l'Alto Adige si svuota, l'Italia dovrà pagarlo a carissimo prezzo. Non si tratta più, infatti, di versare il controvalore di qualche decina di appartamenti di città o di case di campagna, ma di ripagare migliaia di masi, di terreni, di frutteti e di vigneti pregiati.

Tutto questo, al cambio ufficiale previsto, poteva voler dire una somma totale che semplicemente l'Italia non era in grado di pagare. Da tener presente poi che mentre le due diplomazie si arrabattavano per definire le norme sulle opzioni, erano successi dei fatti di un certo rilievo. La Germania, il primo di  settembre del 1939, era entrata in guerra e aveva schiacciato nel giro di qualche giorno la resistenza polacca. L'Italia restava neutrale ma era vincolata, dal patto d'acciaio, a seguire nel conflitto l'alleato tedesco. Quest'ultimo contava tra l'altro di utilizzare i fondi ricavati dall'operazione opzioni per acquistare sul mercato italiano materiali strategici, quegli stessi materiali di cui anche le sgangherate forze armate del Duce avevano bisogno per potersi presentare sulla scena del conflitto. Hitler e i suoi, infatti, non avevano la minima intenzione di restituire il denaro agli optanti una volta trasferiti sul loro territorio. L'idea, peraltro pubblicamente proclamata, era quella di farne le avanguardie del "Drang nach Osten" insediandoli dei territori conquistati e distribuendo loro con generosità le terre e le case dei popoli sconfitti.

Le cose poi, come si sa, andarono diversamente i sudtirolesi furono gli unici a mantenere la promessa di fedeltà alla loro cultura, optando in massa per la Germania. Il regime fascista, in ben altre faccende affaccendato, mise la sordina all'operazione opzioni, non trovando opposizione da parte di una Germania che, inebriata dalle proprie vittorie, considerava ormai apertamente altre ipotesi di soluzione della questione altoatesina.

Degli optanti, di quelli rimasti in Alto Adige e di quelli, circa 75.000 partiti effettivamente per il terzo Reich, si torna a parlare a guerra conclusa. La fase cosiddetta delle "riopzioni" dura diversi anni, ma di nuovo la questione della cittadinanza negata in poi concessa rischia di far passare in secondo piano l'aspetto economico. Coloro che avevano versato sul conto ufficiale il denaro ottenuto dalla propria casa o per i propri beni mobili, scoprirono che quei soldi si erano letteralmente volatilizzati nel rogo finale della Germania nazista. Lo Stato italiano aveva pagato il dovuto e non intendeva farlo due volte. Ci sono voluti decenni, un intenso lavorio diplomatico, una parziale assunzione di responsabilità da parte della nuova Germania Federale, per indennizzare almeno in parte coloro che furono vittime di uno dei più efferati borseggi della storia. Resta aperta, all'interesse degli storici, anche la questione delle compravendite effettuate tra privati nelle settimane cruciali prima della scadenza delle opzioni. Ci fu forse chi approfittò dell'ovvia ritrosia degli optanti a vendere alle autorità italiane per fare dei buoni affari.

È un capitolo, nella triste vicenda delle opzioni, che deve essere ancora scritto.

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Profil für Benutzer Maximilian Benedikter
Maximilian Ben… Mi., 22.10.2014 - 09:02

Come è strana la storia. Ci sono non pochi Sudtiolesi, che interpretano l'aver optato come tradimento alla propria Heimat (Boden und Kultur). Altri, come l'autore, come un atto di coerenza culturale. Credo sinceramente, che entrambe le interpretazioni siano accettabili. Se non vi fosse quel vasto infatuamento per le idee nazionalsocialiste, che sporcano il quadro.

Mi., 22.10.2014 - 09:02 Permalink