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Leggende meranesi: storie di confine

La premessa di Paolo Bill Valente al suo ultimo libro “Leggende meranesi” (edizioni alphabeta) che raccoglie in modo sistematico le leggende di Merano, reinterpretandole.

Storie di confine

Le leggende di Merano, del Burgraviato e del Tirolo in generale racchiudono elementi che provengono dalle tradizioni più diverse. Portano i segni della mitologia classica e di quella germanica, la memoria delle antiche popolazioni latinizzate e delle più remo- te tradizioni cristiane, di racconti agiografici e di fatti di cronaca rivisitati e reinterpretati alla luce delle credenze popolari, delle superstizioni e dell’esperienza quotidiana. Alcune leggende sono giunte fino a noi partendo da epoche assai lontane, in altri casi si tratta invece di creazioni molto più recenti.

Sono storie di confine. Parlano di città sparite nel nulla, di strane genti che ora ci sono e poi, all’improvviso, scompaiono. Popoli che si incontrano, entrano in relazione, si combattono, si fondono l’uno nell’altro.

Sono vicende che tracciano e poi attraversano la frontiera tra i gruppi, le persone, i territori, il limite tra bene e male, tra giorno e notte, tra luce e buio, tra vita e morte. Merano è un po’ tutto questo. Alois Wilhelm Schreiber, nella sua descrizione del 1836, scrive che se si scende la Passiria lungo un sentiero che costeggia il torrente selvaggio e devastatore, passando in una valle racchiusa in montagne alte come il cielo, si entra infine nella fascinosa Merano, “dove la spaventosità del mondo alpino si accoppia alla grazia del cielo italico” (“... Meran, wo die Furchtbarkeit der Alpenwelt mit der Anmuth des italischen Himmels gepaart ist”) (1). Come dire che Merano nasce dal contrasto e nella contraddizione. Quel 1836, oltretutto, è la data della strage operata dall’epidemia di colera orientale, ma anche l’anno in cui il dottor Johann Nepomuk Huber scrive il suo opuscolo Über die Stadt Meran in Tirol, ihre Umgebung und ihr Klima, (“Sulla città di Merano nel Tirolo, i suoi dintorni e il suo clima”, pubblicato poi a Vienna nel 1837), a cui è tradizionalmente legata la rinascita in chiave turistica dell’antica capitale del Tirolo.

Chi, poco prima dello scoppio della Grande Guerra, coglie al meglio l’armonia contrastata dell’anima di Merano è Stefan Zweig (2). “La città”, scrive, “antichissima come rivelano i portici e i castelli, ha pure residenze nobiliari e nuove ville di buon gusto e quindi fonde passato e presente in un insieme gradevole. Bianca e tuttavia immersa nel verde di parchi e giardini pubblici, si estende gradualmente verso i prati ed i vigneti, che a loro volta salgono verso le scure selve. I boschi si perdono in alto scalando le rocce, il cui grigiore viene coperto progressivamente dal freddo biancore delle nevi e l’alta linea dentellata delle montagne si staglia contro il blu del cielo infinito. Il ventaglio dei colori qui si apre con toni puri e chiari: nulla stride e tutti gli opposti si risolvono armoniosamente. Il nord e il sud, la città e la campagna, la Germania e l’Italia, tutti questi aspri contrasti si fondono placida- mente e persino gli elementi più ostili sembrano qui concilianti e familiari. Nel paesaggio non ci sono movimenti bruschi, da nessuna parte c’è una linea spezzata o infranta; qui la natura ha scritto sul mondo con grafia equilibrata e tondeggiante e con lettere multi- colori la parola Pace”.

La pace di cui vagheggia Zweig non deriva dall’omologazione. Non dall’aver cancellato la voce dell’altro. Non dalla soppressione, ma dall’accoglienza delle differenze. Antico e nuovo, muri e ponti, nero e altri colori, l’una e le molte culture, ogni cosa si profila ed esiste in relazione a ciò che appare diverso da sé, in questo strano porto di mare. Le leggende sono voci che risuonano, più che nel passato, in una dimensione atemporale. Hanno un messaggio anche per un mondo altrimenti tenuto al guinzaglio dalle scienze applicate e dalla tecnologia. Ci dicono che al di là delle apparenze misurabili e monetizzabili, c’è dell’altro. Ci invitano a spegnere per un istante televisore e cellulare, motori e apparecchi elettronici, per porci in ascolto di una verità che viene da lontano e può condurre lontano. 

(1) SCHREIBER, Alois Wilhelm, Vollständiges Handbuch für Reisende in der Schweiz, Tyrol, Salzburg, durch Würtemberg und Bayern: Mit genauer Angabe d. Reiserouten, Heidelberg 1836, p. 55.

(2) ZWEIG, Stefan, Herbstwinter in Meran, in: Fahrten, Landschaften und Städte, Vienna 1919, pp. 104-111.

Paolo Bill Valente è nato nel 1966 a Merano dove vive e lavora. Scrittore, giornalista, saggista, opera in vari ambiti: la cultura, il sociale e l’educazione, la cooperazione internazionale, il dialogo tra culture e religioni. Ha svolto numerose ricerche sulla storia della sua terra plurilingue, portandone in luce alcuni aspetti nascosti o rimossi. In ambito narrativo ha pubblicato un romanzo, diversi racconti e quattro raccolte di favole. Per Edizioni alphabeta Verlag sono usciti "Sinigo. Con i piedi nell’acqua" (2010), "Giorni strani" in "Ad alta voce. Storie di quotidianità sociale" (2011), "Bussano – Sie klopfen" (2011), "Diario del maestro di Cordés" (2013), "Scrivere sul confine. Racconti vincitori del Premio Letterario Internazionale Merano-Europa" (2013).

Paolo Bill Valente, Leggende meranesi, Edizioni alphabeta Verlag; pagine: 152; € 8,00; ISBN 978-88-7223-229-3

Presentazioni del libro con l'autoreMeranovenerdì 5 dicembre 2014, ore 20.30, Biblioteca civica in via delle Corse 1. Saluti: Giorgio Balzarini (Vicesindaco di Merano) e Tiziano Rosani (presidente Biblioteca civica). Introduzione: Paul Rösch, direttore Touriseum. Letture: Elisabetta Scavazza. Bolzanomartedì 9 dicembre 2014, ore 19.00, Libreria Europa in Corso Italia 6. Letture: Elisabetta Scavazza.