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Io mi voglio divertire

Andata in scena la prima controversa del Don Giovanni di Vick a Bolzano.
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“L’opera è divina: è forse più bella del Figaro, ma non è cibo pei denti de’ miei Viennesi”, disse nel 1787 il Kaiser Joseph II dopo la prima Viennese, come ricorda nelle sue memorie Lorenzo da Ponte, librettista veneto autore dei testi non solo del Dissoluto punito ossia il Don Giovanni, ma anche delle altre due opere italiane di Mozart, Le nozze di Figaro e Così fan tutte. Non era questa una cosa inaspettata per Wolfgang Amdeus, che già l’anno precedente aveva avuto il suo grande successo non a Vienna ma a Praga, dove dopo la presentazione del Don Giovanni non si parlò d’altro per diversi giorni.

Si tratta di un’opera che è nata facendo scandalo, aggirando divieti, esaltando il pubblico - perché non dovrebbe essere così anche oggi? Mozart non aveva pensato un’opera per un pubblico tradizionalista seduto silenzioso, il suo teatro non era un evento per una élite colta - lui voleva sconvolgere le città, metterle sotto-sopra.

Alla prima bolzanina dell’opera frutto di una coproduzione tra diversi teatri del centro-nord Italia i biglietti sono esauriti, e già molto prima delle ore 20 la zona antistante l’ingresso del Teatro Comunale è affollata, e non solo di habitué dell’opera - piacevole sorpresa infatti la giovane età del pubblico. Il teatro è vivo.

La scena si apre con una Land Rover targata VEC 04016 che dominerà la scena per tutto il primo atto, vettura simbolo di lussuria in chiave moderna - l’ingordo del 2014 non si può limitare a mangiare più del necessario, deve sprecare anche nell’avere una vettura enorme. Vettura in cui si può consumare ogni genere di depravazione. La stessa fuoristrada nera cambierà ruolo tra una scena e l’altra, passando da alcova del sesso a macchina della polizia, da simbolo di corruzione a carro funebre. Si apre il sipario e il Commendatore viene ucciso - da una mutandina sporca. Il grandioso Cristian Saitta dà spessore al personaggio e soprattutto nel finale, luogo del suo rientro in scena, farà tremare il teatro con la sua voce.

Nell’”Or sai chi l’onore” Donna Anna regala emozioni - la voce pulita della Mastrangelo ci spingerebbe quasi a prometterle il nostro stesso aiuto per cercare vendetta. Difficile sempre il ruolo del tenore Don Ottavio con le sue parti sempre troppo parlate e prive di ritmo, sempre troppo piccole rispetto alle controparti femminili. Non facile per chiunque lo interpreti farlo emergere, in un’opera tutta al femminile, ancora meno oggi con una Donna Anna impeccabile e indimenticabile. Senza mutandine per giunta.

Le parti di canto corale, in un lavoro pensato per un’orchestra ridotta, in cui anzi tutto vuole essere ridotto - l’idea stessa di una co-produzione di questo tipo rende palese la nascita del concept in un’epoca di spending review - riveste un ruolo di primo piano. Così sarà proprio il canto a rimanere impresso nella nostra memoria nella grande scena di festa, di sesso e immoralità, con travestiti in abiti trash leopardati.

Il primo atto si chiude, e indagando tra il pubblico, approfittando di una lunga attesa alla toilette, sento e ascolto cosa si vocifera - il tema della serata per molti pare siano le mutandine. Le mutandine tolte in scena, quelle tolte per poi simulare del sesso orale, o quelle sventolate, tutte queste mutandine hanno lasciato il segno. Forse proprio così torniamo all’idea mozartiana originale - questa è nata come opera che doveva creare “baccano”, perché allora questa caratteristica dovrebbe venire meno oggi? Due secoli più tardi serve altro per colpire e impressionare il pubblico, e qui è entrata in scena l'idea di Vick. Qualcuno dice che a Wolfagang non sarebbe piaciuta tutta questa sconceria - ma chi può vietare al regista di ridare questo aspetto alla rappresentazione? Mozart non era certo un puritano, e da Ponte era uno che prima di darsi in modo definitivo al libertinaggio aveva anche pensato bene di convertirsi al cattolicesimo (lui nato in famiglia ebrea) per amore di una fanciulla - penso che loro per primi avrebbero riso oggi di certe critiche.

Alcune scelte della regia dimostrano una inventiva e fantasia deliziose del regista britannico - che sia la scritta funeraria papà/padre che ci accompagna per entrambi gli atti cambiando a volte di funzione, diventando persino panchina, che siano i giochi di luce o la croce illuminata che quando si accende da sola basta per trasformare la scena di perdizione e dissolutezza in scena sacrale funeraria, o per finire il container del II atto, che si gira ed è diviso in due parti, e l’illuminazione ci fa di volta in volta spostare l’attenzione dall'una all’altra. Che siano le luci, o che siano i fiati che all’improvviso ci ritroviamo a suonare appena dietro le nostre poltrone, che siano gli attori che invadono la sala o lo stesso Don Giovanni che arriverà a sedersi sulle poltroncine rosse, con tutte queste invenzioni Vick riesce a moltiplicare la scena e lo spazio (non un teatro solo, statico, ma due, tre scene che si alternano) e a coinvolgere il pubblico. Riesce a farlo ridere, perché ricordiamolo: siamo qui di fronte ad un dramma giocoso, e Mozart avrebbe voluto vedere persone divertite a teatro.

L’idea della dissacrazione torna forte nella scena del cimitero, non solo per il mancato rispetto dei morti (i fiori strappati e gettati per aria) bensì anche per il mancato rispetto degli anziani e dei malati nel momento in cui Don Giovanni prende il deambulatore del Commendatore e ci gioca in modo irrispettoso.

Le mutandine, sempre le solite, si vedono ora sotto una luce più forte, e scopro solo adesso che sono mutandine macchiate di rosso - orrore e disgusto, sensazioni e reazioni molto umane e prevedibili con le quali giocare. Le cattive abitudini del nostro tempo vengono messe in scena: la mania di filmare tutto, l’essere “guardoni”, quando Don Giovanni organizza una specie di casting con video-riprese di ragazzine pronte a tutto, oppure la droga, quando sempre il dissoluto si “spara” della droga in vena con una siringa. Si arriva  pure alla sigaretta accesa per davvero, che porta in sala un leggero odore di tabacco - si attivano tutti i sensi, ci sentiamo parte del gioco di Vick.

E poi nuovamente il pubblico si innamora di Donna Anna nella perfetta “Non mi dir”, perfetta perché così è stata creta da Mozart, perfetta perché lo è questa Donna Anna di stasera.

Il finale sarà anch’esso contraddistinto da scelte sceniche interessanti e dominato da un Commendatore enorme, mentre il Don Giovanni sarà condannato agli inferi e ce lo ritroveremo tra di noi - noi nel cerchio dei peccatori, dei dannati. Proprio tramite questo gioco Vick cerca di ridare all’opera mozartiana una caratteristica che l’originale aveva, e che andrebbe perso se ci si limitasse oggi ad una riproposizione identica dell'opera andata in scena secoli fa - l’opera era alla nascita contemporanea e rivoluzionaria, e non uno spettacolo per "parrucconi". Mi fa piacere che possa esserlo ancora nel 2014, e ne sarebbe felice anche lo stesso Mozart. Esistono allestimenti che riproducono esattamente l’originale dell’epoca, costumi compresi. Ne esistono altri, come questo, che propongono tutt’altro senza voler offendere l'autore, ma piuttosto vogliono riproporre, rielaborare. Non capisco la critica - Warhol non fu giustiziato per aver rifatto la Monna Lisa.

Forse la regia ha un po’ troppo calcato la mano sulle mutandine - ancora una volta queste dannate mutandine, sì (forse potremmo suggerire qualche taglio?) che in effetti un paio di volte sono state oggetto di troppo - se nella prima scena queste venivano “calate” e significavano qualcosa, nelle altre a seguire forse provocavano troppo fastidio e aggiungevano invece troppo poco alla narrazione.

Al contrario le scene di sesso, anche quelle “grezze” (come quella nell’auto) così come la scena della droga in vena o della cocaina per terra sono perfette, e ogni critica negativa non può far altro che ricordare le critiche mosse non troppo tempo fa a “La grande bellezza”, prima che questo film si portasse a casa un Oscar.

Non si può omettere assolutamente di elogiare la direzione musicale di José Luis Gomez-Rios, che ottiene tutto il necessario dalla sua piccola orchestra, oltre che tutti i giovani ballerini e comparse - non da ultimo Giuseppe di Iorio, che si è occupato delle luci in modo magistrale.

Insomma Bolzano è Bolzano, e così se forse altri teatri non sono oggi preparati per questa rappresentazione, qui i dubbi del pubblico o si sono sciolti durante il II atto (dopo la pausa alla toilette) oppure i presenti si sono rivelati troppo conservatori per inscenare una protesta contro un’istituzione della cultura locale quale è il Teatro - fatto sta che gli applausi sono stati lunghi, molto lunghi, calorosi e belli, e uscendo si sentivano solo parole positive. Forse che il nostro pubblico bolzanino sia davvero aperto alla novità e al bello? Sicuramente per giorni si parlerà del Don Giovanni in città, proprio come accadeva alle prime di questa stessa opera più di due secoli fa - e per questo penso che lo stesso Mozart direbbe oggi bravo a Vick.