Politik | Genova

Tredici anni dopo il G8

Genova, un’oscura pagina della nostra storia repubblicana.

Sopra un muro del centro storico di Genova c'è scritto: “Ognuno di noi deve dare qualcosa, per fare in modo che alcuni di noi non siano costretti a dare tutto”. La dedica è a Carlo Giuliani. Sono passati tredici anni da quello storico luglio e le scuse - dichiara la sezione italiana di Amnesty International - non sono ancora arrivate. E non è l’unica cosa che manca, si attendono tuttora le misure necessarie a difesa dei diritti umani fondamentali, l’introduzione del reato di tortura, i codici identificativi sulle uniformi del personale delle forze di polizia.

“Un osservatore neanche troppo distratto potrebbe farsi l'idea che a Genova, 13 anni fa, non sia successo niente di grave. È vero il contrario, ma l'assenza di collaborazione delle istituzioni e le gravi e perduranti lacune legislative hanno impedito di rendere pienamente giustizia alle vittime delle violenze del G8”, spiega sul sito di Amnesty International Italia il presidente Antonio Marchesi. Lo scorso 5 gennaio il Tribunale di sorveglianza di Genova ha disposto gli arresti domiciliari per i tre funzionari di polizia posti al comando della scuola Diaz la notte della fatidica irruzione. Il 1° luglio è arrivata inoltre la richiesta di un risarcimento di un milione e 120.000 euro a cinque funzionari di polizia “per il danno d'immagine procurato dalla ‘vile aggressione’ a un manifestante di fronte alla Questura del capoluogo ligure”, si legge ancora sul sito di Amnesty Italia. “Si tratta di segnali importanti. Tuttavia, fino a quando le autorità italiane non predisporranno meccanismi efficaci per prevenire la tortura, l'uso eccessivo della forza e altre violazioni dei diritti umani, il rischio che possa riprodursi qualcosa di simile a quanto accaduto a Genova 13 anni fa non può dirsi scongiurato” - conclude Marchesi. Nel frattempo si è sciolto il Comitato Verità e Giustizia per Genova che con la sua opera di testimonianza e il supporto - mediante campagne di raccolta fondi - ai vari processi (da quelli riguardanti le violenze alla Diaz e Bolzaneto a quelli contro i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio) ha contribuito a tenere la vicenda al riparo dall’oblio.

Nella memoria collettiva le immagini degli scontri di Genova sono elementi retorici affilati: gli agenti in tenuta antisommossa, i fumogeni, l’odore acre dell’immondizia fuori dai cassonetti rovesciati, i black bloc, i tonfi delle spranghe, i blindati presi a sassate, i passamontagna neri, i pestaggi alla scuola Diaz e le umiliazioni di Bolzaneto (bisognava camminare fra i tutori dell’ordine intonando “Uno due tre, viva Pinochet”). Chi ci è stato ricorda come ad un tratto la legittimità politica, le ragioni della manifestazione sono scomparse dai propri avamposti ed è rimasta solo una consapevolezza stridente di fronte a uno Stato apparentemente omissivo che insiste nel voler insabbiare le responsabilità individuali ed eludere i processi di autocoscienza.