Kultur | 27 gennaio

Josef Mayr-Nusser nel “Giorno della memoria”

Francesco Comina – autore di “L'uomo che disse no a Hitler” (Il Margine) – ricorda Josef Mayr-Nusser sull'ultimo numero della rivista fiorentina “Testimonianze”.

Un eroe solitario che disse «No» a Hitler: Josef Mayr-Nusser

Testimonianze nn. 495-496, 2014

Il 4 ottobre di settant'anni fa un uomo di 34 anni di nome Josef Mayr-Nusser1, padre di famiglia, cassiere in una ditta commerciale di Bolzano, dirigente dei giovani dell'Azione cattolica in lingua tedesca e presidente di una conferenza della San Vincenzo, alzò all'improvviso una mano. Il gelo piombò nella sala grigia della caserma di Konitz, nella Prussia occidentale (oggi Chojnice, città polacca di 40.000 abitanti) dove le giovani reclute stavano ripetendo il testo del giuramento da pronunciare senza tentennamenti il giorno stabilito per l'ingresso ufficiale nei ranghi delle SS: “Giuro a te, Adolf Hitler, Führer e cancelliere del Reich, fedeltà e coraggio. Prometto solennemente a Te e ai superiori designati da Te l'obbedienza fino alla morte. E che Dio mi assista”.

L'uomo, che non voleva finire fra quelle reclute2, urlò il suo rifiuto: «No maresciallo maggiore, io non posso giurare a Hitler. La mia fede e la mia coscienza non me lo consentono». Gli amici si guardarono negli occhi attoniti. Il maresciallo non si scompose. Ordinò al giovane di firmare la sua decisione e di chiudersi in camera. I provvedimenti verranno presi in seguito. La sera i compagni di stanza si strinsero attorno alla brada di Josef. Le tentarono tutte per convincerlo a ritrattare, a far finta di nulla perché «tanto la guerra finirà presto e non ha senso mettere a repentaglio la vita di una intera famiglia. Cristo non pretende di sicuro un rigore e una fedeltà così nobili in una situazione di terrore e di caos bellico».3 Ma Josef Mayr-Nusser li trafisse con queste parole: «Se nessuno avrà mai il coraggio di rifiutare il nazionalsocialismo, questo sistema non finirà mai!».

Il giorno dopo venne incarcerato nei bassifondi della caserma e accusato di tradimento.

Alla moglie Hildegard il 27 settembre aveva scritto una lettera in cui le preannunciava la decisione di rifiutare il giuramento: «Carissima Hildegard, una preoccupazione affliggerà anche te da quando sai che presto servizio nelle SS (…) Ciò che affligge il mio cuore, o mia fedelissima compagna, è che nell'ora decisiva, la mia professione di fede ti getterà addosso un immane dolore. L'impellenza di tale testimonianza è oramai ineluttabile. I miei superiori hanno mostrato troppo chiaramente di rifiutare e odiare quanto per noi cattolici vi è di più sacro e intangibile. Prega per me, Hildegard, affinché nell'ora della prova io possa agire senza esitazioni secondo i dettami di Dio e della mia coscienza (…) Ma tu sei una donna coraggiosa e nemmeno i sacrifici personali che forse ti saranno chiesti potranno indurre a condannare tuo marito perché ha preferito perdere la vita piuttosto che abbandonare la via del dovere»4.

Hildegard non ha mai dubitato un attino sulla nobiltà del gesto di suo marito. Fin dall'avvento del nazismo Josef si era pubblicamente opposto all'idolatria di un potere tenebroso e minaccioso come mai si era verificato nella storia umana. E non capiva come era possibile che tanta gente potesse adorare quell'idolo ricolmo di odio e di violenza.

In un articolo pubblicato sul settimanale dei giovani cattolici in lingua tedesca “Jugendwacht” il 15 gennaio del 1938 Josef aveva scritto: «Intorno a noi c'è il buio: il buio della miscredenza, dell'indifferenza, del disprezzo e forse della persecuzione. Ciononostante dobbiamo dare testimonianza e superare questo buio con la luce di Cristo, anche se non ci ascoltano, anche se ci ignorano. Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma efficace. E' un fatto insolito. Né la spada, né finanze, né capacità intellettuali, niente di tutto ciò ci è posto come condizione imprescindibile per il erigere il regno di Cristo sulla terra. E' una cosa ben più modesta e allo stesso tempo ben più importante che il Signore ci chiede: dare testimonianza».

E in un discorso del 1936 tenuto ad un convegno dell'Azione cattolica a Bolzano Mayr-Nusser non riesce a capire come fosse possibile che ci siano, anche nella chiesa, troppe guide addormentate che non vedono i brutali scenari che incombono all'orizzonte: «Queste guida addormentate della Chiesa, di cui ne esistono troppe anche qui, chiuse nell'angusto orizzonte delle loro preoccupazioni quotidiane e associazionistiche, non vedono le enormi decisioni che si preparando nel mondo: le quali sembrano non accorgersi come sempre più distintamente si stanno formando due fronti contrapposti: uno, il cui motto è “il mondo per Cristo”, e l'altro che si è votato a Satana come guida suprema».

Josef leggeva Tommaso Moro, seguiva la vita di san Francesco d'Assisi, conosceva il pensiero della nonviolenza di Gandhi, amava ile opere di Tommaso d'Aquino e faceva anche delle incursioni nelle novità teologiche del tempo, come gli di Romano Guardini. Insieme all'assistente diocesano dell'Azione Cattolica, don Josef Ferrari, rifletteva sulla deriva della politica e sulle minacce alla fede provocate da una visione idolatrica del nazismo come sistema di salvezza e di redenzione. Spesso Josef si incontrava con un gruppetto di giovani nella Stube del suo maso, fra i vigneti di Bolzano, per leggere il Mein Kampf di Hitler o il Mito del XX secolo di Rosenberg provando disgusto e disprezzo per gli elementi fondanti l'ideologia nazista che apparivano ai suoi occhi come tentativi di dare fondamento ad una nuova forma di “religione” infarcita di potenza e di prepotenza. Così annotava Josef nel 1936: «Ci tocca oggi assistere a un culto del leader (Führer) che rasenta l'idolatria. Tanto più può stupirci questa fiducia nel leader se consideriamo il fatto che viviamo in un'epoca piena delle più straordinarie realizzazioni dello spirito umano in tutti i campi della scienza e della tecnica: in un'epoca piena di scetticismo, in cui il singolo non vale nulla, solo la massa, il grande numero, ha senso».

E che l'obiettivo di Hitler, ancora prima di dominare il mondo, fosse quello di uccidere Dio è ancora oggi un tema di dibattito storico e filosofico. Così riflette oggi Ágnes Heller, la pensatrice ungherese sopravvissuta al ghetto di Budapest mentre il padre veniva deportato e ucciso ad Auschwitz: «Hitler si sentiva un dio. Voleva estirpare tutti gli ebrei dalla terra. Non gli interessava tanto il vincere la guerra. Il suo scopo era l'annientamento totale degli ebrei. Resta una domanda: perché? Per quale motivo Hitler perseguiva questo proposito metafisico? La mia opinione, che è poi anche quella di Kértesz, è che egli voleva uccidere Dio. Questo è un obiettivo di carattere religioso e non politico. Egli voleva uccidere Dio e cancellare il cristianesimo, che comanda 'amore per il prossimo come principio supremo. Hitler si sentiva un idolo pagano»5.

Quando, nel 1939, il Sudtirolo precipita nella trappola della divisione etnica e ideologica e si stipula a Berlino, fra le delegazioni dei due stati totalitari - il famigerato “accordo delle opzioni” per risolvere “il problema” della presenza di cittadini tedeschi in quella provincia dell'Italia fascista sottoposta ad un processo furioso di italianizzazione forzata - Josef Mayr-Nusser si schiera con quella minoranza illuminata di cittadini di madrelingua tedesca che decidono di obiettare alla logica dell'opzione, ossia decidere se voler mantenere i propri diritti all'identità tedesca e quindi emigrare nel Reich o perdere completamente questi diritti e rimanere nell'Italia fascista. La grande maggioranza scelse l'opzione per il Reich, che significava l'abbraccio a Hitler come possibile liberatore del Sudtirolo dal giogo del fascismo e al contempo l'appartenenza al sogno di una grande Germania unita dalla purezza del sangue e dalla forza della coesione. Pochi ebbero il coraggio di opporsi, anche perché subito scattava la violenza mimetica e la propaganda ideologica contro questi “traditori” della compattezza etnica che venivano apostrofati come “walsche” (italianacci bastardi).

Josef non solo decise di obiettare all'opzione, ma entrò a far parte dell'unico gruppo organizzato di resistenza al nazismo e al fascismo attivo sulla direttrice del Brennero: l'Andreas Hofer Bund. Il suo compito fu di convincere il maggior numero di sudtirolesi a rifiutare l'accordo delle opzioni e a non abbandonare la propria terra.

Fu anche a causa di questo suo impegno militante e politico che Mayr-Nusser venne arruolato a forza nelle divisioni dell'esercito nazista e condotto a Konitz per l'addestramento.

I mesi in carcere furono durissimi. Le razioni di cibo erano centellinate, il freddo gli causava seri problemi fisici. Il 14 novembre Josef viene trasferito nel carcere di Danzica in attesa del processo. L'ultima lettera a Hildegard è datata 5 dicembre 1945: «Carissima Hildegard, dal 14 novembre mi trovo nella prigione di carcerazione preventiva di Danzica, la bella e antica città sul Baltico dove ha sede il tribunale per le SS (…) Non posso ancora dirti quando si deciderà la mia sorte e di prego di pazientare. Dio, il Padre pieno di amore che veglia su di noi non ci abbandonerà».

Il processo si chiude agli inizi di febbraio con la condanna a morte di Josef per “Wehrmachtsersetzung” (disfattismo). La destinazione è il campo di sterminio di Dachau.

Il treno con il carico di condannati parte da Danzica su carri piombati. Sosta a Buchenwald per qualche giorno e poi riprende la corsa ma un bombardamento alleato distrugge la ferrovia e il treno è costretto a sostare alla stazione di Erlangen. Josef è malato. Ha una forma di dissenteria molto grave e un edema polmonare. Legge continuamente il vangelo e il messale. Dice “grazie” per ogni minimo gesto di attenzione che gli viene rivolto. L'ufficiale che ha in custodia il treno, un giovane ex seminarista arruolato nelle SS, Fritz Habicher, ha ricostruito, dopo quarant'anni, gli ultimi giorni di vita di Josef Mayr-Nusser: «Quando ci siamo accorti che Josef stava soffrendo tantissimo a causa delle privazioni subite in tanti mesi di carcere, abbiamo deciso di portarlo di peso nell'ospedale di Erlangen dove speravamo potesse venire curato a dovere. Dopo tre ore di cammino, in condizioni allucinanti, finalmente troviamo un medico che lo visita sommariamente e dice che possiamo riportarlo subito al treno perché non sta poi così male. Così fummo costretti a caricarcelo di nuovo ij spalla per rimetterlo sul vagone. Allora capimmo che non sarebbe rimasto ancora per molte ore in vita. Nel vagone si creò subito un clima di partecipazione e amicizia. La mattina del 24 febbraio trovammo Josef Mayr-Nusser morto. L'ultima parola che udimmo fu un “grazie”. Teneva stretti fra le mani il messale, un rosario e il vangelo».

In una delle ultime lettere a Hildegard, Josef aveva parlato dell'amore declinando il verbo al passato: «Amatissima Hildegard, ciò che mi ha particolarmente riempito di gioia nella tua ultima lettera è quanto scrivi dell'amore. Sì, era veramente il primo amore profondo a autentico. E siccome ti conosco e so che cosa ci unisce più intimamente sono convinto che questo amore reggerà anche alla prova rappresentata dal passo impostomi dalla mia coscienza. Hildegard, moglie diletta, sii forte, Do non abbandonerà né te né me».

Dopo settant'anni la memoria di Josef Mayr-Nusser comincia ad essere riconosciuta come una delle grandi storie dell'antinazismo a livello mondiale. Così l'ha espressa Pitro Scoppola prima di morire: «Nel panorama d'opposizione cristiana al nazismo il rifiuto di Josef Mayr-Nusser rimane come uno dei punti più alti circa le motivazioni profonde per cui era impossibile e impensabile l'adesione della Chiesa al nazionalsocialismo»». E il giornalista del Tg1 Paolo Giuntella, che fu uno dei primi lettori in Italia della storia di Mayr-Nusser, scrisse: «Josef Mayr-Nusser è stato il primo obiettore di coscienza del nostro Paese. Il suo gesto, come quello di Tommaso Moro e Franz Jägerstätter rappresenta il riscatto di tanti cristiani, anche buoni, ma rassegnati di fronte al fascismo e al nazismo».

«Ogni volta che penseremo a lui o vedremo la sua tomba a Collalbo sul Renon saremo chiamati a imitare il suo esempio, cercando anche solo per un attimo di avvicinarci alla serietà con cui egli, che ha sacrificato la propria vita, ha guardato alla testimonianza di Cristo» (A. Langer)

Da alcuni anni gruppi di giovani, di scout, di uomini e donne in cerca dei segni della memoria antinazista e antifascista salgono a Lichtenstern (Stella di Renon), un incantevole luogo di montagna a venti minuti da Bolzano, per mettere un fiore sulla tomba di Josef Mayr-Nusser e rileggere la vita, nella chiesina dove è sepolto e dove ogni 24 febbraio ci si incontra per ricordare l'uomo che disse no a Hitler: «Ogni volta che penseremo a lui o vedremo la sua tomba a Collalbo sul Renon saremo chiamati a imitare il suo esempio, cercando anche solo per un attimo di avvicinarci alla serietà con cui egli, che ha sacrificato la propria vita, ha guardato alla testimonianza di Cristo» (Alexander Langer).6

1F. Comina, L'uomo che disse no a Hitler. Josef Mayr-Nusser, un eroe solitario, il Margine, Trento 2014

2L'arruolamento forzato di giovani sudtirolesi nelle file delle SS era un atto illegale, proibito dalla Convenzione dell'Aja che stabiliva che una potenza occupante (dopo l'8 settembre del 1943 la Germania invase l'Italia) non potesse arruolare al proprio interno cittadini di una potenza occupata.

3Le testimonianze dei compagni di stanza di Josef Mayr-Nusser a Konitz sono state raccolte nel libro di Reinhold Iblacker, Non giuro a questo Führer. Un testimone della libertà e del pensiero e vittima del nazismo, Sono edizione, Bolzano-Innsbruck 1990. Alcune compaiono anche nel documentario “Essere testimoni. Josef Mayr-Nusser, girato da Lucio Rosa e diretto da Peter Egger, per la sede Rai di Bolzano (1995)

4Josef Mayr-Nusser, Discorsi, articoli, lettere di un martire dei nostri tempi (a cura del postulatore Josef Innerhofer), Casa editrice A. Weger, Bressanone 2010, p. 148

5Ágnes Heller con Francesco Comina e Luca Bizzarri, I miei occhi hanno visto, il Margine, Trento 2012 p. 39

6A. Langer, Josef Mayr-Nusser: martire sudtirolese. Dovete essermi testimone fino alla fine del mondo in Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996 p. 34.