Politik | Dibattito

L'autodeterminazione degli altri

A che punto è il dibattito sull’autodeterminazione sudtirolese? Sempre al solito. E nemmeno la recente votazione catalana può contribuire a cambiare molto le cose.

Qualche giorno fa ho pubblicato sul “Corriere dell’Alto Adige” un articolo di fondo sui riflessi delle elezioni regionali catalane in ambito locale (immaginandomi cioè i possibili effetti che quel voto ha o avrà nella discussione sul tema dell’autodeterminazione). Sento l’esigenza di riprendere il discorso precisandolo meglio e traccerò così alcuni punti/appunti a futura memoria. Lo farò in modo molto schematico, mettendo a fuoco un’idea per volta.

Plebiscito o segnale?

Si è molto discusso sul significato da dare al numero dei votanti alle elezioni catalane. Nel mio pezzo sul “Corriere” ho scritto che i favorevoli alla secessione hanno “chiaramente prevalso”. Commentando sul mio blog, Stefano Fait ha scritto: “Gabriele, in un referendum il 47,8% significherebbe sconfitta, non trionfo. Non a caso i titoli più usati sono vittoria a metà, vittoria zoppa, ecc. Inoltre è evidente che i separatisti di sinistra (Cup) non condividono nulla del programma politico dei separatisti maggioritari (destra liberista di Cdc), oltre al comune desiderio di realizzare uno stato sovrano. Un po’ poco per amministrare la cosa pubblica”. Accetto in parte l’obiezione. Dal sito bbd assumo la seguente considerazione: “Die Unabhängigkeitsbefürworter konnten 47,78% der WählerInnen hinter sich scharen, und damit deutlich mehr, als die Unabhängigkeitsgegner (39,14%), aber aufgrund der Anwesenheit von Parteien, die sich zur »Gretchenfrage« nicht positioniert hatten, nicht die absolute Mehrheit”. In ogni caso mi pare che, anche se non possiamo parlare di “plebiscito” o di “trionfo”, certamente non possiamo parlare di “sconfitta” degli indipendentisti e la volontà maggioritaria dei catalani appare comunque quella di procedere verso la secessione. Questo è il “dato” dal quale dobbiamo partire e sarà la superficie del confronto futuro.

E la “doppia cittadinanza”?

Faccio notare tra parentesi che quando ci si mette a parlare di autodeterminazione, il tema della “doppia cittadinanza” passa sullo sfondo. E viceversa. Questo per dare l’idea sulla scarsa chiarezza degli obiettivi da raggiungere, al di là dell’ovvio (e non di rado infantile) desiderio di poter togliersi di dosso un’identità statuale indesiderata (senza ovviamente perdere nulla del resto).

Quando il consenso è davvero legittimo e può imporsi alla minoranza?

La domanda l’ha formulata Francesco Palermo, nel suo editoriale pubblicato anch’esso stamani sul quotidiano “Alto Adige”. La risposta non propone una cifra, evidenzia giustamente la debolezza dell’argomento “chi ha il 50% più un voto vince” e suggerisce  anche che in presenza di un “segnale forte e chiaro (…) Madrid non potrà più permettersi un atteggiamento di chiusura rigida”. È quel che vedremo. Di passaggio dico che “un atteggiamento di chiusura rigida” potrebbe solo fare il gioco dei separatisti, anche se generalmente dal “muro contro muro” poi non sortiscono effetti commendevoli.

Gli altri e noi (prima gli altri e poi noi)

Uno dei punti che più colpiscono, quando si parla di autodeterminazione, è che ormai l’intero dibattito è sempre più influenzato da quanto accade fuori dai confini della provincia. Accadde in realtà anche anni fa, quando qualche irresponsabile sperava che fossimo raggiunti dal “vento balcanico”. Poi si è visto come andò a finire, da quelle parti. Comunque, tornando a tempi più recenti, prima la Scozia, adesso la Catalogna. Se ne può concludere solo questo: all’interno del Sudtirolo le argomentazioni a favore dell’autodeterminazione sono diventate del tutto rituali e confinate nei soliti spazi (circoli patriottici, blog tematici ecc.) e anche queste si nutrono di quel che accade all’estero, come se la spinta propulsiva dall’interno fosse venuta meno o si fosse comunque inaridita. Il tema è ormai: se lo fanno gli altri, perché noi no? Oppure: prendiamo esempio! Oppure, ancora: speriamo che a livello europeo si instaurino dinamiche in grado di cambiare la nostra situazione. Una Klotz 2.0 deve ancora nascere, insomma.

Dinamiche (o statiche) locali

Un punto centrale nella discussione – continuando a comparare quanto sta avvenendo in Catalogna e ciò che avviene (o meglio: non avviene) qui – riguarda l’esistenza di una sufficiente massa critica (non etnicamente determinata, questo è decisivo) in grado di portare avanti quel processo di “nation-building” necessario, anzi indispensabile a poter anche solamente pensare di favorire una richiesta unilaterale di secessione (visto che l’altra via, quella scozzese, motivata cioè dalla “concessione” di un referendum secessionistico da parte dello Stato centrale, è a tutt’oggi impensabile). Bene, io credo che una tale massa critica non ci sia (a meno di considerare la relazione tra Ulli Mair e l’ex Commissario del Governo di Bolzano un segno premonitore e, soprattutto, una possibile fucina di figli). La popolazione altoatesina/sudtirolese è ancora culturalmente e politicamente poco omogenea e non ha ancora dato la sensazione di integrarsi fino al punto di poter “sognare” un futuro comune al di fuori della cornice istituzionale esistente. La Svp, vale a dire il partito tuttora dominante, ancorché molto indebolito, continua a concepirsi come punto di riferimento della “minoranza” tedesca e ladina (questa è la sua ragione sociale e anche la giustificazione della propria esistenza), mentre gli italiani sono letteralmente “decomposti” in una pletora di partiti tutti (senza eccezioni) gravitanti sui loro riferimenti nazionali. L’unico partito “inter-etnico” esistente (cioè i Verdi) non coltiva da tempo “visioni” di tipo geo-politico che non siano quelle di una vaga fiducia nell’esistenza dell’Europa (e si tratta, comunque, sempre di un’Europa delle Nazioni, mai delle Regioni, e men che meno delle Province…). Anche altre tipologie di configurazioni geo-politiche alternative o propedeutiche alla secessione, come ad esempio l’Euroregio, non godono di molta stima popolare. Non gode neppure di troppa stima il cosiddetto “patriottismo costituzionale” del quale (alludendo al filosofo Jürgen Habermas) parla ogni tanto il Landeshauptmann Arno Kompatscher (forse perché in pochissimi hanno letto Habermas…), in genere per dirci che i lavori della “Convenzione” sull’autonomia faticano un po’ a partire….

Riassumendo

Riassumendo, come dice giustamente Palermo alla fine del suo editoriale, “il caso catalano solleva interessantissimi interrogativi, il cui rilievo va ben oltre i confini spagnoli. Ma che non lambisce, per il momento, le Alpi”. Quel che resta sono brandelli di discussioni amatoriali, che avvengono perlopiù in circoli ristretti, durante convegni o Podiumsdiskussionen in cui si sbadiglia molto, in massima parte in lingua tedesca, anzi SEMPRE in lingua tedesca e fra tedeschi (unica eccezione segnalata: il senatore Palermo), di contenuto approssimativo e di portata velleitaria. Certo, anche ciò che sembra più irrigidito e condannato a ripetersi in eterno potrebbe all’improvviso a cambiare. Adesso non sapremmo però dire come e per merito (o demerito) di chi. Così ci limitiamo ad osservare (e commentare) l’autodeterminazione degli altri.