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Kultur | Avvenne domani

Tra due divise

Andrea Di Michele racconta il dramma dei soldati trentini nella Grande Guerra.

E' un libro molto interessante quello scritto da Andrea Di Michele per i tipi della Laterza e dedicato all'avventura delle genti trentine, di quelle in divisa soprattutto, durante gli anni della Grande Guerra. Il volume, sugli scaffali delle librerie da alcuni giorni, si intitola "Tra due divise" e il titolo dice già parecchio sul contenuto. Frutto di una ricerca minuziosa tra documenti ufficiali e lettere private, racconta, con uno stile godibilissimo e senza inciampi dovuti al vizio di affliggere il lettore con una massa di materiale di difficile digeribilità, l'odissea che toccò in sorte ai sudditi italiani dell'impero austroungarico durante grande conflitto che doveva segnare la fine. Trentini, triestini, istriani e abitanti del Litorale si trovarono coinvolti, loro malgrado, in una serie di avvenimenti in cui momento culminante, ovviamente, fu quel 24 maggio 1915 all'indomani del quale l'Italia divenne la grande nemica e traditrice.

Di Michele vuole raccontare questa storia, fatta di dolori, fame ed emarginazione politica e sociale ad un pubblico di lettori, quello della Penisola, che ha sempre saputo assai poco di queste vicende. L'iconografia ufficiale, scolpita nella pietra durante il periodo fascista, ha lasciato ben poco spazio alle immagini di una realtà nella quale i miti risorgimentali e gli entusiasmi irredentistici occupavano uno spazio abbastanza definito, al di fuori del quale c'era tutto un mondo di tradizioni, di affinità culturali, di appartenenze spesso slegate dalla semplice questione linguistica.

Su questo mondo antico la guerra irrompe con una furia devastatrice. Già prima di quella che Francesco Giuseppe definisce "una fellonia, quale la storia non conosce l'eguale",i coscritti italiani arruolati nel primo anno di guerra sono osservati con sospettosa attenzione, come possibili agenti di un nemico non ancora dichiarato. All'indomani della dichiarazione di guerra i sospetti si tramutano in certezze. Il libro racconta i provvedimenti con i quali i soldati di madrelingua italiana vengono allontanati dal fronte meridionale sparpagliati, isolati, controllati all'interno di unità impegnate sul fronte russo o su quello balcanico.

Li accompagna una diffidenza che trova, paradossalmente ma non troppo, il suo pendant nell'atteggiamento analogo con il quale le autorità militari italiane guardano ai volontari, irredentisti entusiasti e convinti, che hanno varcato i confini per combattere sotto il tricolore.

Un capitolo fondamentale del volume è quello dedicato alle migliaia di prigionieri caduti in mano, sin dalle prime settimane di guerra, all'esercito russo e la cui sorte sarà segnata dal susseguirsi degli avvenimenti bellici, sino alla rivoluzione sovietica e al trattato di pace con gli Imperi Centrali. Qui negli ultimi anni la memorialistica ha scavato con impegno e successo nell'immenso archivio dei diari di guerra e delle lettere dal fronte e dalla prigionia. Ne esce un panorama nel quale, all'interno di quei microcosmi rinchiusi dai reticolati, si riproducono, anche per effetto di questa o quella azione di propaganda, divisioni e contrasti che preesistevano alla guerra stessa e che poi, negli anni successivi, quando sarà completato il lungo e doloroso rientro dalla prigionia, rimarranno spesso colpevolmente celati.

Il libro di Andrea Di Michele ha, tra gli altri, anche il merito di rimettere sotto la luce della ricerca storica queste differenze, questi contrasti. È un contributo interessante alla rilettura critica di avvenimenti dei quali ci separano ormai un secolo. La speranza è che serva a diradare almeno un po' la nebbia dell'oblio e dell'indifferenza che, in Alto Adige, ha coperto in questi anni il centenario di quella che un Pontefice definì "l'inutile strage".