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Sulla coscienza

Nuove rivelazioni sul caso Adan: una e-mail prova le responsabilità della Provincia. L’avvocato Nicola Canestrini si oppone alla richiesta di archiviazione.
Adan
Foto: upi

La Provincia sapeva. Una e-mail spariglia le carte nel caso Adan, il tredicenne curdo-iracheno malato di distrofia muscolare dalla nascita - e per questo costretto su una sedia a rotelle -, deceduto all’ospedale di Bolzano il 7 ottobre 2017 per un’embolia polmonare gassosa. E per mala accoglienza. I fatti: la Procura di Bolzano aveva chiesto l’archiviazione, per mancanza di dolo, del fascicolo riguardante un funzionario della Provincia indagato per omissione di atti d’ufficio. Dall’indagine emerse che il funzionario era stato informato della presenza in città del bambino il 3 ottobre, ovvero lo stesso giorno in cui Adan venne ricoverato in ospedale, non rendendosi dunque colpevole della presunta mancata assistenza. Ancora in corso invece il filone di inchiesta che vede indagati vede per omicidio colposo dieci medici del San Maurizio che avevano in cura il minore. 

 

Nessuna scusa

 

La vicenda giudiziaria si arricchisce di nuovi elementi di prova. Oggi (5 dicembre) l’avvocato della famiglia di Adan, Nicola Canestrini, insieme ai colleghi Giovanni Guarini, Chiara Bongiorno e Amanda Cheneri, ha depositato presso il Tribunale di Bolzano un atto di opposizione alla richiesta di archiviazione chiedendo di proseguire le indagini. Il Pm - si legge nella memoria - “pervenendo erroneamente ad opposte conclusioni, oltre a travisare gli elementi probatori già a sua disposizione, ha omesso di accertare e, quindi, di considerare ulteriori elementi di prova di rilevanza decisiva ai fini di una completa e veritiera ricostruzione dei fatti e di una precisa individuazione di responsabilità penale, chiedendo l’archiviazione, senza effettuare neppure un atto di indagine […]”.

In primis il fatto che Adan fosse disabile era ragione sufficiente perché la Provincia attivasse il circuito dell’assistenza. Si legge ancora, infatti, nel documento: “Vi è un errore di fondo, posto che già solo la conoscenza che il minore ‘era in sedia a rotelle’ e quindi disabile, riconosciuta dalla stessa accusa, era fatto che faceva sorgere l’obbligo del soggetto agente ad assumere le appropriate iniziative di accoglienza nei confronti di quelle persone vulnerabili, sic, si veda l’art. 17 d. lgs. 142/2015 vigente all’epoca dei fatti: «1. Le misure di accoglienza previste dal presente decreto tengono conto della specifica situazione delle persone vulnerabili, quali i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all'orientamento sessuale o all'identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali....4. Nell'ambito del sistema di accoglienza territoriale di cui all'articolo 14, sono attivati servizi speciali di accoglienza per i richiedenti portatori di esigenze particolari, individuati con il decreto del Ministro dell'interno di cui all'articolo 14, comma 2, che tengono conto delle misure assistenziali da garantire alla persona in relazione alle sue specifiche esigenze [...]”.

 

L’e-mail del 2 ottobre

 

La rivelazione è contenuta in un'e-mail inviata il 2 ottobre alle ore 16.24 da una dipendente del Servizio Integrazione Sociale dell'Azienda Servizi Sociali di Bolzano al funzionario della Provincia scagionato e per conoscenza a Luca Critelli, direttore della Ripartizione Politiche sociali, nonché autore della contestata circolare che porta il suo nome, documento che di fatto - è opportuno ricordare - non può derogare a una normativa statale ed europea e dunque dovrebbe ritenersi automaticamente inapplicabile. “Pur consapevoli della situazione di estrema vulnerabilità comunico l’impossibilità di collocamento per la famiglia Abdulrahman in quanto non rientrano nei criteri della circolare”, scrive l’impiegata. È la prova provata che la Provincia era a conoscenza della condizione di vulnerabilità del bambino ancora prima che questi entrasse in ospedale la prima volta. Nei giorni successivi, seguono altre e-mail, in cui le associazioni di volontari comunicano all’Istituzione provinciale le gravi condizioni di salute del minorenne disabile. Ma nulla si muove, e la tragedia si compie.

Mi aspetto che ora l’autorità giudiziaria si muova seguendo la normativa”, dichiara a salto.bz l’avvocato Canestrini, che al gip chiede di non accogliere la richiesta di archiviazione, di disporre la prosecuzione delle indagini ma anche di indagare l’autore della circolare per rifiuto ed omissione d'atti d'ufficio (328 co. 1, 110 c.p.) - oltre che per morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 codice penale) - “perché è troppo semplice far pagare il dipendente della Provincia quando il documento in questione è stato emesso dal direttore di Ripartizione il quale, come si evince dalle carte in nostro possesso, era informato della gravità della situazione in cui versava il minorenne, e dunque non solo il dolo c’era, ma vi era la premeditazione nel trattare casi come questo in modo difforme da quanto previsto dalla norma di legge”, conclude il legale.

 
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maximilian kollmann Do., 06.12.2018 - 07:54

Leider sind fast alle Medien – vom Spiegel über den ORF bis salto – von der unvoreingenommenen Berichterstattung zur subjektiven, manchmal sehr subtilen Meinungsmache übergegangen. Und haben damit der 4. Gewalt einen Bärendienst erwiesen.

Do., 06.12.2018 - 07:54 Permalink