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Politik | Avvenne domani

Il caso Irlanda

Come una questione di confine rischia di far saltare la Brexit

Noi altoatesini dovremmo seguire con particolare attenzione quel che succede a Londra e a Bruxelles dove, in questi giorni, si consumano le ultime speranze di trovare un'intesa sulla procedura di uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea. La cosa ci riguarda assai più di quanto si potrebbe pensare.

Mi spiego.

L'inciampo sul quale rischiano di saltare definitivamente di accordi faticosamente raggiunti tra i diplomatici del Regno Unito e quelli dell'UE è costituito, come noto, dalla questione dei confini tra le due parti in cui, da quasi un secolo ormai, è divisa l'Irlanda.

Per capire i termini della questione e l'importanza che riveste occorre quindi percorrere un brevissimo excursus storico. Dopo secoli di asservimento totale al potere inglese, agli inizi del novecento, gli irlandesi, stufi di essere sfruttati e mantenuti in uno stato di minorità politica, sociale ed economica, sviluppano una pressione sempre più forte per ottenere l'indipendenza. Non senza che venga versato molto sangue, all'inizio degli anni 20 il processo porta alla creazione di una Repubblica Irlandese finalmente indipendente da Londra, ma a questo stato vengono sottratte le contee più settentrionali del paese dove vive una popolazione che in maggioranza è di religione protestante e che quindi non vuole avere nulla a che fare con la cattolica Irlanda. In quelle terre vive però anche una cospicua minoranza cattolico/irlandese che aspira invece a riunirsi al resto del paese. I tentativi di assicurare una forma di convivenza pacifica tra le due comunità si rivelano da subito assai complessi e la tensione sale progressivamente sino a sfociare, nella seconda metà del secolo, in una serie apparentemente interminabile di violenze che conduce l'Irlanda del Nord sull'orlo della guerra civile. Sono gli anni nei quali l'esercito e le forze di sicurezza britanniche si rendono responsabili di una repressione ferocissima, in una realtà contraddistinta da povertà e sottosviluppo e nella quale si muovono, con altrettanta violenza, anche i gruppi paramilitari protestanti e l'IRA, l'esercito repubblicano irlandese, a sua volta protagonista di sanguinose imprese.

Solo in tempi più recenti la constatazione della totale inutilità del ricorso alla violenza porta le parti in causa alla ricerca di una difficile conciliazione. Gli accordi di pace, che prevedono tra l'altro la rinuncia all'uso della violenza da parte di tutte le formazioni armate, hanno uno dei loro caposaldi nella quasi totale scomparsa del confine tra nord e sud che ha permesso di placare la tensione della minoranza cattolica senza nel contempo costringere la maggioranza protestante ad un indesiderato cambio di nazionalità.

In pratica: una complessa e difficilissima questione che coinvolge due comunità conviventi sullo stesso territorio viene risolta con una serie di accordi politici ma trova uno dei suoi fattori di pacificazione fondamentali dal fatto che ambedue i paesi confinanti si trovano uniti in una comune struttura europea.

Vi ricorda qualcosa per caso?

Succede adesso che il popolo inglese, con una decisione che, a parere di chi scrive, getta ombre assai sinistre sulla validità delle teorie di chi propugna sempre comunque il ricorso alla democrazia diretta, decide di uscire dall'Unione. Sul tavolo della trattativa, assieme a tutti gli altri enormi problemi di carattere politico e sociale, piomba ovviamente anche la questione irlandese. A Belfast e dintorni sono ben consci del fatto che il ripristino di un confine come quello esistente fino agli anni 80 tra Nord e sud del paese potrebbe avere conseguenze drammatiche ed infatti le contee hanno votato a maggioranza contro la Brexit. Ora però il rischio diviene concreto e da un lato i cattolici non vogliono veder sfumare i rapporti allacciati in questi anni, proprio grazie alla comune appartenenza europea, con Dublino, ma d'altro canto i protestanti-unionisti intendono scongiurare in ogni modo la possibilità che l'Irlanda del Nord venga in qualche modo separata dal resto della Gran Bretagna. A complicare ulteriormente la questione il fatto che proprio i protestanti del Partito Unionista Democratico, con i loro 10 seggi, sono essenziali per assicurare la maggioranza alla Camera dei Comuni per il Governo conservatore della Premier Theresa May. Quando quest'ultima si presenta in Parlamento con l'accordo stipulato con l'Europa in base al quale il confine irlandese rimane sostanzialmente aperto, succede ovviamente il finimondo. Si tratta di un oggettivo annacquamento della Brexit così come la immaginavano i conservatori più antieuropei. Di fronte alla quasi certezza di una bocciatura parlamentare dell'accordo, la May deve far marcia indietro e tentare una quasi impossibile riapertura delle trattative con Bruxelles.

Nessuno può sapere, mentre scriviamo, come finirà l'intera vicenda ma una cosa è assolutamente chiara: il processo di costruzione di un'Europa unita ha abbattuto molte barriere tra gli Stati del continente e tra di esse alcune costituite da confini, attorno ai quali, nei decenni passati, si è sofferto e si è combattuto.

Oggi la sola ipotesi di ripristinare quelle barriere, quei muri quelle sbarre di confine rischia di riaprire contenziosi che si speravano sepolti per sempre, e far ripiombare delle tensioni, nei conflitti, dalla violenza terre che parevano aver conquistato il diritto alla pace sociale e allo sviluppo economico attraverso la pacifica convivenza.

Così, perlomeno, in Irlanda, ma forse sarebbe bene che su tutte queste questioni facessimo un'ampia riflessione anche noi altoatesini che, all'ombra di uno di quei confini, viviamo.

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pérvasion Mo., 17.12.2018 - 10:05

Mancano due «piccoli dettagli»: il trattato di pace prevede

a) il doppio passaporto
b) il diritto di autodeterminazione

Se vogliamo fare paragoni col Sudtirolo mettiamo tutte le carte in tavola ;)

Mo., 17.12.2018 - 10:05 Permalink