Gesellschaft | Disablità

Eichmann è tra noi

I nazisti non erano marziani
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Foto: Sconosciuto

Stasera, al teatro comunale di Bolzano, andrà in scena “Eichmann. Dove inizia la notte”, di Stefano Massini con Ottavia Piccolo e Paolo Pierobon. Se ho capito, l’autore ipotizza un’immaginaria intervista di Hannah Arendt al gerarca nazista Adolf Eichmann, ispirata al celebre libro della filosofa tedesca “La banalità del male”. Libro che ho iniziato a leggere, per una mera coincidenza, proprio lo scorso inverno. Ho dovuto, mio malgrado, interrompere la lettura a metà. “Forse perché non riuscivi a sopportare la descrizione delle atrocità commesse dai nazisti ai danni degli ebrei riportate dall’autrice?”, si dirà. Nient’affatto, ché di tali episodi nel libro non ne sono citati, ma perché, preso atto che Eichmann è tutt'ora tra noi, non me la sono sentita di proseguire.

Le organizzazioni (almeno quelle in cui mi è capitato di incocciare) pullulano di personaggi simili a Eichmann. Il loro peccato originale non consiste tanto nell'ambizione ad una fulgida carriera (tutto sommato, una legittima aspirazione), quanto nell’accantonare deliberatamente le responsabilità delle azioni da loro commesse per scalare la gerarchia nascondendosi dietro il dito del "fare il proprio dovere" e, non di rado, travalicando sovente i limiti del ruolo loro assegnato (fenomeno noto come "eccesso di zelo", cui corrisponde un preciso reato: l'abuso di ufficio).

Eichmann è qualsiasi persona che “consiglia” al genitore dell’alunno disabile di firmare la riduzione “volontaria” di orario nell’interesse del figlio (che sia più interessante per un adolescente disabile rimanere a casa da solo piuttosto che in una scuola con i coetanei equivale ad affermare che la scuola è un posto così orribile per il disabile che persino la solitudine casalinga è preferibile).

Eichmann è quel dirigente, condannato dal TAR, perché aveva incluso le ore di programmazione dell’assistente all’integrazione nel numero complessivo di quelle che il diritto stabilisce debbano essere invece dedicate all’alunno disabile.

Eichmann è quel dirigente, oggetto di un'ordinanza del TAR, che aveva arbitrariamente assegnato ad un alunno disabile un numero di ore assolutamente non congruo con quelle a lui spettanti per legge.

Eichmann è il funzionario pubblico che ostacola in tutti i modi possibili l’assunzione di nuovi insegnanti di sostegno, impedendo ai disabili di beneficiare di quel diritto allo studio che il Legislatore, nazionale e internazionale, ha previsto.

Eichmann è, infine, il politico che, nelle sedi istituzionali, ostacola e impedisce che siano assegnate al comparto dell’istruzione ai disabili le risorse adeguate.

Tutti questi infatti agiscono solo nel proprio interesse, nella piena convinzione di "fare il proprio dovere" e senza il minimo rimorso di coscienza per il crimine che, di fatto, collaborano a porre in atto.

Non sono stupido, sono consapevole che le conseguenze delle azioni delle figure sopra menzionate siano decisamente diverse da quelle del gerarca nazista, tuttavia la differenza - questo il messaggio della Arendt - si spiega solo per un mero accidente temporale: se fossero vissuti sotto il nazismo, si sarebbero comportati proprio come Eichmann. Vi è però un'aggravante: Eichmann agì secondo un’interpretazione errata, tuttavia diffusa, del concetto di “dovere” che solo a seguito del suo processo si è potuto compiutamente comprendere [1]. Egli poté avocare quella come motivo di non colpevolezza [2] poiché i suoi superiori gli avevano effettivamente ordinato di contribuire allo sterminio degli ebrei. Il mandato delle figure che ho citato, al contrario, è esattamente l’opposto, poiché il Legislatore si è espresso più e più volte a favore dell’inclusione, non all’esclusione, del disabile nella società e, in particolare, nella scuola.

Come giustificare allora tanto astio da parte nei confronti dei disabili, soprattutto mentali? Il motivo non è, come spesso viene raccontato ai genitori, che “non ci sono soldi”, poiché chiunque in Alto Adige sa che, quando la Pubblica Amministrazione vuole, i soldi ci sono per finanziare qualsiasi “iniziativa” (in italiano esiste una parola più adatta per indicare molte delle iniziative di questo tipo, ma non voglio scadere nella volgarità). La ragione è che in quelle persone è radicata la convinzione che investire risorse nell’educazione del disabile mentale sia assolutamente inutile, poiché – in quanto tale – egli non potrà in alcun modo giovarsene. Si tratta dunque di una motivazione di ordine in primo grado culturale, solo in seconda battuta economica. In virtù delle quali tuttavia si sentono legittimati a condannare altri diversi da loro all’emarginazione perpetua. Riesumando, guarda caso, quel concetto di “Lebensunwertes Leben” (vita indegna di essere vissuta) in virtù del quale i nazisti destinarono a morire migliaia di disabili. Non solo Eichmann dunque, ma certa parte dell’ideologia nazista è ancora presente nella nostra società, in barba alla retorica con cui - talvolta proprio quelle persone! – condannano gli ideatori del terzo Reich.

Una sola colpa addebito alla Arendt: il titolo del libro – che forse non ha scelto lei – non avrebbe dovuto essere “La banalità del male”, poiché in tal modo le responsabilità degli atti compiuti paiono essere addebitati ad un’entità, il male appunto, astratta e, in quanto tale, incolpevole. Il titolo corretto sarebbe stato “La banalità dei malvagi”, a sottolineare che la responsabilità del male è sempre personale. Anzi, meglio ancora “La malvagità dei banali”, per evidenziare che la malvagità è conseguenza della banalità e non viceversa.

[1]   Il riferimento è, ovviamente, a “L’obbedienza non è più una virtù”, affermazione che dà il titolo al testo che contiene la stupenda “Lettera ai giudici” scritta da Don Lorenzo Milani in occasione del processo intentato contro di lui da certi cappellani militari.

[2]   Paolo Mieli, nella sua trasmissione dedicata al gerarca nazista, spiega come questo abbia messo in difficoltà i giudici della corte israeliana e come il processo sia giunto ad una svolta quando un testimone riferì del crudele assassinio, da parte di Eichmann, di un bambino ebreo colpevole di aver rubato alcune ciliegie.