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Gesellschaft | Avvenne domani

Lo scalatore di Stalin

Franz Josef Sauberer, alpinista e comunista nel vortice del dramma del Novecento.

Ci sono molte vite, nell’Europa del Novecento, che si sono drammaticamente consumate nel fuoco provocato dai due grandi regimi dittatoriali che hanno dominato le cosiddette “terre di sangue”: quella hitleriana e quella dell’Urss di Giuseppe Stalin. Milioni di esistenze segnate dalla violenza, dal sopruso, dall’ingiustificato esercizio dell’arbitrio da parte dell’uomo sull’uomo.

Quella che raccontiamo oggi è la storia di una di esse.

Il nome di Franz Josef Sauberer, l’uomo che potremmo definire come lo “Scalatore di Stalin” non dirà probabilmente granché alla maggior parte di coloro che leggeranno queste note. Anche ciò che forse (dell’avverbio daremo spiegazione più avanti) lo lega alla nostra terra è un filo abbastanza tenue, ma sufficiente per darci modo di riavvolgerlo raccontando una vicenda esemplare di quei decenni e di quei tratti.

Franz Josef Sauberer nasce a Merano il 26 febbraio del 1904, decimo rampollo della famiglia di un dipendente delle ferrovie austriache. Il suo rapporto con la montagna sboccia ancora in età giovanile durante i lunghi mesi trascorsi dapprima come pastore e come lavorante negli alberghi sulle Dolomiti e nel Tirolo. È un alpinista già esperto quello che dunque, all’inizio degli anni 20, si trasferisce con la famiglia a Vienna dove lavora come apprendista in un’officina e dove si accosta, con sempre maggior impegno, all’ideologia comunista. Arrestato più volte dalla polizia, nel 1926, per evitare l’ennesima lunga condanna, segue il destino di molti dei suoi compagni di fede in quell’epoca. Fugge nell’Unione Sovietica. Il suo soggiorno nel paradiso dei lavoratori sembra iniziare sotto ottimi auspici. Trova lavoro come operaio in un’azienda che si occupa della costruzione di attrezzature specializzate per l’edilizia nelle zone di montagna e riesce così a trovare uno sbocco anche alla sua immutata passione per l’alpinismo. Entra a far parte di un organismo ucraino che si occupa appunto di organizzare escursioni e attività ricreative e, tra il 1929 e il 1931, assieme ad altri due alpinisti, Gustav Döberl e l’altro comunista austriaco Anton Zak, si rende protagonista di una serie di imprese che puntano alla scoperta di alcune delle vette ancora inesplorate nel massiccio del Tien Shan, nell’Asia centrale.

Questo sistema montuoso, lungo 2500 chilometri e largo in alcuni tratti sino a 500 chilometri, segna oggi il confine tra la Cina e il Kirghizistan. Dal punto di vista alpinistico le vette dello Tien Shan, il cui nome cinese significa “Montagne della luna” hanno poco da invidiare a quelle più note e frequentate della catena himalayana. In quegli anni Sauberer, assieme ai compagni di fede politica e di passione alpinistica ne conquista diverse. L’impresa di maggior rilievo, quella per cui ancor oggi è sia pur brevemente ricordato negli annali dell’alpinismo internazionale, è quella avvenuta l’11 settembre del 1931 quando Franz Josef Sauberer, assieme questa volta a due alpinisti russi, Michael Prohrebizkyj e Boris Tjurin, riesce a raggiungere la cima del Kahn Tengri, 7010 metri, la seconda cima della catena dello Tien Shan.

Negli anni successivi Franz Josef Sauberer continua la sua attività alpinistica nella zona del Caucaso. Purtroppo per lui, e per milioni di altre persone, sul capo di chiunque vivesse in quegli anni nell’unione sovietica sta per addensarsi una tempesta ben più letale di quelle che aveva affrontato durante le sue scalate. A metà degli anni 30 le purghe decise da Stalin per spazzar via qualunque tipo di opposizione, reale o anche solo immaginata, al suo potere incontrollato e dispotico si rivolgono anche soprattutto verso coloro che avevano creduto di trovare nell’Unione Sovietica una sorta di sicuro approdo dalle persecuzioni subite nel resto in un’Europa ormai largamente dominata dalle dittature di segno nazista e fascista. Una sorte cui non sfugge, e non poteva essere altrimenti, anche l’alpinista austriaco. L’8 giugno del 1937 Sauberer viene arrestato con accuse pesantissime: terrorismo, spionaggio, appartenenza a circoli trotzkisti, accusa quest’ultima che da sola bastava nella Russia sovietica di quegli anni, a far finire il malcapitato che se la trovava addosso davanti ad un plotone di esecuzione nel cortile della Lubjanka. Sauberer viene arrestato e interrogato, torturato e imprigionato in un gulag, sempre nel Caucaso. A questo punto però il suo destino si distacca da quello di altri milioni di sventurati finiti in Siberia o in una fossa comune. Nel gennaio del 1938, viene liberato ed espulso dell’URSS, consegnato a Brest Litovsk alle autorità germaniche. La sua sorte a questo punto si intreccia con quella della sua patria, l’Austria, che solo qualche settimana dopo viene invasa dai soldati di Hitler e con un plebiscito quasi unanime vota l’Anschluss al Reich germanico. Molti tra i prigionieri consegnati da sovietici ai nazisti passano direttamente dal gulag al lager, ma Sauberer non viene evidentemente considerato troppo pericoloso. Può tornare a Vienna. Non risulta idoneo all’arruolamento e trascorre gli anni successivi, quelli della guerra, lavorando in un’officina e ritrovando l’antico amore per l’alpinismo sulle montagne austriache. La morte violenta lo coglie egualmente, nel 1944, durante un bombardamento americano sulla città.

Lo “scalatore di Stalin” viene ufficialmente riabilitato, come moltissime altre vittime delle purghe staliniane, nel gennaio del 1989, con un deliberato del Presidium di un’URSS ormai arrivata quasi al termine del suo percorso storico.

La storia di Franz Josef Sauberer, comunista e alpinista, finirebbe qui se non fosse perché, nel robusto database delle vittime austriache delle persecuzioni staliniane, abbiamo trovato, nel corso del tempo, due versioni della sua scheda. La prima è quella che abbiamo cercato di raccontare in queste poche righe. La seconda, forse più recente, ma non ne abbiamo certezza, ricostruisce in modo diverso tutta la prima parte della vita del nostro compagno-scalatore. Via la nascita meranese e gli anni della gioventù passati sulle montagne. Sauberer, secondo questa versione sarebbe sempre vissuto solo a Vienna sino alla fuga nell’URSS.

Siamo certi, in questo caso, di non esser di fronte ad un caso di omonimia come quello che ci aveva intrigato con il nome di Silvio Flor. Di Franz Josef Sauberer ve ne è stato indubbiamente uno solo. Se delle due versioni abbiamo scelto di raccontare la prima è per un motivo abbastanza semplice: ci sembra più logico e naturale, che quest’uomo abbia maturato nella fanciullezza passata tra le vette del Tirolo la passione che lo ha accompagnato per tutta la vita. Anche così non fosse, resta però il dramma di uno dei tanti militanti che abbracciarono con passione una causa e che cercarono rifugio nel paese che prometteva di realizzarla nella storia, finendone traditi, umiliati, torturati e in molti casi assassinati.

Il nome di Franz Josef Sauberer, scomparso nel vortice della violenza bellica, resta legato per sempre a quello della montagna che conquistò per primo: quel Khan Tengri che in lingua mongola ha il significato di una preghiera. Significa infatti “signore del cielo”.

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Christian Mair Di., 19.05.2020 - 08:05

Grazie di aver mostrato questa storia interessante e differente del narrativo comune.
Oltre all' riflesso anticomunista, l' analisi dovrebbe anche raccontare qualcosa delle ingiustizie della catastrofe nazionalista del 20esimo secolo. Sauberer come ferroviario e operaio aveva sicuramente contatto con idee progressive ed e' esempio esemplare dell destino dei ferroviari austriaci. Perche' propio questa gente se ne doveva (?) andare. Perche' lo stato italiano non gli dava un identita'? Forse per far posto a gente italiana?
E' chiaro che questo e' uno dei motivi di mancanza di tradizione di partiti tedeschi della sinistra fino ad oggi.

Di., 19.05.2020 - 08:05 Permalink