Matteo Renzi
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Politik | Avvenne domani

Renzi e noi

Assieme a Plutarco tra Rignano e Bolzano

Non sono trascorsi, da allora, nemmeno dieci anni, eppure sembra incastonato in un‘era geologica molto lontana quel 19 ottobre del 2012 nel quale il “rottamatore”, Matteo Renzi, fece la sua comparsa a Bolzano, inaugurando nel capoluogo altoatesino il suo giro d’Italia a bordo di un camper, in vista delle primarie di dicembre alle quali si era candidato per conquistare la leadership del Partito Democratico.

Si tesse da quel giorno la trama di un rapporto tra l’esuberante politico toscano e l’Alto Adige che arriva sino ai giorni nostri, con la quasi corale deplorazione del mondo politico altoatesino, SVP in primo piano, per l’ultimo guizzo d’ingegno che ha portato alla crisi del secondo governo Conte.

Arrivò in netto ritardo, quel 19 ottobre, Matteo Renzi all’appuntamento fissato per il tardo pomeriggio nella sala del teatro Rainerum. Non si scoraggiò, tuttavia, la folla di considerevoli dimensioni che lo attendeva, curiosa di vedere da vicino il fenomeno che stava terremotando la politica italiana in generale e il mondo del centro-sinistra in particolare.

Tra chi lo attendeva fuori dal teatro c’era anche, paziente come gli altri, un signore giovane alto di statura che gli addetti ai lavori, giornalisti e politici, si indicavano l’un l’altro sottovoce. Era Arno Kompatscher, allora ai vertici del Consorzio dei comuni altoatesini ma già in predicato di raccogliere, un anno dopo, l’ingombrante eredità del principe Luis Durnwalder, convinto questi, un po’ con le buone un po’ con le cattive, ad abbandonare lo scranno occupato per un quarto di secolo.

Era una presenza significativa e quando alla fine Renzi arrivò, su un mezzo di fortuna perché i camper era rimasto incagliato nel traffico bolzanino, tra i due vi fu un significativo anche se breve scambio di opinioni.

Matteo Renzi era allora l’enfant terrible che marciava verso la diroccata fortezza del partito in nome di una rivoluzione generazionale prima ancora che politica. A Bolzano era sostenuto da una quota minoritaria degli esponenti del partito e ne fecero fede i risultati di quelle primarie, tenute a doppio turno nel mese di dicembre, nelle quali, in Alto Adige come in molte altre parti del paese, finì per prevalere, alla fin fine, la vecchia “ditta” di Pier Luigi Bersani. Mai vittoria, però, fu più labile di quella. Pochi mesi dopo l’era Bersani finiva nel vortice scatenato da un mediocre risultato elettorale, dal vergognoso siluramento della candidatura Prodi per il Quirinale, dall’umiliazione pubblica subita da parte dei 5Stelle. Nel 2013, mentre Arno Kompatscher veniva consacrato nel ruolo di Presidente della Provincia, Matteo Renzi conquistava di slancio la guida del PD. Senza scomodare Plutarco si poteva ipotizzare un percorso parallelo di due giovani pronti a rinnovare i ranghi della politica.

La seconda data che viene alla mente, nel momento in cui si ricordano le occasioni di contatto al confronto tra il Renzi politico e il mondo altoatesino è quella del 5 luglio 2014. Da quella prima incursione bolzanina del rottamatore toscano erano passati meno di due anni, ma molte cose, da allora, erano successe. Renzi aveva mandato nel fosso il governo presieduto da Enrico Letta ed era salito egli stesso ad occupare la poltrona principale a Palazzo Chigi. Nel maggio del 2014 il suo PD aveva stravinto, con oltre il 40 per cento dei consensi le elezioni europee e, forte di questo consenso che appariva in quel momento inscalfibile, l’uomo di Rignano stava mettendo in cantiere un vasto piano di riforme economiche e politiche.

Era un trionfatore sulla scena politica italiana quello che agli inizi di luglio accettò l’invito di Arno Kompatscher e venne in Alto Adige per incontrare l’omologo austriaco Werner Faymann. L’occasione era quella di un convegno sull’Europa, ma il senso politico dell’avvenimento era quello di un sostegno che i due capi di governo tributavano alla nuova leadership della provincia bolzanina. Non a caso l’appuntamento fu fissato a Castel Presule, dalle cui mura si scorge il luogo dove il nuovo presidente altoatesino vive e dove ha iniziato la sua carriera politica.

Ai margini estremi dell’avvenimento, che si svolse e si concluse in modo più che soddisfacente per chi lo volle, accadde un fatterello che movimentò la cronaca politica altoatesina di quei giorni. Alcuni maggiorenti del PD bolzanino presentarono a Renzi la consigliera provinciale Elena Artioli, che, proprio in quelle ore, annunciava di aver assunto l’incarico di referente altoatesino per un’organizzazione quella di Liberal PD, fondata per supportare all’esterno il partito con il compito di conquistare consensi nell’area centrista. L’idea che a Bolzano questo ruolo potesse essere svolto da un personaggio politico come Artioli, partita dalle file della SVP, transitata nei ranghi della Lega, rieletta nel 2013 in consiglio con i simboli del Carroccio, di Forza Italia e di una propria struttura indipendente, suscitò però un vespaio di polemiche e l’incontro di Castel Presule finì per restare in sostanza lettera morta.

La liaison amoreuse tra la Roma renziana e la Bolzano di Kompatscher proseguì e si accentuò nel corso dell’anno. Ad ottobre ci fu la firma dell’intesa che consacrava la definizione dei rapporti finanziari tra Stato e Provincia, adeguando ai tempi il precedente Accordo di Milano. Nei mesi successivi Renzi avviò il suo progetto di riforma costituzionale che suscitò però nel paese un’opposizione sempre più marcata. La SVP invece riuscì, con una trattativa serrata, a ottenere garanzie precise sul mantenimento del proprio status giuridico. La riforma venne indicata anzi come una sorta di trampolino per l’avvio di una revisione dello Statuto di Autonomia del 1972. A Bolzano e a Trento in un assetto di totale separazione furono avviati i lavori delle convenzioni che dovevano preparare questo passaggio.

Accadde però che quando, nel dicembre 2016 si arrivò al voto sul referendum confermativo della riforma voluta da Renzi, questa fu seccamente bocciata. Avvenne anche che, per i motivi di cui sopra, l’Alto Adige fosse una delle poche province dove vinsero i sì alla riforma, ed anzi, con il 63,7 per cento di voti favorevoli, quella dove la proposta di Renzi trovò il consenso più alto in tutta la penisola.

L’astro del politico di Rignano aveva imboccato la parabola discendente ma l’intesa con Bolzano era ancora più che solida. Un’alleanza che venne esposta nella vetrina elettorale delle politiche della primavera 2017. Il PD renziano e la SVP siglarono un patto di ferro e nei collegi di Bolzano della Camera e del Senato la SVP accettò di votare la fedelissima Maria Elena Boschi e l’intramontabile Gian Claudio Bressa, vero tessitore dell’intesa.

Le elezioni andarono come si sa malissimo per il PD di Renzi che abbandonò la segreteria e di lì a poco lasciò anche il partito. Del resto, se proprio vogliamo, c’è, in questo, ancora un parallelismo con Kompatscher e con la SVP che, dopo le provinciali del 2018, buttarono a mare l’antico alleato per gettarsi tra le braccia della Lega salviniana.

Il resto è cronaca più o meno recente. Il movimento fondato da Renzi ha tentato di metter radici anche a Bolzano, ma a mostrare quanto la pianticella fosse ancora gracile stanno i risultati delle ultime comunali. Poco più di trecento voti nell’urna e nessun consigliere eletto. Si arriva così alla crisi di Governo di questi giorni ed agli aspri giudizi che tutta la platea politica altoatesina, senza quasi distinzioni, ha tributato ad un Renzi giudicato alla stregua di quei ragazzetti che rompono i vetri delle case a sassate per reclamare attenzione.

A voler indovinare quel che accadrà parrebbe difficile che tra Renzi e l’Alto Adige possano tornare stagioni di passione come quelle trascorse, ma è meglio esser prudenti. L’uomo assomiglia molto, e non solo per fisicità e estrazione regionale, a quell’Amintore Fanfani che la penna tagliente di Indro Montanelli aveva gratificato di un epiteto significativo: “rieccolo”.