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Design oltre le sbarre

Un workshop organizzato da Libera e dalla Facoltà di design di Unibz all'interno del carceredi Bolzano si è trasformato in qualcosa di molto più importante. Il racconto di Antonino Benincasa, docente di Visual Communication.
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Libera Alto Adige SüdTirol e la Libera Università di Bolzano hanno realizzato un progetto pensato per chi della libertà è privo. Per l'esattezza un workshop di serigrafia durato tre mesi all'interno del carcere di Bolzano che potrebbe essere ribattezzato “contenti tutti”. Contenta l'associazione “Libera” per l'interesse mostrato dai detenuti e dal personale del carcere più in generale, contenti i detenuti, per quanto possibile, per aver imparato l'utilizzo di programmi di grafica e le nozioni basi della serigrafia e per aver comunicato in una nuova forma con l'esterno, ma soprattutto, contento Antonino Benincasa, il docente della Facoltà di design di Unibz che ha gestito il workshop: “Il progetto presentatomi da Valentina Malossi, mi aveva affascinato dall'inizio perché ho sempre pensato che il design si possa insegnare  e che i designer non abbiano ricevuto un dono particolare. Questo workshop mi forniva l'occasione utile per dimostrarlo, Si trattava di insegnare tecniche di design a persone con un percorso molto lontano da concetti formali estetici e con storie difficili alle spalle, poteva sembrare una missione impossibile, ma non è stato così. Ma con il passare dei giorni questa logica sperimentale ha lasciato il posto ad altro. Partito per dimostrare cosa potevo insegnare, ho finito per imparare cose molto più essenziali. Ho compreso che i detenuti sono persone come me e lei, che mi assomigliano molto di più di quello che pensavo nonostante il mio percorso sia stato più fortunato”.

Il progetto, inserito nei percorsi del Festival delle Resistenze, ha coinvolto sedici detenuti di diverse nazionalità,  condannati per grandi e piccoli reati, a cui Benincasa ha chiesto di raccontare, attraverso tre manifesti, il loro passato, presente e futuro: “Per quel che riguarda il passato ho chiesto di individuare l'elemento che potesse rappresentare il momento in cui hanno preso la strada che li ha portati in carcere. Poteva essere anche legato all'infanzia o all'adolescenza, e non strettamente al reato per cui erano stati reclusi. Sul presente ho chiesto di rappresentare la loro idea di resistenza, che successivamente è stata declinata in sopravvivenza  e per il futuro l'idea di cosa vorrebbero fare una volta usciti dal carcere”.
I detenuti hanno quindi individuato un elemento fisico da rappresentare, trovato le parole per comunicare ed infine selezionato l'immagine più appropriata.
“C'è chi ha scelto di disegnare a mano libera – precisa Benincasa – e chi ha voluto vedere altre immagini, per esempio di alberi, prima di decidere. In carcere non hanno molti libri e non hanno internet, abbiamo quindi selezionato una serie di immagini e siamo partiti. Passando dalla lavagna luminosa fino al digitale, hanno appreso l'utilizzo di strumenti professionali ed hanno ottenuto risultati non molto diversi da quelli degli studenti di design al termine del primo semestre di studi”.
E' così che il workshop si è trasformato da un semplice corso di specializzazione a qualcosa di molto più importante per tutti, a partire da Benincasa: “E' stata un'esperienza forte e ricca che mi ha colpito profondamente anche nell'intimo, per quanto detto prima e per quello che ho potuto osservare. I detenuti, comunque la si pensi, sono privati di dignità e comunicazione. Nelle celle non esiste privacy, il bagno è a fianco della cucina, mentre la comunicazione è ovviamente limitata. Solitamente non raccontano quello che provano all'interno delle mura carceraria, il workshop, invece, gliel'ha permesso. La creazione dei manifesti ha dato loro una spinta enorme, è stata una sorta di megafono. C'è chi ha scelto di comunicare l'autocritica, chi ha voluto chiedere scusa e chi ha mostrato solo rabbia, verso l'esterno e verso se stesso. Ma tutto l'ambiente carcerario è stato collaborativo, abbiamo trovato massima collaborazione sia dalla direttrice che dalle guardie, il momento della stampa delle T-shirt in cui i guardiani aiutavano i detenuti ad ottenere il risultato migliore è stato uno dei più belli e divertenti, anche se qualcuno si è commosso. Da parte mia ho deciso di proseguire il lavoro anche se il progetto si è concluso. Vorrei produrre altre serigrafie e magari delle cartoline per Natale, ma soprattutto dare ai detenuti gli strumenti per andare avanti anche senza di me”.

Le T-shirt realizzate durante il workshop saranno distribuite in piazza Matteotti domenica 27 aprile.  In apertura il dettaglio di uno dei manifesti realizzati.