Referendum biodistretto Trento
Foto: Paolo Ghezzi
Umwelt | trentexpress

Bioreferendum, la congiura del silenzio

La giunta di Fugatti fa finta che domenica non si voti, e così sotterra la consultazione sul distretto biologico: oggi le superfici bio in regione sono soltanto il 5%.

Sarà anche un referendum pro o contro Fugatti, il voto di domenica prossima 26 settembre in Trentino sull’istituzione di un distretto biologico provinciale. 14mila firme, molte più delle necessarie, sono state raccolte dai proponenti sull’onda dell’entusiasmo e dei green fridays ma adesso ci vogliono ben 177mila elettrici ed elettori, una marea, che decidano di andare a votare (il meteo dà tempo bruttino) per trasformare l’intero Trentino in un maxi-biodistretto. Se il 40% + 1 degli elettori andranno a votare e sanciranno (com’è ovvio) la vittoria dei sì, sarà un bello schiaffo per l’uomo che prese il 47% scarso dei voti tre anni fa e la scorsa primavera ha varato una riformina dei distretti biologici per cambiare il meno possibile nell’impianto generale del business agricolo trentino. Ma il 40% è una percentuale altissima. Difficilissima.

L’ultimo precedente a livello provinciale – ma si trattava di un referendum abrogativo – risale al 2012 e non è incoraggiante: per cancellare o mantenere le Comunità di valle andò a votare solo il 27% dei trentini.

La Lega Salvini lascia ufficialmente libertà di voto ma è chiaro che è contraria al massimalismo ambientalista incarnato dal portavoce del comitato promotore Fabio Giuliani, che le maggiori organizzazioni dei produttori vedono come una sorta di “talebano rotaliano” della lotta ai pesticidi. Ovvio che le maggiori “corporation” dell’agricoltura trentina vedano il referendum del 26 settembre come un’indebita ingerenza nel campo delle scelte tecniche ed economiche dove vorrebbero solo gli agricoltori – e chi li comanda e coordina – a decidere, in base al mercato e alle problematiche dei singoli terreni, qual è il giusto di mix di chimica e di biologia, di costi e di etica per ettaro.

A caccia del quorum ci sono gli attivisti delle svariate organizzazioni e associazioni che hanno promosso l’iniziativa: Slow food Valle dell’Adige – Alto Garda, Wwf, Lipu, Trento consumo consapevole, Lipu, Federazione e associazioni di pescatori, Terre altre Fiemme, Transdolomites, Associazione per l’agricoltura biodinamica Bolzano-Trento, due associazioni apicoltori, Medici per l’ambiente Isde, Greenpeace, Rotte inverse, Legambiente, Trentino arcobaleno, Italia nostra, L’Ortazzo, Mountain Wilderness, Oipa, Ass. tutela marroni Campi di Riva, Alta Val di Non futuro sostenibile, La Credenza, La Formica, La Minela, Il Germoglio, Ledro Inselberg, Trentino storia territorio, Comitato salvaguardia Olivaia Alto Garda, Lega difesa del cane, Navdanya, Sassi e non solo.

 

Gli obiettivi sono belli e ambiziosi: far nascere "un’area geografica dove agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni e pubbliche amministrazioni possano stipulare un patto formale per la gestione sostenibile delle risorse, partendo proprio dal modello biologico di produzione e consumo, basato cioè su filiera corta, gruppi di acquisto, mense pubbliche bio e così via". Il miglior modo di far fallire una consultazione referendaria, è noto fin dai tempi di Craxi e del suo invito ad andare al mare (esattamente trent’anni fa), più che l’appello all’astensione è quello di non parlarne per nulla. Se si controbattono gli argomenti dei proponenti, infatti, gli si fa pubblicità e si alza la percentuale dei votanti.

E infatti il presidentissimo Fugatti parla di un sacco di V (di Volley e di Vasco, di Vacche e di Vaccini, di Velocipedi europei e di Valdastico Veneta, di Valsugana e Valligiani), ma non fiata sul Voto. L’assessora all’agricoltura Giulia Zanotelli, che ad aprile ha fatto approvare una legge sui distretti biologici per disinnescare in anticipo il referendum, nei post FB delle ultime settimane ha parlato degli agricoltori di Cogolo, delle malghe, dell’enoturismo e delle api, e soprattutto del Ganaspis brasiliensis, il parassitoide anti Drosophila suzukii, moscerino asiatico dei piccoli frutti che sta causando ingenti danni alle coltivazioni anche in Trentino. Ma sul biodistretto e sul referendum non si esprime neppure sotto tortura. Ultimo post: “Bellissima come sempre la mostra bovina di San Matteo‼”. E la bionda assessora sorride, accanto a una bella frisona e al suo allevatore. 125 like.

Lo stesso ufficio stampa della Provincia, ovviamente allineato al fugattismo, tace rigorosamente, anche se si tratterebbe di informazione di pubblica utilità, almeno 4 giorni prima del voto. Taciturno anche il perplesso Pd: sul sito si parla di referendum, ma è quello per l’eutanasia legale. Tra i partiti rappresentati in Consiglio provinciale solo Futura e il gruppo misto M5S/Europa verde hanno preso esplicita posizione a favore.

Gianluca Barbacovi, presidente di Coldiretti, nell’editoriale di settembre della rivista “Il Contadino”, pur senza lanciare strali contro il referendum, puntualizza: “Il metodo biologico è una pratica di coltivazione che va incentivata nei territori che hanno una predisposizione, una particolare vocazionalità per questa applicazione. Tecnicamente, è bene ricordarlo, non tutto il territorio può risultare adatto per il metodo biologico. E la lotta integrata ha già portato a una riduzione dell’uso dei fitofarmaci. Non si possono operare forzature”.

La “forzatura” di una vittoria dei sì, in realtà, sarebbe comunque comodamente gestibile dalla giunta e dal Consiglio provinciale tenuti ad adottare entro tre mesi - secondo la rispettiva competenza - le iniziative e i provvedimenti per consentire l'attuazione del referendum. Il quesito infatti non è esente da lacune e da problemi interpretativi: “Volete che al fine di tutelare la salute, l’ambiente e la biodiversità, la Provincia Autonoma di Trento disciplini l’istituzione su tutto il territorio agricolo provinciale di un distretto biologico, adottando iniziative legislative e provvedimenti amministrativi - nel rispetto delle competenze nazionali ed europee - finalizzati a promuovere la coltivazione, l’allevamento, la trasformazione, la preparazione alimentare e agroindustriale dei prodotti agricoli prevalentemente con metodi biologici, ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 228/2001, e compatibilmente con i distretti biologici esistenti?”.

È chiaro che sul verbo “promuovere” e sull’avverbio “prevalentemente” come esito di una serie di “iniziative legislative e provvedimenti amministrativi” si potrà giocare, così come sui tempi di realizzazione dell’idea, che necessita anni e anni di sperimentazioni e implementazioni. Insomma, Fugatti avrà le mani abbastanza libere per graduare, frenare, moderare, temporeggiare.

I proponenti partono da un dato di fatto che fotografa un sorprendente ritardo del Trentino nell’affrontare la questione in modo organico: secondo l’ultimo Bioreport nazionale, del 2019, i  biodistretti in Italia pagano “una  molteplicità  di  modelli distinti che a tutt’oggi difettano di un’adeguata  coerenza  territoriale”. La superficie biologica sul totale di quella coltivata (dati 2018) registra una bassa percentuale generale nel mondo (1,5%), il 3,1% dell’Europa rispetto allo scarsissimo 0,8% del Nordamerica e all’8,6% dell’Oceania, mentre molto al di sotto della media dell’Italia (15,8%) si colloca il Trentino-Alto Adige/Südtirol con un modesto 5%. l’Ue punta al 25% per il 2030».

Non siamo né per il Sì, né per il No. Noi produttori biologici da tanto, abbiamo fatto un percorso lungo e difficile, e sappiamo bene che non è con un Sì o con un No che si diventa bio

Tra le voci più critiche nei confronti del referendum, quella della Confederazione italiana agricoltori. La vicepresidente trentina Mara Baldo ha detto: “Non siamo né per il Sì, né per il No. Noi produttori biologici da tanto, abbiamo fatto un percorso lungo e difficile, e sappiamo bene che non è con un Sì o con un No che si diventa bio. Non è con una legge che si risolve il problema: se non abbiamo agricoltori formati, tecnici che li assistono e la giusta ricerca, la legge serve a poco. Non vogliamo che si creino differenze tra produttori bio e produttori non bio, come se i primi fossero più bravi degli altri. Lo dico da produttrice bio, se un agricoltore che non ha gli strumenti per fare bio fa un buon integrato e usa i prodotti meno impattanti, è un bravo agricoltore allo stesso modo”. Le Acli trentine affermano invece: "Questo cambiamento avrebbe bisogno di un processo più lungo e del coinvolgimento dei contadini, tuttavia un’eventuale vittoria dell’astensione rappresenterebbe una sconfitta per tutti coloro che credono nel biologico e nella necessità di adeguare le politiche agricole provinciali".

"Ci vorrà una quindicina di anni per raggiungere l'obiettivo – ha ammesso il portavoce del comitato promotore Giuliani - ma quel che è importante è creare le condizioni, anche legislative, perché ciò possa avvenire. Serve spingere la Provincia ad avviare un percorso di questo tipo per fare coincidere la crescita economica con un modello agricolo che riduca via via la tossicità delle coltivazioni. Gli agricoltori biologici oggi in Trentino sono degli eroi. Nella viticoltura è stato fatto un lavoro straordinario dal punto di vista della sostenibilità, ma in altri settori la strada da percorrere è ancora molto lunga". “Il referendum può essere occasione di crescita culturale per la nostra comunità, per accrescere la consapevolezza del consumatore nelle scelte d’acquisto e per il produttore. È un’opportunità per la salute dei cittadini e dell’ambiente e può diventare un significativo volano di promozione di tutto il territorio trentino anche in termini turistici”, dicono i sindacati Cgil, Cisl e Uil.

Ma perforare la cortina del silenzio è faticoso. Se Lega e Fratelli d’Italia lasciano ufficialmente libertà di scelta ma sperano nel bio-fallimento, anche il Patt sceglie la linea del “né sì né no”, con il segretario provinciale che mette le mani avanti: “Non si può pensare che il biologico possa essere adottato come unica tecnica agricola su scala provinciale perché diventerebbe molto più impattante di altre tecniche (zolfo e verderame, utilizzati dal biologico, pur non essendo prodotti chimici, sono comunque inquinanti e dannosi)”.

L’avvocata Eleonora Stenico, già consigliera di parità della Provincia di Trento, l’ha scritto chiaro sull’Adige: “L’innovazione in campo agricolo dovrebbe essere l’obiettivo che la politica dovrebbe porsi con ambizione ed orgoglio. Invece l’indifferenza o la sottovalutazione con cui il governo provinciale assiste allo svolgimento del referendum propositivo, lascia perplessi e fa pensare che qualunque sia l’esito ben poco cambierà”.

Dal mio punto di vista urge diversificare l'agricoltura provinciale attraverso la corretta interazione di tutte le parti in gioco

Andrea Tondini, allevatore della Val di Cembra, ha scritto una lettera aperta a “Il Dolomiti” che suona come “una voce che grida nel deserto”, tanto è pesante la cappa di silenzio fatta calare sul voto: “Io sono uno zootecnico (allevo animali) e negli anni mi sono fatto l’idea che il Trentino agricolo ha due problemi: la deriva dei prodotti fitosanitari e la monocoltura di vitigni e meleti. Dal mio punto di vista urge diversificare l'agricoltura provinciale attraverso la corretta interazione di tutte le parti in gioco, ossia: agricoltori (realizzazione di produzioni sempre più di qualità), enti locali (attraverso finanziamenti ad hoc, prestiti agevolati, ricerca, ecc..), consumatori (consumo critico e consapevole). Bene, tutto ciò è riassunto nella parola Distretto biologico che, ovviamente, resta un contenitore vuoto se noi agricoltori, noi consumatori, noi politici, non facciamo la nostra parte. Io credo in un Trentino migliore; l’impianto agricolo provinciale è forte ed è costituito da grandissime professionalità (biologiche e non biologiche) Il progetto che va al voto è corposo e pieno di progettualità, sussistono finanziamenti e ricerca per creare un Trentino a prevalenza biologico (senza obblighi). Io credo in questo progetto e quindi, da agricoltore professionista, come tanti altri miei colleghi, voto Sì”.

E se tra gli stessi coltivatori biologici c’è chi è perplesso sulla rozzezza dello strumento referendario, sui possibili effetti controproducenti del biomassimalismo, sul mancato confronto tecnico “a monte” tra referendari e produttori, è chiaro che il 40% di votanti potrebbe aprire una stagione di riforme green mentre una partecipazione al voto inferiore al 30% sarebbe una pesante sconfitta per il movimento e un lasciapassare alla giunta salvinista per un biomoderatismo a tempo indeterminato, in cui le ragioni del  business agricolo conteranno molto più di quelle della salute pubblica.