cinema_bologna.jpg
Foto: Il Cinema Ritrovato
Kultur | Vorausgespuckt

La fine dei cinema

Perché le persone disertano le sale cinematografiche? Si tratta di una tendenza inarrestabile o è ancora possibile non rassegnarsi?

Qualche giorno fa sono stato al cinema per vedere un film bellissimo (mi aspettavo fosse bello, e poi l'ho trovato bellissimo). Si tratta del nuovo lavoro di Mario Martone, “Nostalgia”. In sala eravamo sette persone.

Avete presente cosa significano sette persone in un luogo adibito ad accoglierne duecento?

Parto da qui, da queste sette persone, non risalirò alla descrizione del film (che comunque invito caldamente ad andare a vedere). Sicuramente la parola “nostalgia” si presta a intramare considerazioni che trascendono quella singola visione, peraltro. Sette persone, dunque. Avete presente cosa significano sette persone in un luogo adibito ad accoglierne almeno duecento? Una sensazione di vuoto, come essere capitati lì per sbaglio, a una specie di festa per superstiti. Neppure si trattasse di una retrospettiva sul cinema iraniano degli anni Ottanta, per dire. Ma Martone non dovrebbe essere scambiato con Kiarostami, Beizai o Amir Naderi, dico io. E poi il cast: con uno strepitoso Pierfrancesco Favino (davvero strepitoso), un bravissimo Tommaso Ragno, un pefetto Francesco Di Leva, una verissima (davvero verissima) Aurora Quattrocchi. Chissà. Magari non avrà attirato la storia, una storia napoletana (girata quasi tutta nel cosiddetto Rione Sanità), quindi distante, lontana dalla sensibilità dei locali. Eppure sento in giro che neppure in altre città o per altri film va meglio. Gli stessi pochissimi spettatori, che si interrogano sul senso di questa desertificazione.

Non vale la pena starsene seduti insieme a degli sconosciuti che tossiscono al buio

Lo so, non voglio fare l'ingenuo o il nostalgico. Il declino delle sale cinematografiche è un processo di lunga data, non un evento degli ultimi mesi, neppure degli ultimi anni piagati dalla Pandemia e da tutte le misure di contenimento che ci hanno imposto di non assembrarci (assembramenti perseguiti poi con particolare accanimento nei luoghi della cultura: scuole, musei, sale da concerto, cinema, appunto). La “gente” (come si dice) si è impigrita, perché mai dovrebbe spostarsi per recarsi al cinema, esponendosi al freddo (o al caldo), magari col problema di trovarsi un parcheggio, e infine pagare il biglietto? E poi ormai esistono piattaforme online di tutti i tipi (anch'esse a pagamento, comunque) che ti fanno vedere di tutto e di più sul tuo bel televisore di nove metri per cinque appeso in tinello. Vuoi mettere? Che comodità. Che progresso. Al cinema, invece, che regresso. Starsene lì, al buio, insieme a degli sconosciuti che tossiscono. Non vale la pena. Non ne vale più la pena.

Il probelma è che non si stanno cercando nuove vie per rendere la fruizione interessante a chi ha mille altre alternative

Ma siccome ho detto (e ripeto) che non vorrei passare per ingenuo o nostalgico, ricopio qui una spiegazione del declino cinematografico che ha firmato Giorgia Lazzaretto sulla mia bacheca Facebook. Scrive Giorgia:

Sono abbastanza convinta che in questo momento alcuni rituali più antichi (leggere libri e giornali di carta, andare al cinema) stiano scomparendo anche per colpa di un certo nostalgismo che li vuole immutabili. Mentre non si stanno cercando altre vie per renderne la fruizione interessante a chi ha mille altre alternative. Che un tempo non c'erano. E intendo in generale di come disporre del proprio tempo non lavorativo. Altra colpa del declino è anche oggettivamente la sovrapproduzione. Non ho dati alla mano, e mi piacerebbe averne, se qualcuno li può produrre. Ma negli anni '70 per prendere un decennio a caso, quanti film si producevano, quanti arrivavano nelle sale, di quanti si parlava? Oggi mi sembra che la produzione sia immensa e molto più aperta anche alle produzioni, moltissime di qualità, di paesi di cui un tempo non ci si interessava. Che non arrivano in sala (o solo in poche, nelle grandi città) per ragioni che hanno a che fare con le mafie della distribuzione. Mettiamoci pure che si è passati negli ultimi 15 anni ad una fruizione più seriale del prodotto cinematografico, che non è necessariamente un male. È solo una tipologia diversa di narrazione. E mettiamoci in ultimo che molti rappresentanti delle nuove generazioni sono abituati a guardare prodotti in lingua originale (soprattutto se inglese), mentre i cinema faticano moltissimo a proporre questa offerta (anche per costi di distribuzione). Io però - ad esempio - non riesco più a guardare film doppiati, anche per evidente scadenza del doppiaggio, un tempo appannaggio di attori che vi si prestavano, oggi di doppiatori formati a scuole di doppiaggio che non conoscono la recitazione ma solo un impianto rigidissimo di doppiaggese: ogni film ne esce monco di emozioni e deprivato di profondità espressiva. Per quanto preferirei vedere un film al cinema, preferisco guardarmelo in lingua originale, forzatamente a casa.

A Bologna riescono ancora a portare davanti al grande schermo migliaia di persone

In effetti mi paiono considerazioni del tutto sensate, non saprei bene cosa replicare. E stavo, starei, per non replicare quando - proprio stamani - ho visto quello che accade a Bologna (forse anche in altre città), in Piazza Maggiore. Ok, una piazza non è un cinema, e il cinema estivo aggiunge qualcosa in più. Eppure, là riescono ancora a portare seimila (6000!) persone davanti al grande schermo, e facendo per giunta vedere roba vecchissima, che gran parte di quegli spettatori sicuramente già conosce (“Il grande dittatore” di Chaplin, per esempio). E allora? Ma davvero non si può più fare più nulla per salvare il cinema? Davvero è solo una roba per nostalgici che si rifiutano, come faccio io, d'intonare un canto alle magnifiche sorti e progressive date dalle alternative disponibili sul mercato?