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Foto: F.C.Südtirol
Gesellschaft | Vorausgespuckt

Südtirol senza tribù

Il calcio è passione, appartenenza, tribalismo. Ma qui, raggiunta la serie B, si pensa soprattutto al marketing del territorio.

Breve premessa. Non sono un grande appassionato di calcio, tantomeno un intenditore. Essendo comunque stato socializzato in una città di media grandezza italiana, e avendovi trascorso l'infanzia negli anni Settanta, non ho potuto esimermi dall'aver avuto questo sport nel mio bagaglio di esperienze “formative”. A quei tempi – vorrei dire che è così anche adesso, ma non ne sono tanto sicuro – correre in cortile dietro una palla con dei coetanei costituiva l'architrave del divertimento possibile. Le alternative erano modeste, comunque tutte subordinate alla potenza di un rito collettivo imperante (allora le partite dei campionati si giocavano solo la domenica, e si potevano seguire allo stadio o ascoltandole per radio, propagate da “voci” riconoscibili all'istante: Ciotti, Ameri, Bortoluzzi, Provenzali...). Avere una “squadra del cuore” ti identificava, e ovviamente la “squadra del cuore” per eccellenza era quella della tua città, faro affettivo in una geometria variabile di rivalità (non solo sportive) eredi di un antico campanilismo. Esibire (magari con un po' di autoironia) una fiera appartenenza calcistica ha così sempre affiancato o colorato (al prezzo tutto sommato accettabile che il gioco consente) altre esibizioni consimili più nefaste se prese troppo sul serio (in primis quella nazionale, sempre prossima a diventare nazionalismo), anche se poi la si può vedere in modo più accentuato e complementare: è il tribalismo calcistico, ad essi consustanziale, che funge talvolta da incubatrice per tribalismi peggiori. Fine della premessa.

Perché la promozione in serie B non suscita grandi passioni collettive?

Alla luce di quanto precede, mi sono chiesto perché a me la meritatissima e bella promozione del F. C. Südtirol in serie B abbia lasciato pressoché indifferente. Certo, la spiegazione identitaria è quella più facile: non essendo nato qui, avendo insomma il “cuore” calcistico già occupato, è per me difficile appassionarmi sul serio ai colori di una squadra che non ho mai percepito come “mia”. Ma al di là di me, che conto poco, una delle cose che ho notato le due o tre volte che sono stato al Druso a vedere un incontro, è la tiepidezza o diciamo la compassatezza che anche il resto del pubblico ha sempre manifestato nei confronti della compagine locale. Se penso ai supporter del Südtirol (anche quelli che magari sventolano bandiere e improvvisano i loro cori) non riesco a vederli come dei “veri tifosi”: il clima che si respira dentro lo stadio non assume mai la temperatura che ci si aspetterebbe da altre parti, e in effetti anche dopo il passaggio di categoria (in altri luoghi avremmo assistito a una spontanea eruzione di auto e ciclomotori imbandierati per le vie e le piazze) non si sono avute manifestazioni di gioia particolarmente significative. Sarà per il fatto che molti bolzanini, più o meno come me, hanno nel loro DNA origini diverse? Sarà perché altri sport soppiantano qui il calcio come veicolo di emozioni forti (per esempio l'hockey)? O forse perché il Südtirol, con la storia che ha, e anche col nome che ha, si lega in modo un po' artificioso e posticcio alla città di Bolzano, senza peraltro essere ancora pienamente diventato un riferimento affettivo (ed effettivo) di tutta la provincia?

Tra marketing e convivenza, ma il calcio è un'altra cosa

Intendiamoci, non sto qui rimpiangendo un tifo più acceso, né ritengo che avercelo sia indispensabile per poter godere di prossimi campionati soddisfacenti dal punto di vista sportivo (in giro ho già letto qualcuno che non si limita ad auspicare un radicamento nella serie cadetta, ma parla addirittura di serie A...). Sto solo constatando che, almeno per adesso, il tenore dei discorsi più elogiativi a proposito di questa promozione verte essenzialmente su due punti: sfruttare i successi della squadra in chiave di marketing turistico e/o leggerli come l'avvento tardivo di un Sudtirolo post-etnico (diciamo che in questo caso il “campo verde” sarebbe chiamato a far meglio del partito dei Verdi). Tutte cose bellissime, per carità, ma che col calcio giocato e scalciato (notoriamente una cosa brutta, sporca e cattiva, intrisa di passioni viscerali e soprattutto tribali) c'entrano come la panna (per di più montata) nella ricetta della carbonara.

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Michael Kerschbaumer Fr., 29.04.2022 - 19:08

Den FC S auf eine Profimannschaft und dessen Fangemeinde zu limitieren finde ich ein bisschen ungerecht. Schauen Sie die 20 Jugend und Frauenmannschaften an, in denen junge Spieler zu Profis werden. Aus allen Sprachgruppen?? Denke nicht dass das nur für eine IDM gemach wird. Da gehört doch einiges mehr dazu! Die Geschichte dieses Vereins wird erst geschrieben.

Fr., 29.04.2022 - 19:08 Permalink
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alfred frei Sa., 30.04.2022 - 09:30

la sfida: unire il marketing del territorio con il "disagio" degli italiani; il calcio che inventa una reazione chimica che esprime il superamento di una storica questione politica, mah ? domanda: "Südtirol" come può diventare l'urlo di incoraggiamento del tifoso italiano ?

Sa., 30.04.2022 - 09:30 Permalink