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Società | Maltrattamenti

Colui che cercate

Perché la condizione per credere è tanto più forte quanto più assurdi e senza speranza ci appaiono i motivi per continuare a farlo?

L'episodio evangelico della resurrezione di Gesù è piuttosto affascinante, nonché ovviamente del tutto centrale per comprendere il messaggio del cristianesimo. Non me ne intendo abbastanza per poterlo decretare con assoluta sicurezza, mi sembra però che il discrimine tra fedeli e infedeli, tra credenti e non credenti, passi in gran parte di lì. Facciamo per un attimo finta di essere in compagnia di Maria di Màgdala e dell'altra Maria che – come si legge in Matteo 28, 1-7 – dopo il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, andarono a visitare la tomba. Se non crediamo, vicino alla tomba non noteremmo nulla di strano: la grossa pietra è al suo posto e tutto il resto. Se crediamo, invece, ecco allora l'angelo del signore sfolgorante di bianco e il discorso che l'ha reso famoso: “So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto”. È risorto come aveva detto. Nel suo monumentale commento ai testi sacri, il teologo “eretico” Sergio Quinzio scrisse: “Lungo le pagine della Bibbia la salvezza diventa sempre più lontana quanto più appare vicina, è sempre più sfuggente, è pagata sempre più terribilmente, è sempre più implicata nella morte; eppure proprio per questo diventa sempre più necessaria e urgente, più disperatamente dolce. Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo”. L'immagine di qualcosa di necessario, anzi di tanto più necessario quanto più risulta impossibile, sfuggente, contraddittorio e in una parola “disperato”, non è solo un espediente letterario di duraturo successo. Ogni credenza si nutre infatti di ciò che contravviene al principio dell'evidenza, traendo forza e motivazione in modo del tutto inaspettato da quel che, in teoria, dovrebbe contribuire ad estinguerne il predominio. Proprio perché così inverosimile e assurda, la storia dell'angelo e della pietra rotolata e della resurrezione, tanto più troviamo qualcuno disposto a crederci. “Colui che cercate” è esattamente “colui che non troverete”, alla fine il mistero è tutto qui: sappiamo che non possiamo trovarlo, ecco perché lo cerchiamo. Una società che non desiderasse più cercare ciò che “sa” di non poter trovare sarebbe ancora umana? Il completo spegnimento di un afflato divino – il quale, va detto, è forse meno udibile proprio nei giorni delle feste, perché apparentemente meno sfuggente – rappresenta ipso facto anche la fine della storia per gli esseri (umani) che siamo? Ancora Quinzio, con parole credo estendibili a tutti: “Provo l'umiliazione di non poter dire nulla con chiarezza. Ma in me non è chiaro niente, sebbene fossi partito dall'esigenza di cose chiare e semplici. Tutto si è invece, come nella storia della salvezza, così in me complicato, mediato, trasposto, contraddetto, reso assurdo. Non so se nelle mie giornate soffro, o gioisco, o sono indifferente, se amo o non amo, se ho vissuto davvero tutto quello che credo di aver vissuto”.