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Esercito di sgomberaneve

Una volta quando nevicava, con la pala in mano, si passava una bella mezza giornata a faticare e godere di quei momenti. Oggi quei momenti li abbiamo persi?
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: elide

Un rumore forte, vibrazioni che si sentono profonde nel cuore della notte, ma cosa succede? Guardo l’orologio, è notte ma l’alba è vicina. Non sono ancora le sei del mattino. Strano, mi dico. Solitamente quegli aerei, devono essere cacciabombardieri in esercitazione, passano la sera sopra le nostre teste, mai di mattino. Speriamo che l’amico americano non si sia messo in testa di giocare con l’uomo razzo coreano.

Sono definitivamente sveglio, affino l’orecchio. Il rumore è vicino, poi si allontana, poi riaffiora. Ora capisco: siamo partiti con i nostri infernali marchingegni. Quel bel silenzio ovattato che ben si percepisce quando cade la neve ha lasciato il posto agli sgombraneve, ai trattori con le benne per la neve, ai camion sgombraneve, agli spalaneve manuali. Manuali per modo di dire. C’è chi ne ha uno grande da cavalcare per il grande lavoro, e non manca a nessuno uno piccolo. Ci si diverte così, come fossimo tutti dei cloni di un unico modo d’intendere la vita. E ci stiamo ore e ore sui piazzali di casa. È il maschio che regredisce a livello infantile. Una volta quando nevicava forte, mi ricordo bene, si chiedeva aiuto a tutti i cuochi: papà preparava venti pale e si passava una bella mezza giornata a faticare e godere di quei momenti. Lo so, sono un nostalgico. E con la nostalgia non si va lontano. Ma mi manca il silenzio che segue le abbondanti nevicate. Una volta, quando nevicava tanto, non si andava nemmeno a scuola, perché il pullman non arrivava da La Villa. E una volta siamo partiti a piedi, lungo la statale. Quattro chilometri a ridere e scherzare per poi tornare a casa, avevano cancellato le ore, gli insegnanti non erano arrivati. Già, una volta. Oggi invece non appena cade la si spala, spazza e porta via, ammucchiandola da qualche parte fuori paese o buttandola nel torrente. Condannato a rotolare eternamente un macigno sulla china di una collina, per poi una volta in cima, ricaduto il macigno, ricominciare da capo; così si narra di Sisifo. Noi umani un po’ siamo così in un’ostinata prova di forza contro la natura.

Mi chiedo: ma almeno fuori stagione, quando siamo in poche centinaia di abitanti, non si potrebbe godere un po’ della pace autunnale invece di scatenarci con i nostri giocattoli ipertrofici? È giusto rendere agibili le strade e meglio gli spazzaneve dei cacciabombardieri, questo è sicuro; però mi sembra che si sia smarrito il senso del buon non far nulla. Fuori nevica e il governo è sempre ladro. A maggior ragione apro le pagine di un libro, mi faccio un tè, contemplo in santa pace la bellezza delle persone che mi sono intorno. Metto su un disco. Guardo fuori dalla finestra. Per una volta non faccio niente. M’incanto a vedere la neve che scende. Perdo il mio tempo per riprendermi un po’ di me stesso. L’oblio come guarigione alla costante ansia di prestazione che fra benne e spazzaneve ci perseguita sempre e ovunque. Forza, riprendiamoci, perdendolo, il nostro tempo. E ogni tanto cogliamo l’occasione di poter sussurrare fra noi e il naufragar m’è dolce in questo mare. Di neve, s’intende. Di neve, di calma, di silenzio e di bellezza.