Cultura | Oltre la tua lingua

Da Lyrischer Wille a Val Badia

Traduzioni su traduzioni, ricreare sul creato, improvvisare e mettere in discussione il sistema classico della traduzione e della creazione.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: google images

Il 5 marzo del 2016, una domenica mattina, siamo partiti in macchina verso la Val Badia. Abbiamo proceduto per un'ora circa fino a quando alla nostra sinistra sono apparse un mucchio di case con tetti imbiancati di neve e più in giù una chiesa che si innalzava con la cupola a cipolla. Dovevamo essere nel posto giusto. Eravamo a Curt, un piccolo borgo di Marebbe. Io sono uscita dalla macchina e ho bussato alla porta incorniciata di fiori della prima casetta. Ha aperto una signora anziana con un piccolo cesto in mano. Ci siamo capite con mezze parole e ci ha mostrato col dito l'indirizzo esatto. Di nuovo eravamo in macchina e ci inerpicavamo per una stradina ripida mentre da entrambi i lati il panorama era allettante e candido. Questa volta ci siamo fermati dinanzi ad un maso stupendo di fronte alla chiesa, quella con la cupola a cipolla. Davanti al maso, una donna alta con i capelli corti, circondata da bambini biondi e candidi, ci aspettava sorridendo. Era Tresele Palfrader, e loro erano i suoi nipoti. Questo incontro era il seguito del Lyrischer Wille, un progetto di traduzione letteraria multilingue, e quella domenica di marzo, eravamo gli ospiti fortunati della poetessa ladina Tresele Palfrader, oppure, come suole essere chiamata, Teresa.

Due anni fa, due artisti, Matthias Vieider e Arno Dejaco, hanno intrapreso un avventura assai inconsueta, avventura che ha portato due anni dopo alla pubblicazione di Lyrischer Wille, un libro che è stato promosso il 6 e il 7 ottobre scorso a Lana e a Bressanone. 

Il progetto consisteva in una sorta di laboratorio multilingue in cui 55 autori di diverse provenienze si cimentavano nella traduzione di 7 poesie a catena. Chi traduceva conosceva solo la versione precedente e molti di loro non avevano alcuna conoscenza della lingua da cui dovevano tradurre. Entrando nello specifico, a me è capitato di tradurre una poesia dal ladino che in seguito, solo pochi giorni fa, ho scoperto essere scritta dall'autore tedesco: Christian Morgenstern. Confesso che dopo aver usato modi improvvisati, ridicoli e vigliacchi, mi sono messa a fare delle ricerche scoprendo più di un dialetto ladino. Ho ascoltato affascinata, seppur non capendole, le testimonianze di due signore, la scrittrice Adele Moroder Lenef, e Tresl Gruber, che si sono fatte registrare mentre raccontavano della loro vita in due lingue ladine differenti. Bene. Immaginate un autore tedesco o ladino darsi da fare per tradurre una poesia in farsi, oppure in bengala, un poeta cinese fare del suo meglio per tradurre una poesia in ladino della Val Badia, oppure sentire Matthias Vieider leggere una poesia in arabo senza conoscerne il significato. Ebbene, questo è successo veramente. Il 6 ottobre scorso, a Gasthaus Reichhalter di Lana, ho sentito un ladino cantare una poesia tradotta da lui dal finlandese. Presumibilmente tradotta... Ho ascoltato la mia poesia tradotta da 7 autori passando da una autrice ladina, Tresele Palfrader, ad un tedesco, poi da questo ad un cantautore italiano e cosi via, fino a quando ha chiuso il cerchio Paolo Bill Valente con il suo variante poetico :“Pioggia di ciorciole”.

Traduzioni su traduzioni, ricreare sul creato, improvvisare e mettere in discussione il sistema classico della traduzione e della creazione. In fondo ogni cosa a noi sconosciuta può essere letta come un essere umano di cui non conosciamo la lingua ma di cui cerchiamo di leggere il viso, i suoni che emette, le sue sbuffate e sorrisi, il linguaggio delle mani. D'altronde, senza trascurare il contenuto, possiamo dare più valore alla storia del percorso che un'opera ha compiuto. Senza trascurare il diritto d'autore, può darsi che essa stessa abbia il diritto di essere trasformata e di diventare proprietà di un gruppo di autori, piuttosto che di uno.

Ritornando a Marebbe, a casa di Tresele Palfrader, abbiamo chiacchierato a lungo nel suo studio, una grande stube che emanava un forte profumo di legna e di buccia di limone, piena di libri e finestre. Mi ha raccontato della lingua ladina, degli artisti spesso raggruppati in cerchi linguistici isolati e della necessità di sovrapporre questi cerchi per poter collaborare negli spazi comuni indipendentemente dalle nostre provenienze e credenze. Abbiamo gradito un pranzo abbondante cucinato da lei stessa e abbiamo incontrato il suo amico e collaboratore, un simpatico signore indiano che si prendeva cura della stalla distante un chilometro più in là. Mentre guardavamo di volta in volta oltre i finestrini la neve cadere, ho chiesto se potevamo andare a vedere le mucche. Mai nella mia vita mi sono trovata tra tante mucche come quel giorno. Accorgendomi delle orecchie dei vitellini punzecchiate con un pezzo di carta gialla con sopra il nome e, colta da un entusiasmo fulminante, ho chiesto se era possibile chiamare con il mio nome la prima vitellina che sarebbe nata di lì a poco.

Ho ancora presente la lunga risata di Tresele, per cui non credo che oggigiorno esista in Val Badia una vitellina chiamata Gentiana. Quello di cui sono invece sicura è quanto le farebbe piacere sentire i suoi versi: vago / da mondo a mondo/ un'ala di piuma e l'altra di piombo/ e cerco un inizio* in lingua albanese: përhumbem/ nga një botë në tjetrën/ me një krah prej puple e tjetrin prej plumbi/ kërkoj një fillim.

* tratto della poesia: Mëter man / Inizio