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Oasi di libertà?

Presentati al BFFB i due documentari Das versunkene Dorf di Lembergh e Stecher, in concorso, e Oasen der Freiheit di Martin Hanni e Kurt Langbein
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Foto: Quelle: Oasen der Freiheit

Sono rimasti fuori in molti la sera della prima del documentario di Georg Lembergh e Hansjörg Stecher Das versunkene Dorf, ossia „il paese sott’acqua“ che si riferisce alle vicende del paese di Curon affossato nel lontano 1960 a causa della costruzione della diga per creare il grande lago di Resia. Il Cinema Ariston di Merano, forse, non si è mai visto preso d’assalto in questa maniera e ciò è di buon auspicio per entrambi: il film sarà di sicuro visto da tante persone e la sala sempre più nota per la sua programmazione a cura del Filmclub. Infatti è grazie a ciò che una costola del 32esimo Bolzano Film Festival Bozen si vede anche nella cittadina sulle rive del Passirio. In sala erano presenti tante persone che avevano contribuito al film, la cui lavorazione, a dire del suo regista Lembergh – in quanto Stecher firma per le preziose ricerche storiche nonché come produttore –, era iniziata nel 2003, poco dopo la sua decisione di dedicarsi al documentario dopo gli studi di fotografia a Dortmund e parecchie mostre alle spalle. E questa è la ricchezza del film, la densità di informazioni visive, puntualmente accompagnate da informazioni sull’evoluzione della storia nel senso di vicissitudini storico-politiche e di quelle riguardanti le vicende della costruzione del lago.

Il punto di partenza fu un progetto ai tempi dell’occupazione fascista da parte della Montecatini di Milano, proprio nell’anno dell’opzione, punto a favore del progetto perché altri problemi dell’andare o del restare si erano sovrapposti nella popolazione dei due paesi confinanti i due laghi che dovevano essere uniti, quello di Curon e quello di Resia. Sono le parole di Luis Messmer (morto nel frattempo e all’epoca delle interviste aveva novantacinque anni) a fare un bel quadro di quel momento storico a suon di documenti raccolti, dove coloro che avevano optato per la Germania nazista accusarono di tradimento ai „walsche“ quel 30% che aveva deciso di rimanere nelle loro terre per difenderle e perché le amavano.
Questo diverso „attaccamento alla zolla“ – come viene definito dall’anziana Theresia Theiner (lei presente in sala) – era molto diffuso allora, tanto da condurre anche a morti per crepacuore di persone che dovettero cercare casa altrove, poi. Ma procediamo con ordine. Nel 1943 – anno di cambio di guardia in Italia con l’insediamento del governo Badoglio a Roma e la cacciata di Mussolini, mentre si serravano i cerchi nazisti furiosi per l’abbandono da parte dello stato italiano – avvenne un primo stop al progetto che sarebbe quasi naufragato per difficoltà economiche della Montecatini, se non fossero subentrati finanziamenti svizzeri per far ripartire il tutto nel 1946, nel primo dopoguerra. Forse qui c’è un gap nelle informazioni storiche, in quanto nel seguire il film non si distingue l’avvenuto cambio di orientamento politico, ma forse ciò concorda con l’opinione pubblica vigente allora dove ogni italiano era considerato comunque un fascista. Si parla di commissario regionale, di comunicazione in lingua italiana (effettivamente prima dell’entrata in vigore del pacchetto nel 1972, la lingua ufficiale negli uffici e per comunicazione pubbliche era unicamente l’italiano), motivo per cui (quasi) nessun curonese fu in grado di capire o forse non era nemmeno passato a leggere le poche righe in cui si comunicò la ripresa del progetto. Quindi, in „mancanza di reazioni“ si procedette in tutta tranquillità passando all’espropriazione dei terreni fin lì usati come prati per l’allevamento di bestiame. Furono acquistati per poche lire, nel vero senso della parola, tant’è che un altro testimone racconta che non valse la pena di scendere a Merano per riscuotere la somma perché il viaggio sarebbe costato ben più caro. A quei tempi ancora si parlò di un innalzamento del livello delle acque dei due laghi di 5 metri, quando di fatto erano poi 22 metri! Una bella differenza che spiega la rabbia degli abitanti al momento di scoprire che le loro case dovettero essere smantellate, cimitero e chiesa compresi. Tutte le vicende storiche sono narrate con splendide foto in bianco e nero dell’epoca (raccolte da fondi storici e in tante case private, come leggiamo nei titoli di coda) portate a vita grazie a un favoloso lavoro del musicista Marco Annau che le anima. É davvero sorprendente come a un certo punto ci si dimentica di vedere immagini ferme, mosse da noi mentalmente dai suoni che siamo soliti percepire in ambienti simili. Mancavano giusto gli odori e i profumi!

Dopo la prima prova di innalzamento delle acque i curonesi sapevano che non si scherzava benché qualcheduno volle ancora opporre resistenza. Dovettero in fretta e furia cercarsi altre case, altri masi, altri luoghi per continuare la propria esistenza. Le case vennero demolite, le tombe trasferite in un cimitero nuovo costruito dalla Montecatini, così come una manciata di baracche per le famiglie rimaste senza tetto. Unico testimone di quel luogo è destinata essere la torre ormai famosa nel suo erigersi in mezzo alla grande distesa d’acqua che copre quella parte della Alta Val Venosta. Perché la torre rimase? Da un lato perché fu dichiarata bene culturale protetto e dall’altra – ce lo narra dopo il film Marcello Nart, ex capo operaio – perché le mura di base sono larghe 4 metri, la prima parte in altezza due e via via verso l’alto si stringono. Per fortuna! Oggi è il punto più fotografato dai turisti.

Una volta riempito il lago, partirono gli impianti per creare l’energia elettrica che andava rifornendo le fabbriche lombarde per contribuire all’industrializzazione della pianura padana. Nel film si vedono estratti dai cinegiornali Luce d’epoca, mentre la musica segnala un nuovo punto: per ogni informazione storica c’è un certo brano musicale per sottolinearla creando un ulteriore ritmo di visione. Ora si parla della ricostruzione e di quante lotte poi furono necessarie ai curonesi nella persona del loro sindaco Albrecht Plangger per avere la loro parte nell’utilizzo delle acque una volta passato il tutto alla provincia. Siamo ormai negli anni novanta. Furono necessari non pochi processi contro l’allora presidente Luis Durnwalder che pretese il tutto per sè, o meglio per l’intero territorio. Ma grazie alla caparbietà e alla tenacia di Plangger il comune di Curon è riuscito a ottenere un tasso del 3,3% di proprietà dei terreni in riva al lago.

Come viene vissuto oggi il lago visto che sono stati inoltre fissati livelli di guardia rispetto alla quantità di acqua onde evitare quegli svuotamenti totali che in anni passati condussero a veri e propri paesaggi lunari, tanto da spaventare persino i turisti? I giovani – ma già i meno giovani, come lo scrittore Sepp Mall cresciuto da quelle parti, l’avevano vissuto in modo più avventuroso e piacevole, soprattutto le giovanissime generazioni fanno kite e surfkite sul lago che garantisce sempre ottime condizioni di vento, data l’esposizione geografica. I tempi cambiano e ogni generazione fa di quel che si trova davanti il meglio. Un film del perdono, viene chiamato nell’arco della discussione seguita alla proiezione accolta con un lungo e caloroso applauso dal pubblico meranese, in concorso per il miglior documentario. Un film che ci conduce anche all’attualità e ricorda Georg Lembergh: „Cosa significa una donna anziana seduta su un camion che deve partire? Nel piccolo si racconta una storia di valenza mondiale...“

Un ulteriore aspetto rilevato nel film, di cui vale parlare, è la grande solidarietà praticata dai contadini sia „prima“ che „dopo“ - nel senso dell’aiutarsi vicendevolmente nei lavori di raccolta del fieno, prima, e dei traslochi, poi. Questo argomento ci fa scivolare nel secondo film presentato a Merano per Docu.emme, della sezione Made in Südtirol, Oasen der Freiheit di Martin Hanni e Kurt Langbein. Le „oasi di libertà” sono alcune comunità in cui si è realizzata l’utopia dell’anarchia. Anarchia, si sa, viene comunemente inteso come pensiero contro ogni sistema e vale come sinonimo di vandalismo, caos totale e persino terrorismo. Ma cosa significa davvero ce lo mostra con tanta dedizione e non senza umorismo questo documentario girato tra l’Andalusia, la Grecia e la Bulgaria toccando anche il nostro confine del Brennero. Procedendo per interviste intervallate da immagini silenti per fare spazio anche a riflessioni da parte di chi guarda, il film ci guida con Ilija Trojanow – lo dice il sottotitolo Anarchistische Streifzüge mit I. T. - dal villaggio andaluso Marinaleda, dove proprio il pensiero anarchico sta alla base di un ben funzionante modello socio-politico che vede riunite famiglie nella coltivazione di peperoni e olive in un comune di tremila abitanti che si regge da anni sulle proprie forze e il tutto senza alcuna polizia. Ma con uno stadio, un centro per la cultura, scuole e nidi per l’infanzia. Com’è possibile? Nei primi anni ottanta, poco dopo la morte di Franco e la caduta della sua dittatura, regnava una diffusa disoccupazione finché ci fu una grande protesta per cambiare le regole. Le terre di proprietà del comune furono date in gestione, così come le case, le persone lavorano tutte e tutte sono pagate ugualmente, dal sindaco fino alla cuoca. Qui davvero lo slogan del movimento altermondialista “Un altro mondo è possibile” - che per altro si legge sulle mura di qualche edificio - si è realizzato. Ispirazione culturale sono anche molti scrittori, in primis Garcia Lorca che aveva scritto una poesia in onore dell’ulivo.

Stacco. Siamo in mezzo a un bosco, quello di Turinga ci informa la voce off, per conoscere la Bakuninhütte, un rifugio intitolato al massimo teorico della filosofia anarchica e a tutt’oggi molto frequentato non solo da artisti e intellettuali affini. C’è un percorso intitolato a Erich Mühsam, ucciso in uno dei tanti lager nazisti, come ricordo e monito di quel periodo storico in cui per altro il rifugio fu chiuso e manco a dirlo chiunque seguisse quel tipo di pensiero perseguitato. Prima, negli anni venti, era stato il luogo di villeggiatura per famiglie del movimento Der Syndikalist (Il sindacalista) con tanto di rivista, anch’essa affossata dai nazisti nel 1933. Qui ci viene spiegato che l’anarchismo si può manifestare sia come pensiero critico sia nel porre azioni insubordinate. Da non confondere però con azioni spontanee di qualche movimento per lo più destroide i quali per altro tentano di appropriarsi di alcuni dei principi dell’anarchismo.

Stacco. Nella Bulgaria del sud-est nella zona di Jambol c’era un grande movimento anarchico che si può racchiudere in un verso del poeta Milew ucciso giovanissimo per averla scritta: “Dante è andante, noi siamo Presto. Galopp”. Di qui si arriva al Brennero, sia come luogo simbolo della fuga dello stesso giovane Trojanow narrata nel suo romanzo Die Reise del 1984 dove racconta episodi non lontani da quelli che accadano attualmente ai confini per trattenere i numerosi migranti, sia come luogo di scontro per “azioni insubordinate” ovvero “anarchiche” del movimento sceso in strada a difendere il libero passaggio tra uno stato europeo e l’altro. “Il viaggio” ci conduce poi all’isola greca Icaria nel mar Egeo, dove incontriamo un abitante storico che narra della sua fuga in Egitto da bambino ai tempi del nazi-fascismo per paragonarla a ciò che accade oggi con la fuga dalla Siria. Ci spiega che sull’isola regna il tempo e non l’orologio ben consapevole che una istanza simile deve essere condivisa dall’intera comunità. Altro discorso vale per realtà urbane, come Atene, Berlino o Vienna. E qui siamo giunti a un altro punto spesso frainteso riguardo all’anarchia: non è senza regole, anzi, le regole ci sono ma devono essere condivise da tutti prima di essere eventualmente confutate e – insieme - cambiate. Mentre in Andalusia il personaggio guida Ilija Trojanow scambia opinioni e pensieri con lo scrittore locale Josè Oliver, in Bulgaria incontra suo zio, Georgi Konstantinow, da sempre la sua guida, ai fini di chiedergli tra tante altre la questione riguardante il futuro di fronte alla caduta di tutte le forme politiche che avevano visto al centro il pensiero comunista, sebbene quasi sempre in forma totalitaristica. L’anziano “zio Georgi” confida nel comunismo per quanto riguarda il futuro dell’economia, nel vero senso di un lavorare e fare in comune, e nell’anarchia nel pieno rispetto delle sue regole per le forme di gestione della società. Marinaleda insegna!

Di grande interesse era anche la discussione che ha seguito la proiezione al Centro di cultura a Merano, dove si sono toccati punti di evoluzione storica anche grazie agli studi specifici svolti dall’autore Martin Hanni in anni in cui non era facile reperire testi fondanti, vista l’assenza di internet negli anni novanta, in cui si era formato alla università di Innsbruck. La motivazione? Era partita dal suonare in un gruppo punk e il sorgere del quesito di come mai una A dentro un cerchio poteva avere quel potenziale di fungere come radice di ogni male.