Cultura | poesia

Al tempo di Valdurna.

Sulla licenza poetica di “dimenticare” Durnholz.
Dove sei dove sei cosa fai

Valdurna, 1 ottobre 2011

Scrivo ora da qui, dove tocca / il crinale dei monti il Grande carro / e l'aria è un suono di cristallo. / Dentro la notte spessa, cieca /- fatte salve le stelle - / per il pascolo alpino me ne vado / in un anno preciso, in una / località precisa dell'Europa / al cospetto assoluto del Grande carro / che adagia per sempre sul crinale dei monti. / Dentro i miei versi / qualcuno ha domandato / perché siano i destini / feriti della storia, a insistere / e l'indigenza dei corpi delle specie / e insieme questo, che accampa tutto intero, / incanto del creato, ed una gioia. / Nell'aria ferma di cristallo / muove ora una voce - sono / in un luogo strano / e dentro un tempo strano, dice. / O forse è un'eco. Ma io non so / se sia dal fondo della valle / o dai larici radi, a provenire; / e non lo so dove rifranga / se mentre dice proprio qui / esisto, ed ora io / dai secoli ed altrove esisto la odo dire.

Oggi sulla Domenica del Sole24Ore c’è una poesia di Cristina Alziati che offre uno spunto interessante ai (molti, spero) lettori sudtirolesi dell’inserto culturale. Colpisce un dettaglio certamente trascurabile (e infatti il recensore Paolo Febbraro non se ne cura): la poesia è datata “Valdurna, 1 ottobre 2011”. Alziati- traduttrice emigrata a Berlino - muove dal paesaggio alpino sotto l’infinito del cielo stellato; “scrivo ora da qui”, dalle Alpi Sarentine attorno al lago di Durnholz, Valdurna appunto, “una località precisa dell’Europa”. Non sappiamo perché l’autrice abbia privilegiato il nome italiano (senza doppia dizione) per indicare il luogo. I feticisti della toponomastica “storicamente fondata” non esiterebbero a denunciare tale lacuna, per di più d’una poetessa traduttrice, dimenticando che proprio in nome della storia Tolomei (inventore di “Valdurna”) basò la sua opera di pulizia e ripristino delle origini latine. Dal canto loro, i difensori italofoni del bilinguismo assoluto - sempre pronti col pennarello a correggere mancanze a essi sfavorevoli - si rallegrebbero della scelta a favore dell’esonimo (così definito dagli autoctoni della “storicità”). Non credo però che Alziati abbia teso l’orecchio a quest’ultima rivendicazione linguistica, né abbia volutamente trascurato il toponimo tedesco. La lezione da trarne è un’altra: i confini che poniamo operando con mappe e cartelli a “segnare” il territorio, nella poesia (come in letteratura e in altre espressioni della creatività umana) si rimescolano e confondono, e le parole possono riacquistare la propria forza temporale, senza connotazioni identitarie, etniche o linguistiche che siano. Non sappiamo se un giorno il Sudtirolo sarà ancora abitato da sudtirolesi di lingua tedesca, italiana e ladina, e già oggi non è più solo così. Ma storia e lingua sono tutt’altro che definitive, e “Valdurna” può sopravvivere o scomparire, al pari di “Durnholz”. Affidare all’ufficialità la cancellazione di un nome o affidarsi alla ferrea bilinguità perché esso sussista, in fondo è ininfluente. Spetta invece alla nostra libertà, come alla libertà del suono, delle emozioni, del ricordo e della parole, sancire la vita dei luoghi. Come dei loro molteplici (e poetici) nomi.