Politica | Sinistra

La Sinistra di governo

Riforma costituzionale, legge elettorale, Jobs Act, banche. Un bilancio della Sinistra al governo.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: from the web

A meno di un anno dalla scadenza naturale della legislatura il Parlamento non è ancora riuscito ad approvare una legge elettorale omogenea per Camera e Senato e appare ormai probabile che alle prossime elezioni politiche si voti con la legge elettorale rimasta in vigore dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 25 gennaio 2017. Come si è arrivati a questo stallo? Con l’approvazione dell’Italicum, valido solo per la Camera e approvato dall’attuale maggioranza con tanto di voto di fiducia per poi finire demolito dalla Consulta per manifesta incostituzionalità. E perché una legge elettorale per la sola Camera dei Deputati? Perché si dava per scontata la vittoria al Referendum sulla peggiore riforma costituzionale mai partorita dal Dopoguerra a oggi, nella convinzione che gli elettori avrebbero votato Sì perfino a un simile accrocco pur di scongiurare le dimissioni di Matteo Renzi, miglior Presidente del Consiglio della Galassia. E tutto questo sotto l’occhio vigile e autorevole di Giorgio Napolitano prima e di Sergio Mattarella poi, che non hanno avuto nulla da eccepire né sul meccanismo involontariamente umoristico di selezione dei senatori previsto dalla riforma costituzionale, né su quello francamente delirante di approvazione delle leggi secondo diverse tipologie (dieci secondo alcuni, dodici secondo altri, l’esegesi del testo era controversa anche tra i più alti luminari di filologia bizantina), né sull’approvazione di una legge elettorale per la sola Camera, non contemplando nemmeno l’ipotesi di una vittoria del No e pure violando il banalissimo principio secondo cui una democrazia parlamentare deve sempre (sempre) avere una legge elettorale vigente che consenta, all’occorrenza e in qualsiasi momento, lo scioglimento delle Camere. Roba da Repubblica delle Banane, con tutto il rispetto per chi produce il pregiatissimo frutto.

E sul lavoro? Gli effetti taumaturgici del Jobs Act sbandierati per mesi a reti unificate e in mondovisione permanente si sono dissolti in aria sottile non appena gli sgravi fiscali sulle assunzioni a tempo indeterminato sono stati ridotti. Il governo del PD ha introdotto i voucher come forma di pagamento delle prestazioni di lavoro accessorio (non intaccando le dimensioni del lavoro nero e ampliando invece quelle del lavoro non contrattualizzato), li ha sospesi per schivare il referendum della CGIL e infine li ha ripresentati sotto mentite spoglie, in spregio alle istanze del più grande sindacato italiano, a una parte consistente del proprio elettorato nonché al senso del ridicolo, da tempo scomparso dal repertorio di questa classe dirigente. Inoltre, si è pensato bene di abolire il reintegro obbligatorio in caso di licenziamento senza giusta causa. Quando nel 2002 Berlusconi cercò di manomettere l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, la Sinistra tutta si mobilitò come un sol uomo e lo fermò. Ci hanno pensato Renzi e la sua maggioranza a rimediare.

Ora si naviga a vista verso le elezioni del 2018. Con il sistema elettorale in vigore, è altamente improbabile che si riesca a costituire una maggioranza parlamentare senza un accordo di coalizione tra PD e Forza Italia, con il M5S a inseguire la Lega Nord sul terreno della retorica anti immigrati e dell’uscita dall’Euro e la variopinta e allegra galassia a sinistra del PD che si arrovella su tattiche e strategie che le consentano di superare la soglia di sbarramento per non scomparire definitivamente dalla faccia della terra. Nel frattempo, il debito pubblico ha raggiunto la quota metafisica di 2.410 miliardi, l’evasione fiscale si attesta tra i 250 e i 270 miliardi annui (attorno al 18% del PIL, più o meno quattro volte la media dell’OCSE) e le banche, ma questo non è un vanto solo italiano, sono così gonfie di crediti deteriorati e derivati tossici da indurre molti economisti rinomati a paventare il rischio sistemico. A questo proposito il governo Gentiloni e il suo Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan hanno appena salvato gli istituti di credito Veneto Banca e Popolare Vicenza con un decreto da 5,2 miliardi e mobilitando complessivamente fino a 17 miliardi di risorse pubbliche. Privatizzare gli utili e socializzare le perdite, è il socialismo del terzo millennio.

Non si sa più dove voltarsi. E mentre la politica italiana si avvita sulle proprie abissali miserie nessuno, ma proprio nessuno, si domanda cosa accadrà quando scoppierà la prossima bolla finanziaria provocando quella che molto probabilmente sarà la peggiore crisi economica della Storia. Verrebbe da piangere.