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Politik | Avvenne domani

Noi e l'Europa

Considerazioni a mezza voce sul rapporto che lega la costruzione dell'Unione Europea alle vicende altoatesine degli ultimi decenni.

Sono passati quasi trent'anni da quel 7 luglio del 1989 che vide, a Roma, la visita del ministro degli esteri austriaco Alois Mock. Per una volta, al centro dei colloqui con il collega italiano Giulio Andreotti, titolare del dicastero della Farnesina ancora per pochi giorni, prima di assumere per l'ultima volta l'incarico di Presidente del Consiglio, non c'era la questione altoatesina, in perenne stallo per la mancata approvazione delle ultime norme di attuazione del "Pacchetto". Mock aveva scelto Roma come la prima capitale ove annunciare pubblicamente la decisione del governo di Vienna di chiedere l'adesione all'Unione Europea. Il fatto che in quei colloqui, improntati ad una grandissima cordialità tra due personalità politiche che si stimavano ben oltre i normali rapporti diplomatici, di Alto Adige non si parlasse esplicitamente, non faceva dimenticare a nessuno che la soluzione della controversia internazionale nata con il ricorso austriaco all'Onu del 1960 costituiva comunque un passo obbligato sulla strada che portava all'ingresso austriaco nelle istituzioni comunitarie. L'incontro del luglio 1989 può essere considerato così, a buon diritto, come un passaggio importante in quel processo che, di li  ad un paio d'anni, avrebbe portato all'emanazione delle ultime norme e al rilascio della famosa "quietanza liberatoria".

Il motivo per cui ci pare opportuno rievocare avvenimenti così lontani e così sepolti nella memoria politica del nostro recente passato riguarda proprio il rapporto tra l'Europa come istituzione politica e le nostre faccende altoatesine.

A voler guardare solamente alle carte scritte, tra Europa e autonomia non vi è nessun rapporto. Il complesse difficile processo di costruzione dell'attuale autonomia, dall'Accordo del 1946 ai giorni nostri prescinde completamente da quello, sviluppatosi in parallelo, delle istituzioni comunitarie, ma, a saper leggere tra le righe, la situazione è ben diversa.

Non vi è alcun dubbio che l'ingresso austriaco nell'Unione, annunciato da Alois Mock a Roma nel luglio del 1989 sia stato un elemento di assoluta importanza nella definizione del quadro politico che ha permesso di superare le ultime difficoltà e di completare l'attuazione delle norme del "Pacchetto", così come di consentire, negli anni e nei decenni successivi, quel processo di adeguamento continuo degli istituti autonomistici alla realtà in progressivo mutamento.

Ci sono poi due istituti fondamentali della nuova Europa che hanno radicalmente cambiato la realtà altoatesina. Il primo, il più importante, è costituito dal trattato di Schengen. Vent'anni fa, il 1 aprile del 1998, alla presenza del Ministro degli Interni Giorgio Napolitano, venivano cancellate al valico del Brennero le ultime tracce delle barriere che per ottant'anni avevano tagliato in due l'antico Tirolo. Restava il confine politico ma esso diveniva quasi evanescente, impercettibile. L'altro elemento chiave dello smussare la storica divisione è stato costituito dall'applicazione dei trattati di Maastricht e in particolare dall'introduzione della moneta unica, l'euro. Non ci si fa troppo caso ma, a Bolzano e dintorni, è ormai arrivata da un po' alla maggiore età una generazione che non sa cosa possa voler dire dover passare i controlli di frontiera per andare a studiare ad Innsbruck e che si muove, dall'una e dall'altra parte del vecchio confine come se questo non esistesse.

Se, giunti a questo punto, qualcuno si domandasse qual è il senso di queste rievocazioni, la risposta è presto data. Sono giorni, questi, nei quali il senso ultimo dell'adesione dell'Italia all'Unione Europea è stato messo come non mai in discussione. Nell'affastellarsi, convulso e confuso, di piani e progetti più o meno segreti e nascosti, si celano pulsioni viscerali che immaginano impossibili ritorni al passato prossimo degli Stati nazionali, barricati dietro i propri confini, ad erigere barriere di filo spinato per proteggere qualcosa che ormai è definitivamente scomparso. Si discute in Italia e anche in Austria si levano voci per invocare nuovi divieti e nuove barriere alla libera circolazione delle merci, ma soprattutto delle persone e delle idee.

Sarebbe forse opportuno che, nel compilare il cosiddetto "Piano B", si tenesse del debito conto anche il fondamentale mutamento che l'avverarsi dell'Unione Europea, nei suoi tratti fondamentali, ha introdotto nella vita quotidiana dei popoli che la compongono. Un discorso vale per tutti, da Amburgo a Palermo, ma che ha un significato del tutto particolare, per le ragioni esposte sopra, in realtà come quella altoatesina, che, proprio attraverso l'avverarsi dell'Europa, hanno potuto superare almeno in parte i traumi e i dolorosi effetti di quel che è avvenuto nel secolo scorso.

Ora non è il caso di ritagliarsi il ruolo di profeti di sventura, ma credo sia opportuno sapere con estrema chiarezza e serenità che tornare indietro sulla strada dell'Unione potrebbe avere, anche e soprattutto sulla realtà politica e sociale di regioni come l'Alto Adige effetti devastanti e del tutto imprevedibili.

Ci pensino bene gli apprendisti stregoni che, in nome del cambiamento tutti i costi, pensano di poter gettare al vento il frutto di decenni di sofferte scelte e pazienti mediazioni.