Kultur | Salto Weekend

Design from the Alps 1920/2020

Cento anni di design nella regione ampia tra Innsbruck e Verona, includendo i campi dell’Industrial Design, l’Abitare e il Tempo Libero
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Foto: KunstMeran

Chi entra attualmente nella galleria di Kunst Meran/o Arte non crede ai suoi occhi: si vede davanti una piccola macchina rossa parcheggiata proprio subito dopo la porta a vetro. Scoiattolo dice una scritta con eleganti caratteri in argento sul davanti, e così si presenta questa meraviglia nel suo colore rosso fiammante che non ha nulla da invidiare a quella tonalità classica della Ferrari! Questo antesignano dei Suv odierno era stato disegnato e creato da un meccanico del Trentino, Arrigo Perini, precisa Ursula Schnitzer, collaboratrice da molti anni del Museo di arte contemporanea – come si chiama nella seconda dicitura – e facente parte del trio di curatela di Design from the Alps 1920-2020 (in corso fino al 12 gennaio 2020) assieme a Massimo Martignoni (professore di storia del design presso la NABA, la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, co-produttore della mostra assieme alla sezione Design dell’università di Bolzano) e Claudio Larcher (architetto e designer, dirige il bachelor di design di NABA). L’idea era nata un paio di anni fa durante la mostra dedicata all’architetto Armando Ronca, il quale per le sue creature in mattoni e cemento aveva inventato e curato tutto, dalle fondamenta fino alle maniglie delle porte, dalle finestre fino alle poltrone, i tavolini e le lampade (uno dei suoi modelli, del 1959, è in mostra). Essendo stato lui di origine trentina e avendo poi vissuto e lavorato a Milano e dopo a Bolzano, si era pensato di organizzare una mostra intera sul design creato in regione, ossia nella cosiddetta regione europea, l’Euregio (di cui fa parte il Trentino, l’Alto Adige e il Tirolo del Nord). Si è dimostrata essere una ricerca interessante e intrigante, per non dire a tratti persino sherlockholmesiana nel ritrovare pezzi di un tempo lontano, non essendo mai stata fatta una analoga in oppure sul design di questa zona. Si tratta dunque di un primo tentativo di scrivere una storia del design di questa area transfrontaliera che sin dagli inizi del Novecento si era posta - sebbene di passaggio ma pur sempre di grande apertura nell’accogliere stimoli nuovi da parte delle correnti più all’avanguardia e progressiste nati nel correre degli anni –come zona di produzione e di ulteriore sviluppo delle idee originarie. Il catalogo della mostra, infatti, è diventato molto di più di un semplice strumento per accompagnare una esposizione, e si può considerare un volume fondamentale (da mettere in ogni biblioteca di studio e di scuole) per conoscere meglio attori e attrici di questo che i curatori hanno chiamato “un sorprendente laboratorio di ricerche e di invenzioni tecniche e formali”.


Nell’ambito della ricerca ci si è resi conto inoltre che il designer come tale è una professione nonché una denominazione piuttosto recente, in quanto in passato – come già accennato – erano gli stessi architetti a creare oggetti di arredo, oppure le stesse ditte che avevano prodotto quegli oggetti avevano poi continuato a produrre in serie creazioni simili o a invitare in seguito altri per disegnare stili nuovi, ecc. Oppure, come nel caso di macchine, moto e bici, ossia tutto ciò che si muove su due o quattro ruote, ci furono dietro persone appassionate e/o esperti di macchinari. Prima di iniziare una breve panoramica descrivendo alcune tra le opere più salienti, parliamo un attimo del concetto organizzativo elaborato per esporre i 120 pezzi raccolti sui tre piani di Merano Arte. Esso nasce dalla prima impressione ottica/sensitiva avuta da Claudio Larcher, originario dell’Alto Adige ma trasferitosi da tanti anni a Milano, quando visitò per la prima volta la struttura architettonica della galleria meranese, le cui sale sono suddivise per l’appunto su tre piani: gli sembrava di andare in montagna, il pianterreno poteva rappresentare la valle, il primo piano la zona collinare e il secondo l’alta montagna (neve compresa). Ed ecco che si inizia con i pezzi della motorizzazione, infatti muovendo gli occhi verso l’alto, subito dopo lo Scoiattolo, troviamo un esemplare del Cucciolo (la prima bici elettrica che risale al 1946) e uno del Capriolo (una splendida moto creata nelle diverse classi di 50, 75 e 125 ccm). Quest’ultimo è uscito dalla mente favolosa di Gianni Caproni, una mente tecnologica che guardava sempre avanti, verso un futuro possibile: sue le moto - appunto – sulle strade negli anni cinquanta, e sue diverse invenzioni per l’aeronautica. Mentre il camper esposto sul terrazzo (con un interno talmente curato e spazioso che sembra davvero un monolocale viaggiante) è targato Laverda (c’era una filiale a Trento, con sede del gruppo madre a Breganze, nel Veneto).

 

Sulla grande parete bianca che sale in verticale dal pian terreno fino al secondo piano sono appese tre biciclette di ere storiche diverse: la prima, il già nominato Cucciolo, molto ben curata anche nei dettagli, la seconda, la cosiddetta “Pressed bike”, in metallo grigio pressato, creata a Bolzano nel 2018 da Harry Thaler, e la terza in alto, denominata Carbon-Rad, è una bici dal telaio talmente elementare da renderne forse difficile l’utilizzo, ma è bella nella sua silhouette essenziale ed è stata creata da Christian Zanzotti nel proprio studio di design a Monaco. Certo – secondo Achille Castiglioni, il famoso designer milanese che l’anno scorso avrebbe compiuto 100 anni – il Carbon-Rad non rientrerebbe nel suo concetto di design, secondo il quale un oggetto deve essere sì bello, ma anche funzionale!

 

Al piano dedicato ai motori, si trovano anche i primi tentativi per potenziare la velocità delle macchine grazie a modifiche al tubo di scappamento fatti personalmente da Carlo Abarth. Chi non conosce questo nome e il suo marchio con lo scorpione su fondo rosso e giallo? Lui, nato a Vienna come Karl, da padre meranese e madre viennese, era sin da giovane appassionato alla velocità e alla tecnica. Il legame con Merano iniziò nel 1945, quando raggiunse il padre e si fece fare un documento a nome di Carlo e poco dopo riuscì anche ad avere la cittadinanza italiana. Dopo varie vicissitudini (sulle quali non ci dilunghiamo) si era spostato a Torino per aprire con l’amico pilota Guido Scagliarini una azienda che portava il suo nome con il marchio dello scorpione, appunto (la scelta dell’animale simbolo si rifà al comune segno zodiacale dei due) per specializzarsi come officina che produce kit per elaborare la potenza del proprio veicolo. Ciò che lo interessava di più era potenziare la velocità cambiando i pezzi meccanici, famose le sue marmitte elaborate che amava poi testare di persona sulla strada piena di tornanti che porta al Passo dello Stelvio: si dice che lui fosse stato soddisfatto di un motore unicamente quando gli fu detto che lo si sentiva arrivare a partire da due tornanti più sotto… Carlo Abarth era noto come “il mago del rumore”, contribuì a far vincere tanti premi nelle gare a macchine potenziate, ma poi – a sorpresa - nel 1971 vendette tutto alla Fiat.

 

Di storie e aneddoti è pieno il volume che conta ben 460 pagine con testi in tedesco, italiano e inglese di Claudio Larcher, Massimo Martignoni, Antonino Benincasa, Nicoletta Boschiero, Hans Heiss, Hans Leo Höger, Christoph Hölz, Gabriella Parisi, Gianni Pettena, Kuno Prey, Siegfried de Rachewiltz, Ettore Sottsass, Matteo Thun e Marco Zanini, e con oltre 300 immagini in bianco e nero e a colori che riproducono tanto di più di quello esposto.

 

Nella parte degli utensili di casa troviamo posate e utensili per la cucina in legno attribuiti a uno dei fondatori della sezione Design della università di Bolzano, Kuno Prey, disegnate, le prime, per la ben nota ditta tedesca Rosenthal (String, nel 1991) e i secondi per la ditta italiana Alessi (Utensili, nel 1991) ma ci sono anche alcuni “classici” della Swarovski, come la Ur-Maus (un topolino) che si rivela essere il primo di tanti animaletti poi diventati famosi con il nome Silver Crystal. Il topolino nella sua produzione limitata di 100 pezzi nel 1976 fu inventato per caso da un disperato disegnatore tecnico dopo che i lampadari non si vendevano più e la ditta fondata nel lontano 1895 aveva pure rischiato il fallimento nella seconda metà degli anni settanta: le singole componenti in vetro di cristallo con le tipiche sfaccettature erano di fatto destinati a formare i famosi lampadari con cascate di mille gocce luccicanti, e una volta messi in vendita questi topolini andarono subito a ruba e salvarono ciò che oggi è considerato “un mondo” a livello internazionale!

 

Di grande interesse la sezione di sedie e poltrone, tra cui spicca il restyling del classico sgabello da bar creato dal meranese Martino Gamper per l’azienda di mobili Thonet, dove tre anelli di ottone e legno volteggiano l’uno nell’altro avvolgendosi alle gambe dello stesso sgabello per creare schienale e un utile poggiapiedi. La libreria s/componibile (versione antelitteram di un concetto poi industrializzato dalla norvegese Ikea) è stata inventata da una delle poche donne nel campo, Ellinor Delugan-Hirschfeld (era figlia del famoso Ludwig Hirschfeld-Mack che creò i suoi “giochi di luce” al Bauhaus e le sue orme culturali si sentono nelle linee delle opere della figlia): questa libreria si presenta mezza montata con diversi piani in legno e strutture a V in metallo bianco, e alcuni piani e strutture metalliche sono appoggiate accanto per mostrare che si poteva appunto adeguare a diverse necessità. Fu in produzione per diversi anni a partire dal 1958. Curiosa la sedia a sdraio fabbricata di persona da Ezra Pound, che a dire del nipote Siegfried de Rachwiltz amava fabbricare mobili con il legno durante il soggiorno alla Brunnenburg, mentre il Robot Maia (=Modello Avanzato di Intelligenza Artificiale) trasmette tenerezza nel suo essere obsoleto ma pur sempre tra i primi a “servire” in diversi ruoli informazioni e azioni nella Fondazione Kessler di Trento e che funzionava a ricezione di segnali acustici per eseguire le attività per cui erano stati programmati. Stiamo parlando degli anni a cavallo tra gli ottanta e i primi novanta. Nella sua scheda leggiamo che il design iniziale di Maia nonché le sue funzioni richiamavano in parte il celebre droide R2D2 del film Star Wars di George Lucas.

 

Altra curiosità di grande attualità sta nell’angolo in cui sono presentate le scatole in latta che contenevano i primi snack inventati dalla Zuegg nei primi anni cinquanta - sì dalla famosa fabbrica di succhi e marmellate - i famosi “Fruttini Zuegg” che non erano altro che marmellata solida in piccole confezioni: oggi con i rimasugli della produzione del succo di mela si fa un tipo di pelle naturale senza dover uccidere nessun animale, il cosiddetto Apfelleder (pelle di mela) esistente in una varietà di colori che si possono ammirare nel campionario esposto della bolzanina Frumat e prodotto per la prima volta nel 2008. Per chi non ci crede: sul catalogo leggiamo che “al momento la Frumat sfrutta 30 tonnellate di scarti al mese per fabbricare tra i 20/30mila metri quadri di pelle e carta di mela e tra i maggiori acquirenti ci i paesi con i più alti standard ecologici”. Pare sia molto resistente, mantiene il calore e risulta impermeabile all’acqua. Il contenuto di mela nella carta è del 25% e nella pelle del 30%.


Passando accanto a una vetrina che contiene una miriade di giocattoli coloratissimi (in legno e in stoffa) con il bellissimo Elefantino bevitore inventato come “gioco per adulti” da Fortunato Depero nel 1922/23 con pieno spirito futurista (chi non conosce i suoi giocosi oggetti e i suoi bellissimi manifesti pubblicitari?), saliamo l’ultimo giro di scale in vetro per giungere nella sala che dà l’accesso al piano dedicato alla “alta montagna”. Qui tutto è bianco, pavimento a tappeto, tre palloni giganteschi gonfiabili e “toccabili” nonché spostabili dal pubblico, su cui si proiettano le immagini di Eyelid curato da Franceso Matuzzi che ha filmato il montaggio di un bivacco sempre di colore bianco in alta montagna in Russia. Al contempo introduzione nel paesaggio delle nevi, quindi, e un po’ parco giochi per grandi e piccoli ai fini di un attimo di relax in questo viaggio attraverso gli anni e i diversi stili.


Nelle ultime sale, infatti, si possono ammirare gli inventori di scarpe famose come i Five Fingers (Robert Fliri, nel 2004 e da allora prodotti dalla Vikram) e di ski famosi, come la serie di White e Blue Star della ditta austriaca Kneissl e il modello Vision nei colori arcobaleno della locale Sarner Ski, purtroppo fallita dopo un iniziale exploit negli anni settanta e ottanta grazie alle linee eleganti disegnate dalla giovane moglie del fondatore Christof von Zallinger, un architetto bolzanino, la quale aveva studiato design a Berlino.


Ultima curiosità suggerita: una serie di splendidi occhiali da sole, la cui montatura in colori cangianti è fatta con ritagli di vecchi snowboards, un’ottima idea per riciclare materiali…

Sta a voi ora, scoprire tutte le altre, numerosissime primizie del design nate in questa regione!