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Foto: Lusenti
Kultur | Avvenne domani

L'ombra di Tito

Per lo studio della più recente storia altoatesina è arrivato il momento dell'apertura degli archivi.

L'ottimo articolo di Valentino Liberto sulle informazioni  che, nell'immediato dopoguerra, la CIA raccoglieva sulla confusa situazione politica altoatesina, ha il merito di sottolineare due questioni di notevole importanza: una di metodo e una di merito.

La prima è legata al fatto che le scoperte fatte e riportate da Liberto vanno a confermare che si è definitivamente avviata una fase nuova e molto interessante nella ricerca sugli avvenimenti che, nel 900, hanno avuto come teatro l'Alto Adige. Per decenni si è scritto di queste cose attingendo quasi esclusivamente ai documenti pubblici, ai ritagli di stampa e alle dichiarazioni dei protagonisti. Da qualche tempo invece gli storici i giornalisti appassionati di ricerca storica possono finalmente accedere agli archivi per lungo tempo rimasti chiusi. Il caso dei documenti della CIA è solo l'ultimo in ordine di tempo. Per quanto riguarda il mondo tedesco basterà citare le ricerche e le opere di Rolf Steininger e Gerald Steinacher, mentre in Italia è recentissimo l'accesso agli archivi dell'Ufficio Zone di Confine su cui hanno già scritto Andrea Di Michele e Giorgio Mezzalira. Ma non è tutto. Luciano Monzali, presentando a Bolzano il suo libro sul ruolo svolto da Giulio Andreotti nella questione altoatesina ha rivelato che, oltre alle carte da lui consultate, l'archivio lasciato da Andreotti contiene ampia documentazione sui rapporti con la Suedtiroler Volkspartei e con il mondo politico altoatesino in generale. Per non tacere, poi, del lavoro portato avanti anche su queste pagine da Christoph Franceschini sugli anni delle bombe e di quello, basato sugli archivi del Vaticano, effettuato dalla storica Assunta Esposito sulle vicende della stampa cattolica altoatesina sotto il fascismo.

Sono convinto, infine, che questi siano solo i primi passi compiuti su una strada che sarà ancora molto lunga. Gli archivi italiani, ma anche quelli inglesi, francesi e americani contengono sicuramente moltissimo materiale interessante sulla vicenda altoatesina, oggetto delle attenzioni a livello internazionale almeno fino alla fine degli anni 80. Non so dire se ci saranno sorprese clamorose e questo, in fondo, non è neppure molto importante. Fatto sta che gli storici avranno materiale per riscrivere progressivamente una narrazione forse diversa ma sicuramente più completa di quella che conosciamo.

Quel che emerge dagli archivi della CIA conferma intanto che l'interesse di Washington per le cose altoatesine risale proprio agli albori della storia dell'Agenzia, nata nell'immediato dopoguerra sulle ceneri di quell'OSS (Office of Strategic Services) che aveva gestito una parte delle operazioni segrete degli americani durante il periodo bellico.

Sono mesi ed anni che definire confusi e tumultuosi è poco. Alcune delle rivelazioni raccolte dagli informatori dei servizi americani potrebbero apparire oggi del tutto fantastiche, ma, nel clima di quei giorni, appaiono assolutamente verosimili, anche se magari vere non sono. Un esempio che vale per tutti è quello dell'ipotizzata alleanza tra i sudtirolesi e i partigiani jugoslavi di Tito, che in cambio dell'appoggio per la secessione altoatesina dall'Italia avrebbero ricevuto, debitamente smontate impacchettate, le fabbriche della zona industriale di Bolzano.

Per capire come anche solo fugacemente una simile ipotesi possa essere stata, all'epoca presa in considerazione, bisogna calarsi nella realtà dei tempi. Negli ultimi mesi di guerra in quelli immediatamente successivi alla fine del conflitto la questione altoatesina, rimasta congelata durante gli anni delle dittature fascista e nazista, torna di attualità politica. Si fronteggiano con scopi diametralmente opposti i sudtirolesi, fermamente decisi a ribaltare l'esito del primo conflitto mondiale e a staccarsi dall'Italia e il governo di Roma che invece intende salvare il confine del Brennero. Sulla base di questa contrapposizione si inserirà progressivamente il nuovo governo austriaco. Gli interlocutori sono le potenze vincitrici della guerra, cui spetta il compito di ridefinire i confini europei. Ci vorranno lunghi mesi perché la questione venga riassunta nella rapporto bilaterale tra i due Stati, Italia e Austria, cui le Grandi Potenze affidano il compito di trovare una soluzione concordata, fermi restando i confini del 1918. Prima che ciò accada, però, tutte le soluzioni sembrano possibili, tutte le alleanze vengono sperimentate, al lavoro politico e diplomatico si mischia non di rado l'intrigo spionistico.

Alcuni esempi.

Ancor prima che la guerra finisca il Gauleiter nazista del Tirolo, nonché Commissario dell'Alpenvorland  Franz Hofer tira fuori dal cassetto della sua scrivania il progetto di creare a cavallo della catena alpina, tra la Baviera e il Trentino una sorta di stato cuscinetto, neutrale come la Svizzera, sotto l'egida dei nuovi padroni del mondo. Una sorta di moderna riedizione del vecchio Tirolo. Per attuare il suo progetto Hofer prova di inserirsi, nella primavera del 1945, nella trattativa, denominata Operazione "Sunrise" che, già da mesi, uno dei massimi esponenti della nomenklatura nazista in Italia, il generale delle SS Karl Wolff, sta conducendo proprio con i servizi segreti americani. Lo staterello alpino di Franz Hofer svanisce con la fine della guerra, ma risorge subito sotto l'egida della Francia di Charles de Gaulle, che riprende l'idea e manda addirittura degli emissari a Merano, la misteriosa "Missione Michelle" per rimestare un po' nel torbido della situazione politica di quei giorni. È un quadro convulso confuso, nel quale si colloca senza sforzo anche l'ipotesi che qualcuno, da parte sudtirolese abbia potuto cercare la benevolenza della Jugoslavia, non ancora in fase di rottura con Stalin, per patrocinare la causa dell'indipendenza dall'Italia. È stato lo stesso Friedl Volgger, fidato collaboratore del Canonico Gamper sin dall'epoca della lotta contro le opzioni e poi esponente e parlamentare SVP, a narrare dei suoi contatti con l'entourage di Tito per agevolare il rientro dei prigionieri sudtirolesi ancora detenuti nell'est europeo. Contatti nati grazie alle conoscenze avute dietro il filo spinato di Dachau, che gli valsero, in seguito, una nomea  del tutto immeritata di criptocomunista, non solo da parte della destra italiana, ma anche da parte di qualche collega di partito.

Sono i giorni quali anche la vicenda altoatesina va a collocarsi nel quadro del colossale scontro che gli storici hanno chiamato "guerra fredda". Vi rientra a buon diritto dato che il conflitto etnico rappresenta chiaramente un fattore di debolezza della coalizione occidentale, localizzato per di più in un punto della carta geografica che costituisce il fragile anello di congiunzione tra il fronte nord e il fronte sud della NATO. Un altro aspetto della questione che sicuramente emergerà, col tempo, dagli archivi svelati.