71uoy9myshl.jpg
Foto: w
Kultur | Avvenne domani

Una casa sull’argine

Ritorna un racconto sull’Alto Adige anni ‘60

Saranno passati, tra qualche mese, dieci anni esatti dalla data di uscita in libreria dal romanzo di Francesca Melandri “Eva dorme”, grande successo editoriale e capostipite di una serie di libri che, tra narrazione immaginaria e ricordi biografici più o meno filtrati dalla memoria, hanno imposto, in Italia e anche all’estero, l’Alto Adige come luogo prediletto per la narrazione di storie che, quasi sempre, sono imperniate sulle particolarità di questa terra contesa è divisa tra lingue e culture diverse.

Il fenomeno, che in tempi recenti ha dato origine anche a delle trasposizioni per immagini di alcuni testi, si è sviluppato soprattutto, come si vede, negli ultimi anni. Per decenni, in specie nel mondo italiano, le vicende altoatesine sono state oggetto più che altro di inchieste giornalistiche, di saggi di politica e sociologia, di libelli polemici. Un lungo silenzio della narrativa, rotto sicuramente e in modo egregio da Joseph Zoderer con la sua “Die Walsche” e da altre opere, ma anche da altri lavori sui quali però molto spesso, si è posata quella polvere che copre le copertine dei libri dimenticati.

In questo scaffale dedicato ai romanzi che raccontano questa terra così complicata, c’è un volume che ora ritorna in una ristampa che inaugura una nuova collana delle edizioni Alpha Beta di Merano. Travel Reprint si chiama e, presentandola, l’editore Aldo Mazza annuncia la volontà di voler recuperare e riproporre proprio quelle opere che in un modo o nell’altro hanno raccontato nel tempo l’Alto Adige.

Il libro intitolato “La casa sull’argine” ha una storia interessante almeno quanto quella che viene raccontata dalle 130 pagine del manoscritto. Nel 1965 il Circolo Universitario Cittadino, allora attivissimo, pubblica il bando di un concorso letterario intitolato alla “Città di Bolzano”. La partecipazione è buona e la giuria, di cui fa parte tra l’altro Lidia Menapace, attribuisce il primo premio al romanzo “I giovani anni di Fulvia” di Dora Feliziani e il secondo al lavoro di un giovane giornalista allora in forza presso la redazione del quotidiano Alto Adige: Gianni Bianco.

È un romanzo nel quale le passioni in quel momento esacerbate come non mai dallo scontro etnico in Alto Adige costituiscono l’intelaiatura sulla quale viene tessuta la trama della vicenda che vede protagonisti uomini e donne che devono misurare con quella temperie i propri sentimenti e le proprie scelte di vita. Non è affatto casuale che lo stesso Bianco, due anni prima, abbia pubblicato uno dei primissimi saggi sulla vicenda del terrorismo altoatesino degli anni 60. Il libro “La guerra dei tralicci”, pubblicato nel 1963, rappresenta un tentativo di raccontare con un certo distacco critico una storia troppo spesso presentata, in quegli anni, con spirito di fazione.

Questa curiosità nell’approfondire le complessità anche umane della grande crisi altoatesina ritorna anche nel romanzo, come ben spiega Carlo Romeo nella ricca postfazione al volume appena pubblicato. “La casa sull’argine” fu l’unico romanzo scritto da Gianni Bianco che, qualche anno dopo, si trovò a guidare una pattuglia di giornalisti che lasciarono il quotidiano Alto Adige per dar vita, dal 1968 al 1971, alle pagine altoatesine del quotidiano “Il Giorno”, nate proprio per proporre una lettura meno turbata dal nazionalismo di una storia che andava evolvendosi verso quella grande intesa che avrebbe dato vita, all’inizio degli anni 70, alla seconda autonomia. Terminata anche quell’esperienza, Bianco, rimase nei ranghi del quotidiano milanese occupandosi unicamente di sport e in particolare di sci.

Riprendere in mano oggi il romanzo del 1965, oltre a rappresentare un’immersione quanto mai curiosa e interessante del nostro passato prossimo, significa anche recuperare gli elementi di un clima che ha influenzato direttamente anche la nostra realtà di oggi.