Politik | Gastbeitrag

L’autonomia rassegnata

Referendum costituzionale: le ragioni del No e le "incertezze sul metodo" secondo un Professore di diritto costituzionale comparato dell'Università di Trento.
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Foto: piueconomia.com

Il progetto di revisione costituzionale in corso ha già avuto, fra i suoi tanti demeriti, anche il merito di dare corpo all’antipatia, all’ostilità e persino all’animosità con cui - senza alcuna distinzione di fondo fra i sostenitori e gli oppositori del progetto - una parte consistente della classe politica regionale e nazionale (ma anche di cittadini, di imprenditori, di sindacalisti, di giornalisti ed opinion makers, etc. ) guarda alle autonomie speciali. I sostenitori della riforma, però, a mio giudizio, sono da temere più degli oppositori per la forte ambiguità delle loro motivazioni: una preoccupante e poco rassicurante ambiguità che, del resto, sul piano giuridico emerge da tutto il progetto di riforma e compromette le aspettative circa l’esistenza ed il futuro sviluppo delle autonomie speciali. Cercherò di illustrare le mie ragioni, ricordando che al giurista si richiede di interpretare le norme giuridiche nel contesto storico-politico nel quale esse sono prodotte e destinate ad essere interpretate ed applicate.
 

La clausola sospensiva
E’ ben noto che il progetto di revisione contiene una clausola sospensiva (l’art. 39 delle disposizioni transitorie, comma 13°) la quale dispone che la riforma non si applica immediatamente alle autonomie speciali, come effetto dell’(eventuale) entrata in vigore della legge costituzionale, ma solo dopo la revisione dei rispettivi statuti. Questo è l’unico dato normativo sicuro. La clausola sospensiva incide dunque sui tempi dell’applicazione della riforma ma non, di per sé, sull’applicazione (differita) della riforma stessa.

"Le incertezze sul metodo si riflettono automaticamente anche sui contenuti della riforma statutaria."

L’art. 39 citato contiene un’altra norma, la quale stabilisce che la revisione degli statuti speciali deve avvenire “sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome”. In altre parole, l’intesa viene a rappresentare un filtro che seleziona i contenuti  della riforma costituzionale destinati a transitare negli statuti speciali e definisce il metodo che deve disciplinare il funzionamento del filtro, ossia l’intesa. La previsione dell’intesa ha generato molta fiducia, anche presso le autonomie speciali e la nostra stessa leadership politica, al punto che la clausola sospensiva viene spesso fideisticamente indicata come “clausola di garanzia”. Sulla configurazione dell’intesa, purtroppo, non esistono certezze in grado di dare affidabilità alla garanzia che essa prospetta ma, tutt’al contrario, esistono sintomi che vanno nella direzione opposta. E le incertezze sul metodo si riflettono automaticamente anche sui contenuti della riforma statutaria.

Una commissione presieduta dal Sottosegretario agli affari regionali on. Gianclaudio Bressa e composta da rappresentanti delle autonomie speciali aveva iniziato un lavoro istruttorio volto ad elaborare un progetto di legge costituzionale per la disciplina della procedura da seguire per formalizzare l’intesa. Si tratta, infatti, di una fonte del diritto del tutto innovativa: nell’ordinamento italiano esiste l’intesa finalizzata alla produzione di una legge ordinaria ma non l’intesa in materia costituzionale. La commissione ha terminato i propri lavori nell’estate del 2015 senza che venisse presentato un disegno di legge costituzionale per la sua deliberazione parlamentare.

Il testo prodotto dalla commissione, mai reso pubblico se non in via ufficiosa, comunque pubblicato da un autorevole costituzionalista e mai smentito, prevedeva, in caso di mancata intesa sul medesimo testo statutario, che una maggioranza parlamentare dei due terzi avrebbe il potere di approvare la revisione statutaria nonostante la volontà contraria dell’autonomia speciale interessata. L’intesa statutaria, pertanto, non verrebbe garantita da un procedimento paritario che escluda la sovraordinazione della volontà statale e formalizzi la subordinazione della volontà delle autonomie speciali. In ogni caso, quel progetto è finito su un binario morto e non se ne parla fino a dopo la celebrazione del referendum, con tutte le incognite legate all’esito positivo di quest’ultimo.

I sostenitori del progetto di revisione sostengono che in materia costituzionale non si può non riconoscere il primato della volontà dello Stato: dimenticano però che nel 2001 una legge costituzionale già aveva escluso il referendum popolare confermativo sulla legge costituzionale di approvazione di uno statuto speciale (in applicazione dell’art. 138 della Costituzione) e questa norma non solo aveva indirettamente riconosciuto il carattere pattizio della revisione statutaria ma aveva addirittura estromesso il corpo elettorale dal procedimento proprio a garanzia della natura  negoziale dell’intesa fra Stato e autonomie speciali.

Patti chiari?

"A poche settimane dal voto del 4 dicembre ancora non sappiamo come sarà regolata la procedura dell’intesa e non sappiamo su quali garanzie giuridiche possiamo fare affidamento."

L’intesa statutaria, inoltre, era già stata formalmente prevista nel progetto di revisione costituzionale del centro-destra e in quella sede era stata formalizzata, in sostanza, la stessa procedura (idoneità di una maggioranza parlamentare dei due terzi ad approvare lo statuto speciale anche in assenza di intesa). Per di più, la previsione dell’intesa era stata formalizzata nel corpo della Costituzione, ad indicare che si trattava di un istituto permanente e non – come ora – in una disposizione transitoria, destinata a valere una tantum (salvo, auspicabilmente, inserire stabilmente l’intesa nel testo dello statuto speciale, come è stato fatto con l’esclusione del referendum popolare confermativo). Ciononostante, sia la leadership politica della nostra autonomia speciale sia gli elettori – con solida maggioranza – in sede di referendum confermativo nel 2006 si erano espressi contro quel progetto di revisione costituzionale che pure, per la prima volta – come i sostenitori del sì sembrano dimenticare – aveva formalizzato l’intesa statutaria nel testo costituzionale.

In sintesi, a poche settimane dal voto del 4 dicembre ancora non sappiamo come sarà regolata la procedura dell’intesa e non sappiamo su quali garanzie giuridiche possiamo fare affidamento. Sappiamo però che il principio di leale collaborazione – che ci si è dimenticati di formalizzare nel testo costituzionale – avrebbe suggerito che adeguate garanzie giuridiche, anziché essere proclamate a parole dalla passerella di politici e sostenitori del sì, venissero  almeno formalizzate in un disegno di legge costituzionale che impegnasse il governo se non anche già deliberate dalla maggioranza parlamentare. Patti chiari, amicizia lunga: è chiedere troppo?

Ad ulteriore conferma dei motivi che suggeriscono la diffidenza e dunque un voto negativo al referendum del 4 dicembre, si può addurre un altro argomento. Ricordiamo, infatti, che la disposizione transitoria già citata (art. 39, comma 13°), oltre alla clausola  sospensiva di cui sopra, contiene  un altro contenuto normativo destinato a dettare una disciplina che entrerebbe in vigore dopo la revisione degli statuti speciali: si tratta dell’applicabilità anche alle autonomie speciali della procedura prevista dall’art. 116, comma 3° per le autonomie ordinarie ai fini dell’acquisizione di ulteriori competenze (solo in materie predeterminate) da parte di queste ultime rispetto a quelle elencate dal nuovo art. 117 della Costituzione. Tale procedura, in sintesi, prevede  – nel presupposto (ragionevole) che “la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio” – che l’acquisizione delle ulteriori competenze venga definita da una legge ordinaria sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata.

Sulle autonomie speciali
Che cosa non va di questo meccanismo, apparentemente di favore per le autonomie speciali? In primo luogo, si tratta di una determinazione del contenuto dei nuovi statuti speciali che prescinde dall’intesa: la si dà per presupposta – si può obiettare -, in quanto potenzialmente espansiva dell’autonomia. In realtà, non è così: l’acquisizione di ulteriori competenze viene infatti sottratta al contenuto dei futuri statuti speciali  - garantiti dal loro status di fonte costituzionale – e viene sottratta altresì al contenuto di future norme di attuazione, a loro volta garantite dal rispettivo status di norma sovraordinata alla legge ordinaria. Le due più significative garanzie giuridiche poste a tutela dell’autonomia speciale e della sua dinamica di sviluppo vengono dunque ignorate e si consuma così un’istanza di appiattimento delle specialità sul livello delle autonomie ordinarie.

Ancora una volta, pertanto, ci troviamo di fronte ad un ulteriore sintomo che, fondato sul testo del progetto di revisione costituzionale, non può certamente dirsi rassicurante circa la portata di un futuro nuovo Statuto speciale.

"Il contesto della revisione costituzionale, a mio giudizio, sembra fare affidamento su autonomie speciali rassegnate a rinunciare al perseguimento di un’autonomia dinamica o di un’autonomia integrale."

Il forte timore è che ci si avvii verso un assetto costituzionale di restaurazione unitaria rispetto alla radicale innovazione costituente del 1948: si segnalano, in proposito, (i) il nuovo contesto di marcata ri-centralizzazione costituzionale delle competenze legislative e di palese favore per una direzione uniforme delle politiche pubbliche, (ii) la costruzione di un ordinamento nel quale l’esperienza di decenni di regionalismo ordinario bloccato legittima il sospetto circa la forza degli apparati burocratici ministeriali i quali sosterranno sempre più spesso la necessità di fare appello all’interesse nazionale e all’unità economica e giuridica per consentire al legislatore centrale di invadere il campo delle materie che il progetto di revisione costituzionale pur attribuisce alla competenza regionale (clausola di supremazia), (iii) una forma di governo nella quale il Senato (che nel linguaggio dei sostenitori  del sì al referendum viene fraudolentemente definito come “il Senato delle autonomie” o “il Senato degli Regioni”) sarà strutturalmente incapace di intervenire per assicurare un ragionevole equilibrio nella ripartizione territoriale delle funzioni di governo.

Rispetto alla conferma referendaria di un tale assetto, sembra velleitario pensare che le autonomie speciali possano non solo potenziare ulteriormente ma addirittura confermare l’attuale rispettiva capacità di autogoverno quale emergente dalla revisione del 2001. E il forte timore è che l’intesa venga raggiunta “volontariamente” pur di confermare – nella riservatezza dei negoziati con lo Stato e delle condizioni (im)poste dall’alto – qualche contenuto di specialità almeno un minimo significativo. Il contesto della revisione costituzionale, a mio giudizio, sembra fare affidamento su autonomie speciali rassegnate a rinunciare al perseguimento di un’autonomia dinamica o di un’autonomia integrale. Il voto negativo al referendum del 4 dicembre mi consente di evitare che questo scenario di rassegnazione si possa concretizzare anche con il mio contributo personale.