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Politik | Avvenne domani

Nel collo dell'imbuto

Laddove si racconta della grande, silenziosa migrazione degli uffici pubblici a Bolzano.

È passata quasi inosservata, nei giorni scorsi, la notizia pubblicata dalla stampa locale, secondo cui entro il 2020, numerosi uffici pubblici del settore sanità e quelli di parecchie associazioni private che operano nello stesso settore verranno trasferiti in un nuovo grande edificio che sta per essere costruito nel rione dei Piani di Bolzano, proprio di fronte al colosso edilizio nel quale hanno trovato posto, da qualche anno, varie ripartizioni provinciali tra cui anche quella della sanità.

In effetti l'annuncio potrebbe passare, nella disattenzione generale, come uno dei tanti vorticosi cambiamenti che negli ultimi decenni hanno coinvolto il settore pubblico nel capoluogo altoatesino, se l'operazione non fosse, in realtà, uno degli ultimi tasselli di uno dei più importanti cambiamenti urbanistici che abbiano interessato, in tempi recenti, la città di Bolzano, mutandone, in maniera irreversibile l'aspetto e le caratteristiche sociali.

Stiamo parlando, tanto per essere chiari, del trasferimento di una parte rilevante del terziario pubblico dalla città "nuova" al centro storico e alle sue immediate adiacenze.

Per poter valutare appieno le ragioni remote e l'impatto presente e futuro di questa colossale operazione, che tra l'altro è avvenuta, come vedremo, senza che mai se ne sia discusso ufficialmente, occorre fare qualche piccola riflessione su come la natura, la storia e la politica abbiano disegnato il volto urbanistico di Bolzano nel corso dei secoli.

Chiunque salga su una delle tante montagne che circondano il capoluogo altoatesino e osservi, dall'alto, il tessuto abitativo della città, potrà forse chiedersi perché mai, mille anni or sono, i padri fondatori abbiano deciso di scavare le prime fondamenta del primo nucleo abitato in un angolo quasi remoto della grande conca che avevano a disposizione. Se rivolgete questa domanda agli storici, vi risponderanno che il luogo scelto era il migliore per intercettare i traffici di merci provenienti da nord. Se domandate agli esperti nelle scienze della terra e della natura, vi faranno presente che la grande conca era bellissima, ma tormentata annualmente dalle piene di ben tre corsi d'acqua, alleati nel disegnare, su un fondovalle paludoso, una realtà ben poco propizia per gli insediamenti dell'uomo.

Comunque sia, Bolzano è nata e si è sviluppata per secoli e secoli nel piccolo triangolo compreso tra la sinistra orografica della Talvera e la destra orografica dell'Isarco. Nel corso dei secoli gli acquitrini della grande conca sono stati bonificati e trasformati in rigogliosi frutteti, ma la città è rimasta più o meno quella della fondazione sino quasi alla metà del 900. Ora, non vi è dubbio che la successiva espansione sarebbe avvenuta, quali che fossero gli sviluppi storici, verso gli ampi spazi a disposizione a sud-ovest del vecchio centro storico, ma la storia ha voluto che nel 1918 l'Alto Adige passasse all'Italia e che il protagonista assoluto della nuova fase urbanistica fosse il regime fascista, intenzionato a cambiare volto alla città per farne un saldo presidio della propria politica di italianizzazione.

Con il progetto piacentiniano, che viene a trovare sostanza amministrativa con il piano urbanistico del 1941, Mussolini non intende solo assicurare nuovi spazi al nucleo abitato originario, ma vuole che venga creata una nuova città, con un nuovo centro, opposto a quello vecchio. L'urbanistica si mette così al servizio di un'idea politica ed è un progetto che, in buona sostanza, viene portato avanti anche nel secondo dopoguerra, sino ad arrivare, negli anni 50, ad ipotizzare la nascita di una Bolzano di 150 mila abitanti. Quel che succede a questo punto, con la furibonda reazione della minoranza sudtirolese, è fin troppo noto. È proprio sulla questione urbanistica che la crisi politica precipita. È proprio il controllo assoluto sullo sviluppo della città che la Südtiroler Volkspartei chiede e ottiene, con la nuova autonomia, come il primo e fondamentale strumento per la tutela della propria identità.

Il risultato immediato è quello di un blocco totale e assai prolungato nel tempo dello sviluppo urbanistico del capoluogo. Esso riprende, in misura assai moderata, solo quando la Provincia Autonoma ritiene di aver sviluppato tutti gli strumenti di controllo necessari per evitare che possa produrre alterazioni nei rapporti tra i vari gruppi linguistici. Nel frattempo le due città, quella vecchia e quella nuova, sono rimaste a contemplarsi reciprocamente sulle rive della Talvera. Nel quartiere direzionale di quella nuova vanno tra l'altro ad insediarsi, l'un dopo l'altro, gli uffici di una Provincia in crescita tumultuosa ed esponenziale.

Il processo inverso inizia solo nell'ultimo quarto di secolo. Progressivamente, senza che mai l'operazione venga annunciata o discussa con gli organi politici che governano la città, la Provincia inizia a trasferire tutti gli uffici e i servizi che le riesca possibile accanto alla cittadella del potere che si affaccia sull'attuale piazza Magnago. Quando la disponibilità di aree nel centro storico si esaurisce, inizia l'occupazione del quartiere dei Piani, con suprema indifferenza rispetto alle condizioni di scarsa raggiungibilità di cui questa zona della città soffre da sempre. È una migrazione di massa che va a coinvolgere anche altri soggetti, come associazioni di categoria, imprese, associazioni che ruotano, per la loro attività, attorno all'ente pubblico.

Se torniamo per un attimo all'immagine iniziale di Bolzano vista dall'alto, potremmo immaginare che essa assomigli ad un colossale imbuto, con il collo rivolto all'imbocco della valle d'Isarco e la parte più larga aperta verso la conca ormai quasi totalmente urbanizzata. Ebbene, negli ultimi 25 anni, una quantità rilevante di uffici pubblici e privati è stata prelevata da varie zone della città "nuova" e infilata, quasi a forza, nel collo del imbuto.

Una cosa dev'esser chiara: non vi è, in tutto ciò, niente di particolarmente criminoso o malvagio. L'operazione è stata condotta nel pieno rispetto di una normativa che assegna tra l'altro alla Provincia poteri quasi totali, sotto l'usbergo del cosiddetto interesse provinciale, sul tessuto urbanistico bolzanino e può essere persino considerata virtuosa, laddove ha consentito di risparmiare l'onere, non di rado pesante, degli affitti pagati ai proprietari di diversi edifici lasciati ora deserti.

Fatto sta, però, che la grande migrazione, anche per come è stata attuata, qualche conseguenza di non scarso rilievo sulla realtà bolzanina l'ha avuta e l'avrà anche in futuro, quando verrà portata a compimento.

Il primo aspetto è quello di cui abbiamo accennato. L'intera operazione è stata realizzata, passo dopo passo, senza che mai Bolzano e i bolzanini l'abbiamo potuta prendere in considerazione nei suoi aspetti positivi e negativi. Una sottrazione di competenza politica che rappresenta un vulnus grave al diritto dei cittadini di questa città di essere protagonisti consapevoli dei cambiamenti del luogo in cui vivono.

In secondo luogo l'aver sottratto importanti cubature di terziario pubblico a diverse zone della città "nuova" e in particolare al suo principale quartiere a vocazione direzionale, non è rimasto e non rimarrà senza effetti. Se disegniamo sulla mappa di Bolzano un triangolo che abbia come vertici piazza della Vittoria, piazza Gries e piazza Adriano, possiamo divertirci a colorare con un pennarello, all'interno di esso, tutti gli edifici un tempo occupati da uffici pubblici ed oggi desolatamente vuoti, del tutto o in parte. Non sono cambiamenti che possono essere assorbiti con facilità e il fatto che la gran parte della cubatura rimasta deserta sia di proprietà di un solo soggetto immobiliare non facilita certamente la soluzione.

La grande crisi di zone come quella di corso Libertà trae la sua origine fondamentale, oltre che nel costo degli affitti, anche nella perdita di quel "popolo" che affollava, come dipendente o come visitatore, gli uffici della zona. I tentativi di rimediare qualche presepio in vetrina a Natale o con qualche lampada nuova sono encomiabili, ma è difficile che portino a risultati concreti.

Ora, con il progetto per la "Casa della salute" dei Piani, inizia anche, presumibilmente, lo smantellamento di una parte almeno del polo sanitario dislocato in via Amba Alagi. Il suggello finale all'intera operazione verrà, inevitabilmente, con il mega progetto per il riutilizzo dell'Areale Ferroviario che metterà a disposizione cubature enormi ben difficili da occupare solo con qualche casa di appartamenti o con qualche negozio. La parte del leone la faranno ancora una volta i palazzi per uffici e, visto che ormai a Bolzano la richiesta di nuovi edifici di questo genere è terminata ormai da un pezzo, sarà inevitabile che le nuove costruzioni finiscano per risucchiare quel che ancora resta al di fuori del centro storico, vedi per esempio la sede dell'IPES.

A quel punto la vecchia contraddizione tra le due città, l'un contro l'altra alzate, sarà definitivamente risolta. Bolzano avrà un unico centro, non solo, come è naturale, dal punto di vista storico e turistico, ma anche sotto il profilo del terziario pubblico e privato di un certo rilievo. Oltre i fiumi resterà, con poche eccezioni, uno sterminato quartiere dormitorio, utilizzato al massimo come terra di passaggio per il traffico, pubblico o privato, diretto inevitabilmente verso un luogo solo: il collo dell'imbuto.

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Karl Gudauner Mo., 07.08.2017 - 23:57

Ein beachtenswerter Zwischenruf. Die Aufwertung der kriselnden Stadtviertel scheint also in der Ämterurbanistik auf Landesebene keine Rolle zu spielen. Wenn sie selbst im Stadtentwicklungskonzept nicht genügend berücksichtigt ist, dann ist die Frage zustellen, weshalb dieses Anliegen im Stadtrat und im Gemeinderat nicht zur Sprache kommt. Wie soll eine Stadtentwicklung ohne Planung möglich sein? Ferrandi lässt es nicht anklingen, doch es ist klar, dass in Bozen bei der Strategie zur Stadtentwicklung auch sprachgruppenspezifische Sensibilitäten eine Rolle spielen.

Während einige die Dezentralisierung der Landesämter (oder auch anderer öffentliche Strukturen) verlangen, also deren Verlagerung in die Bezirke, findet in Bozen selbst eine Konzentration der öffentlichen Einrichtungen statt. Sind für Bozen Sonderstrategien notwendig? Das Thema sollte mit Experten/-innen vertieft werden.

Möglicherweise führte die Konzentration auf die eigenen Zuständigkeitsbereiche dazu, dass die Entwicklung der das Land und den Staat betreffenden Ämterurbanistik im Masterplan gar nicht berücksichtigt worden ist. Vielleicht bräuchte es hier einen eigenen Fachplan. Die strategische Bedeutung der öffentlichen Einrichtungen für die Entwicklung der Stadtviertel kann sicher auch hinsichtlich der konkreten Wirtschaftseffekte beziffert werden.

In der nicht technischen Zusammenfassung des Masterplans steht, dass die Rolle des Masterplans darin besteht, "die hinsichtlich Größe und Funktion bedeutenden Infrastrukturen und Einrichtungen festzulegen". Die öffentliche Ämterlandschaft und deren Funktion für und Wechselwirkung mit der Stadt wird jedoch nicht planerisch erfasst.

Komplizierte Koalitionen haben immer erfolgreich eine akkurate Planung in Bozen zu Fall gebracht. Wenn einmal die Walzen der Bauinteressen losgefahren sind, dürfte es schwer sein, diese mit neuen Planungskonzepten aufzuhalten. Einen Dialog zwischen Stadt und Land in Gang zu setzen, ist dennoch der erste Schritt, um sich aus dem Korsett unantastbarer Planungseinschränkungen und der Umklammerung von Interessenkoalitionen ohne Stadtentwicklungsperspektive zu lösen.

Mo., 07.08.2017 - 23:57 Permalink