Gesellschaft | La sentenza

Sexting minorile, la Cassazione apre

I minori possono realizzare e inviare foto intime, dice la Cassazione mettendo fine a un lungo dibattito. Ora bisogna lavorare sugli altri fronti.
Smartphones
Foto: Pexels

Marco ha sedici anni, Sofia diciassette.

Si frequentano da qualche mese e decidono di scambiarsi foto intime. Marco ne invia un paio su whatsapp, Sofia ricambia con altri scatti.

È pedopornografia?

Protezione o autonomia

A decidere la questione è stata chiamata la Corte di cassazione, dopo che negli anni si erano succedute varie decisioni tra loro non coerenti. Le conseguenze non sono di poco conto: la produzione di “materiale pornografico raffigurante minori”, anche se ad agire è un minore, è punita con la reclusione da sei a dodici anni.

Non è una questione facile. Da una c’è, evidente, la necessità di tutelare i minori. Se le immagini dovessero venire diffuse al di là dei due fidanzati, si può ben capire che ripercussioni ciò potrebbe avere. Basta poco: la relazione finisce e lui o lei si vuole “vendicare”, oppure le immagini vengono carpite illegalmente da un terzo. Al di là del semplice imbarazzo, i due potrebbero venire bullizzati, minacciati, estorti. In più, se le immagini dovessero circolare ampiamente potrebbero andare ad alimentare il circuito pedopornografico, che è interesse pubblico combattere.

Dall’altra, però, c’è anche un valore di non poco conto: l’autonomia e le libertà del minore. La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che l’Italia ha ratificato nel 1991 obbligandosi a conformarvi la propria legislazione, è fondata proprio sul riconoscimento dello sviluppo graduale delle competenze del minore. Al crescere dell’età e della maturità, e soprattutto se vicini alla maggiore età, vanno perciò diminuite le misure di tutela e dato maggior valore alla volontà del minore. Tutela e autonomia sono i due poli del diritto minorile, che bisogna tra loro bilanciare.

Dopodiché, ci sono varie altre considerazioni. Nel momento in cui due minori possono avere rapporti sessuali (in Italia, di regola, dai 14 anni), è coerente vietare sempre e comunque uno scambio di immagini? E c’è anche una questione di proporzionalità della sanzione (è giustificato trattare Marco e Sofia come fossero due pedofili?) e di extrema ratio del diritto penale. Soprattutto nei confronti dei minori, l’intervento penale deve essere infatti una misura ultima, a cui ricorrere soltanto qualora non vi siano altre possibilità meno repressive.

La disciplina in Europa

Tutte queste ragioni hanno portato vari Paesi europei a permettere, entro chiari limiti, il c.d. “sexting” minorile, quindi la realizzazione e lo scambio di immagini connotate sessualmente. Ad esempio, Germania e Austria prevedono nei propri codici penali una apposita disciplina, che permette ai minori di creare e inviare tali immagini, se frutto di libera scelta e il contesto è privo di abusività: nell’esempio, Sofia e Marco non si sarebbero pertanto macchiati di alcun reato.

Tutte le principali norme internazionali ed europee sul contrasto alla pornografia minorile – la convenzione di Lanzarote del 2007 e la direttiva europea 93 del 2011 – permettono espressamente di non punire il sexting minorile. E pure esperti organismi internazionali, come il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e il Comitato del Consiglio d’Europa sul contrasto alla pedopornografia, hanno più e più volte invitato a trattare separatamente le fattispecie “classiche” di pedopornografia dai casi di sexting, non considerando quest’ultimo quale reato.

L’Austria, la Germania e vari altri Paesi europei hanno dato seguito a queste indicazioni; l’Italia, invece, no. Di conseguenza, negli ultimi anni sempre più corti italiane si sono chieste se, e come, applicare l’art. 600-ter del codice penale, che punisce la pornografia minorile, a queste situazioni.

Tanti casi, pochi processi

Vero è che il numero di processi sul sexting minorile è relativamente limitato. Per varie ragioni: perché la maggior parte delle immagini scambiate rimane effettivamente nell’intimità di chi le ha create e ricevute. E anche perché, per risolvere eventuali contrasti che dovessero emergere, vengono di regola scelti altri canali, giuridici e non. Un esempio positivo sono gli strumenti approntati dalla legge sul cyberbullismo, adottata nel 2017 e attenta ad evitare, per quanto possibile, l’intervento penale.

I processi sul sexting sono pochi soprattutto se si considera l’ampiezza del fenomeno. Che il numero di minori che creano e scambiano immagini intime sia alquanto notevole, è infatti pacifico. Autorevoli studi – condotti dall’Unicef e da importanti centri di ricerca internazionali – sono chiari in questo senso. Chiedere, creare e scambiare immagini e video è sempre più considerato “normale” tra minori. Tecnicamente, è stata soprattutto la diffusione degli smartphone a contribuire al fenomeno. Particolarmente coinvolti nella pratica sono i c.d. “grandi minori”, quindi i soggetti più vicini alla maggiore età.

Nel disciplinare il fenomeno, è necessario pertanto considerare questa realtà, invece che – come in Italia è stato a lungo il caso – fare finta di non vedere. Al di là delle intenzioni, quest’ultima attitudine non contribuisce infatti a una effettiva tutela del minore. La norma italiana sulla pornografia minorile, non avendo voluto considerare gli scenari di sexting minorile, è infatti di difficile applicazione qualora i materiali creati liberamente venissero successivamente diffusi senza il consenso della persona ritratta. Quando servirebbe, insomma, la tutela penale vacilla.

(Su questo ultimo frangente, dal 2019 esiste un apposito reato di “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”: è scritto però molto male, essendo stato approvato quasi nottetempo dal Parlamento, e non considera i minorenni.)

Le sezioni unite della Cassazione

La Corte di cassazione ha cominciato a confrontarsi col sexting minorile soprattutto negli ultimi cinque anni. All’inizio, i processi che l’hanno interessata erano inoltre caratterizzati da chiara abusività. Non si trattava di due giovani fidanzati che liberamente si scambiavano foto, bensì di un soggetto – spesso, ma non sempre, adulto – che minacciava l’altro (o l’altra) per ottenere immagini intime. Quando però la Cassazione ha dovuto confrontarsi con casi in cui i minori liberamente avevano scelto di condividere tra di loro foto intime, i nodi sono rapidamente venuti al pettine.

Nel 2018, tra le righe di una sentenza, è emersa l’indicazione di trattare separatamente i casi di sexting da minori da quelli “classici” di pedopornografia. Lo stesso è stato ripetuto nel 2020, in una decisione che cercava di far quadrare il cerchio, reprimendo la diffusione illecita ma invitando a lasciare immuni da pena i minori che dovessero liberamente creare immagini intime.

Un’altra sezione della Corte, però, nell’aprile scorso si è detta di altro parere: il consenso del minorenne, in quanto persona di minore età, non sarebbe giuridicamente valido. Non importa quindi che abbia acconsentito. E volendo la disciplina sulla pedopornografia non solo proteggere il minore, bensì pure contrastare in generale il circuito pedofilo, la volontà del minore non avrebbe in ogni caso alcun rilievo, trattandosi di un interesse pubblico.

La questione è stata così rimessa alle sezioni unite della Cassazione, la composizione più autorevole dalla corte. Sezioni unite che, riunendosi il 28 ottobre, hanno probabilmente messo la parola fine a una querelle trascinatasi nel tempo: no, il sexting minorile non è reato.

 

“Nel rispetto della libertà individuale del minore con specifico riguardo alla sfera di autonomia sessuale, il valido consenso che lo stesso può esprimere agli atti sessuali […] si estende alle relative riprese, sicché è da escludere, in tale ipotesi, la configurazione del reato di produzione di materiale pornografico, sempre che le immagini o i video realizzati siano frutto di una libera scelta e siano destinati all’uso esclusivo dei partecipi all’atto.”

 

La situazione ora: sì, entro certi limiti

Le motivazioni della decisione seguiranno nei prossimi mesi. La conclusione a cui la Cassazione è giunta (leggibile a questo indirizzo) è però chiara: la volontà di un minore di creare e condividere con un’altra persona proprie immagini intime è valida, e fa venire meno il reato di pedopornografia. Sebbene lo stringato comunicato emesso l’altra notte non ne faccia menzione (ma il punto verrà probabilmente sviluppato in motivazione), a tal fine servirà che la situazione complessiva non sia abusiva: la decisione del minore non dovrà pertanto essere stata estorta con abili espedienti o velate minacce.

Incerto, ma anche su questo punto la motivazione porterà chiarezza, se serva o meno che i soggetti siano entrambi minori. La questione rileva soprattutto in prossimità della maggiore età: si pensi a una coppia in cui uno dei due sia da poco maggiorenne. Soprattutto se la differenza di età è notevole, andrà però prestata particolare attenzione alla genuinità della situazione.

Reato rimane invece la creazione di materiali intimi, se destinati fin dall’inizio alla diffusione: Marco e Sofia non potranno pertanto creare immagini con l’intento di condividerle con i propri amici. E reato rimane la diffusione illecita che l’uno o l’altra dovessero successivamente fare dei materiali creati con la promessa che rimanessero privati. In definitiva, la disciplina così creata è molto simile a quella vigente in Germania.

Una soluzione bilanciata, che tutela meglio il minore

La decisione bene bilancia le libertà individuali con la tutela del minore e il necessario contrasto al circuito pedopornografico. Coniugando autonomia e tutele, corrisponde a quanto suggerito dalle Nazioni Unite e dal Consiglio d’Europa così come da quelle parti della dottrina giuridica italiana che si sono occupate del tema.

L’alternativa sarebbe stata l’incriminazione penale di minori per atti in concreto privi di offensività, e una carenza di tutela in quelle situazioni in cui c’è invece bisogno di un’adeguata repressione.

Se la Cassazione ha messo la parola fine alla questione penale, ancora da sviluppare è invece un’ampia rete di strumenti per limitare i rischi insiti nella pratica. Strumenti preventivi di carattere educativo e sociale, che sostengano la decisione informata del minore se, e in che misura, condividere proprie immagini. Strumenti pure repressivi, qualora necessario: che però considerino la minore età, e pongano rimedio all’offesa rimanendo, per quanto possibile, fuori dal circuito penale.

Nonostante varie singole esperienze positive, in Trentino-Alto Adige ad esempio tramite l’opera dell’Ufficio regionale per la giustizia riparativa, su tutti tali fronti l’Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi. Un motivo è stata proprio la lunga incertezza giuridica che la questione per anni ha conosciuto. Ora che in ambito penale la Cassazione pare aver posto la parola fine, si può e si deve lavorare rapidamente anche sugli altri fronti.