Umwelt | Intervista

“Cosa ci ha insegnato il maltempo”

“Servono allerta e briglie di trattenuta, ma nuove e fatte bene” dice Francesco Comiti, docente di idromorfologia a Bolzano. Il convegno sui fiumi: “Non vanno scavati”.
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sedimenti fluviali e prevenzione del rischio
Foto: Francesco Comiti

salto.bz: Francesco Comiti, docente di idromorfologia alla facoltà di scienze tecnologiche di Bolzano, che considerazioni si possono fare in tema di prevenzione dei rischi alla luce del maltempo dei mesi scorsi?

Francesco Comiti: Una considerazione importante da fare è che la popolazione è conscia che durante eventi alluvionali importanti i corsi d’acqua trasportano molto materiale solido e legnoso, un fenomeno che si intensifica nelle piene centenarie o cinquantennali. Torrenti e fiumi non sono fatti solo di acqua, trasportano molto materiale solido, frutto dell’erosione dei versanti montani e delle sponde. Questo elemento va tenuto a mente nella pianificazione, nell’urbanistica, nella costruzione dei ponti, che sono spesso i punti critici per i fenomeni estremi come quello che ha interessato l’Alto Adige e il nord Italia.

 

Guardando a quello che è successo, i torrenti hanno dimostrato di avere un potenziale distruttivo maggiore rispetto a quello dei fiumi, è così?

Bisogna in effetti distinguere i processi dei fiumi da quelli degli altri corsi d’acqua. Parlando di Adige, Isarco, Rienza e Talvera, se guardiamo al caso altoatesino, vediamo che in questi corridoi domina l’acqua, nella quale possono confluire molto sedimento e molto legno, ma in modo tutto sommato contenuto. Altro discorso sono le colate detritiche, a metà strada fra le frane e le piene. Metà o più della metà del volume è costituito da materiale solido, fango misto a legno e sassi, per intenderci. Va da sé che ci deve essere una gestione del rischio che tenga conto della differenza.

 

 

Le colate detritiche sono quindi un pericolo anche per l’incolumità delle persone, come si è visto in val di Sole, dove è morta una donna durante la perturbazione eccezionale di fine ottobre?

Le colate sono ricche di sedimento e hanno un potere distruttivo alto, perché hanno un’elevata energia. Preoccupano per la capacità di creare danni a edifici e alle persone.

 

In Alto Adige e Trentino sono eventi frequenti?

Sì, lo sono. Pensiamo a tutti i piccoli torrenti che scendono dai fianchi delle montagne. A Fortezza, sull’Autobrennero, la circolazione è stata interrotta proprio da una colata detritica. Sono fenomeni molto diffusi in questa parte d’Italia, ma anche in Svizzera, Austria. Si risponde in termini di prevenzione con le piazze di deposito, o bacini di trattenuta, in gergo tecnico, chiusi da briglie che sono piccole dighe per arginare il flusso di materiale solido e consentire quello dell’acqua. I sistemi realizzati in provincia di Bolzano, non tutti per la verità, hanno dato un contributo chiaro per ridurre il rischio. Intrappolando il sedimento di legno prima che intasasse i ponti sono stati fondamentali.

 

 

Il maltempo purtroppo ha fatto delle vittime, sia in Alto Adige che in Trentino, ma cosa ha insegnato per la prevenzione?

Dispiace naturalmente per chi ha perso la vita, in episodi che però a parte il caso trentino non sono strettamente legati a fenomeni fluviali, e infatti in Veneto c’è stata solo una vittima per le inondazioni. In generale si è trattato di un evento molto utile perché ha dimostrato che le opere di difesa servono se sono fatte bene. Riducono notevolmente il rischio, ed è il caso dell’Alto Adige, se sono recenti e realizzate in modo ottimale. Al contrario, il caso della val di Sole ha mostrato che opere vecchie, fatte dopo l’alluvione del 1966 e con criteri sorpassati, possono essere un elemento peggiorativo. In quel caso la colata che ha ucciso Michela Ramponi (la donna intrappolata in casa a Dimaro e investita dal flusso di fango e sassi, ndr) è stata amplificata dalla caduta delle briglie.

 

Significa che la provincia di Bolzano è meglio attrezzata di quella trentina per la sicurezza idrogeologica?

No, perché anche in Alto Adige ci sono briglie vecchie, fatte dopo l’alluvione del ’66. Però si è visto che gli investimenti più recenti fatti dalla Provincia hanno diminuito il rischio. Si è visto che non sempre infatti un torrente con tante briglie è sicuro, meglio un’unica trattenuta nuova e fatta bene che tante vecchie e di scarso valore. Ora si tratterà di capire cosa fare con queste ultime, se rimuoverle o no, perché comunque non possono essere considerate un elemento di stabilità.

 

Ci sono altri aspetti evidenziati dal maltempo?

L’allerta ha funzionato bene. Intendo il sistema di allertamento della popolazione sui cellulari, che è stato attivato in modo molto efficace, ma anche dell’allerta preventiva: è stato di grandissimo valore chiudere le scuole qualche giorno prima, in modo da avere meno persone possibili sulle strade. Si sono ridotti notevolmente i rischi per potenziali vittime di eventi fluviali. Tutti sapevano che la piena stava arrivando e che si trattava di un evento quasi centenario.

 

Di sedimenti fluviali e prevenzione del rischio si è parlato anche nel convegno scientifico dell’8 e 9 novembre a Bolzano, da lei coordinato. È stato utile per focalizzare l’attenzione su una corretta gestione delle risorse idriche?

Anche il convegno è stato sicuramente molto utile, perché si è enfatizzato sul fatto che non ha senso rimuovere il sedimento dal letto dei fiumi per avere una migliore gestione del rischio. I fenomeni distruttivi non hanno infatti alcuna relazione con il fatto che i fiumi non siano stati puliti o dragati. Anzi, tutti i maggiori esperti internazionali presenti, venuti da Stati Uniti, Svizzera, Giappone, Francia, Austria, si sono mostrati d’accordo nel riconoscere che quello che si è fatto dagli anni Settanta ai Novanta ha solo causato problemi di stabilità ai corsi d’acqua, alle sponde e ai ponti.

 

Quale è stata quindi la conclusione a livello scientifico dell’evento?

Per ridurre i rischi occorre lasciare che il sedimento si muova lungo i fiumi, da monte a valle. Sono le briglie di trattenuta a dover bloccare il sedimento e il legname durante le piene. Poi si puliscono e così si ricomincia. Alla base c’è il fatto, scientificamente osservato, che il sedimento e la vegetazione sono necessari per fare sì che i corsi d’acqua restino vivi e stabili. Se ci pensiamo, siamo noi, è l’uomo che è andato a vivere troppo vicino ai fiumi, che ha invaso il loro spazio. Dunque dobbiamo essere capaci di calibrarci. In quest’ottica, i ponti devono essere fatti meglio, devono poter far passare i tronchi durante le alluvioni.