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Politik | Avvenne domani

Addio alla Balena Bianca

Cinquant'anni or sono, in questi giorni, Lidia Menapace lascia, con un polemico documento di diciannove pagine, la Democrazia Cristiana.

Fu un mese di tempeste quel luglio del 1968. Violentissimi temporali estivi come quelli che si abbatterono sull'Alto Adige scoperchiando case e danneggiando strade e frutteti. Brontolii di tuoni lontani, come quelli prodotti dai  cingoli dei carri armati sovietici che per tutto il mese andarono disponendosi attorno ai confini di una Cecoslovacchia alla ricerca disperata di un proprio modello di socialismo reale. Segnali di una tempesta che di lì a poco si sarebbe abbattuta con violenza inaudita, cancellando il ricordo di una primavera che non riuscì mai a divenire estate.

Luglio esplosivo, ancora, in un Alto Adige dove la memoria della grande ondata terroristica era tanto fresca da riempire le cronache. Quelle del primo giorno del mese raccontano della grande adunata alpina avvenuta a Brunico per celebrare la ricollocazione sul suo piedistallo del monumento all'alpino, realizzato nel 1938 e mandato in pezzi da una carica esplosiva nel 1966. Verrà di nuovo distrutto nel 1979 e ricostruito per l'ennesima volta. Di esplosivo, comunque, ne circola ancora tanto. Spunta sotto i binari della ferrovia del Brennero o in un deposito bagagli a Milano o nelle vicinanze di un lago. Non sempre, secondo gli inquirenti, materiale lasciato dai  terroristi. A far uso della dinamite, per l'Alto Adige di quegli anni, ci sono anche i pescatori di frodo.

La bomba, politica però, scoppia il 5 luglio, quando sul tavolo del Segretario Nazionale della Democrazia Cristiana Mariano Rumor arriva un documento con il quale una delle esponenti di punta della Dc altoatesina, la professoressa Lidia Menapace, assessore provinciale, annuncia il suo definitivo addio al partito.

Non si può dire che la decisione dell'ex staffetta partigiana, giunta a Bolzano nel dopoguerra, arrivi del tutto inattesa. I sintomi di un crescente dissenso rispetto alla linea nazionale del partito si erano manifestati più volte nei mesi precedenti, sia dall'ambito del dibattito interno, a livello nazionale ma anche locale, sia con una serie di comportamenti che avevano destato scandalo e riprovazione da parte delle componenti più conservatrici della Dc. Anche in queste note, con le quali ripercorriamo gli avvenimenti salienti del 1968, abbiamo ricordato come Lidia Menapace avesse rivendicato pubblicamente la scelta di aver partecipato alla contestazione studentesca messa in atto dai giovani bolzanini per protestare contro l'arrivo del Ministro della pubblica istruzione Gui, venuto a inaugurare la campagna elettorale del partito. Una profonda assonanza con le lotte studentesche e quelle operaie che venivano maturando in quei mesi che aveva portato l'esponente politica altoatesina a maturare tutta una serie di riflessioni sulla realtà italiana e sul proprio ruolo all'interno di essa.

Sono gli elementi con i quali Lidia Menapace compone il documento con il quale dice addio al partito nel quale ha militato per oltre un ventennio. Il frontespizio è composto di poche righe, firmate, con la comunicazione ufficiale dell'abbandono. Seguono diciannove pagine dattiloscritte che costituiscono al tempo stesso il bilancio di un percorso politico e una durissima critica al modo in cui la Dc sta affrontando le sfide portate dall'impetuosa richiesta di cambiamento che sta attraversando tutto il paese.

"Restare: ma per far che? O andarsene: ma dove? Più di un amico - Scrive Menapace nell'incipit del documento -nel corso dell'ultimo anno e mezzo ha ricevuto da me lettere nelle quali si proponeva il dilemma suddetto, e senza risposta. Per un po' ho deciso di restare, sempre in attesa di trovare qualcosa da fare per cui valesse la pena; oppure che qualcuno mi suggerisse il che fare con un minimo di attendibilità e di interesse. Ma ora ho deciso che andare dovunque, e in ogni modo fuori può dare qualche indicazione migliore sul da farsi che restare. Non è una scelta indolore; se lo fosse non sarebbe giunta così tardi, ne ancora oggi sarebbe piena di incertezze: però è ormai, o almeno mi sembra, una scelta necessaria".

Di seguito la lunga esposizione delle motivazioni politiche di un addio. Il primo capitolo, significativamente, è quello dedicato alle valutazioni di ordine religioso, nelle quali assume enorme importanza il lascito morale del Concilio Vaticano II e delle profonde contraddizioni con le quali questa eredità viene vissuta in un partito che teoricamente si richiama al credo cattolico. Per Lidia Menapace la Democrazia Cristiana ha ormai abbandonato in modo cosciente e da tempo la via della partecipazione e del coinvolgimento di quegli strati popolari di cui reclama la rappresentanza. Ci si incammina invece sulla strada di una sorta di "democrazia autoritaria". "In breve - afferma Menapace- se la democrazia reale è partecipazione (si intende partecipazione al potere, non agli show elettorali o alle manifestazioni trionfalistiche) la Dc non è più un partito democratico". Parole che, rilette oggi, suonano di un'attualità bruciante.

Il J'accuse nei confronti del potere Dc prosegue con i capitoli riguardanti la posizione del partito sullo sviluppo civile dalla società, sulla repressione del dissenso, sul contesto internazionale che vede Lidia Menapace del tutto critica riguardo alla posizione filo occidentale del partito di maggioranza relativa su temi come la guerra del Vietnam.

In un ampio documento dedicato per la gran parte alle questioni di carattere nazionale e internazionale, al problema altoatesino è riservata solo una pagina, poco prima della conclusione, ed in effetti la situazione di carattere locale deve aver pesato poco sulla decisione di lasciare la Dc. Menapace rivendica senza alcun dubbio la scelta fatta, un decennio prima, di impegnarsi per una soluzione concordata della grave crisi della prima autonomia. "... ho collaborato con altri - scrive -alla formulazione di proposte per la soluzione della questione altoatesina, proposte che avevano già all'origine una mancanza quella di essere di natura strettamente normativa, giuridica: rimaneva fuori dal discorso una tematica di carattere economico sociale importante.

A distanza di dieci anni dalla nascita di quel progetto, che Lidia Menapace aveva condiviso con la cosiddetta "sinistra Dc", quel difetto di origine diviene un peso che rischia di affossare l'intera operazione. "Infatti - prosegue - negli anni trascorsi i rapporti sociali si sono modificati o irrigiditi, le tensioni istituzionalizzate e l'attuale assetto, anche riformato, dato l'inescusabile ritardo nell'attuazione, non potrà servire che a mantenere ferma la distribuzione del potere così come essa è, aggravando la situazione dei più deboli, cioè dei contadini sudtirolesi e degli operai dei due gruppi".

L'unica soluzione, conclude Menapace è "riprendere la questione dalla base imponendo una politica diversa nei settori economici, nella vita culturale e religiosa, secondo imperativi avvertiti da qualsiasi coscienza civile e del resto già coraggiosamente pubblicamente difesi dai giovani dei due gruppi etnici, che sono i primi a vivere la realtà sudtirolese in modo autentico e non distorto da contraddittorie esperienze storiche".

Questa l'analisi, queste le conclusioni. Quasi superfluo sottolineare come le ultime righe contengano un riferimento chiaro a quegli ambienti che si vanno muovendo, in quello scorcio del 1968, a Bolzano e in tutto l'Alto Adige e nei quali fa spicco la figura di Alexander Langer.

Se dunque, come abbiamo detto, le dimissioni di Lidia Menapace dalla DC rimbalzano con clamore soprattutto sulla stampa locale, è anche vero che si tratta perlopiù di un'attenzione di breve durata e orientata su aspetti della vicenda che poco hanno a che fare con le reali motivazioni del gesto.

In Alto Adige, in quei mesi e in quegli anni, esiste sostanzialmente un'unica discriminante politica: quello che vede divisi coloro che puntano ad una soluzione concordata della vicenda altoatesina, il famoso "Pacchetto", e coloro che, in vario modo, vi si oppongono. Tutto viene valutato in ragione di questo scontro ed è ciò che accade anche per le dimissioni di Lidia Menapace.

Il giornale Alto Adige riporta, con ampio rilievo, la notizia nella sua edizione di sabato 6 luglio e altrettanto fa, lo stesso giorno il Dolomiten. Ambedue lasciano spazio ad alcune delle motivazioni contenute nel documento inviato da Lidia Menapace a Rumor, ma è chiaro che l'attenzione è tesa a capire quali potranno essere gli effetti delle dimissioni sull'assetto politico locale.

Si dimette dal partito di maggioranza del gruppo italiano uno dei personaggi che ne ha ispirato la  linea politica nell'ultimo decennio. Assieme ad Alcide Berloffa, Lidia Menapace, è stata la protagonista della svolta, che, sul finire degli anni 50, ha portato ad un brusco capovolgimento di linea politica della Dc altoatesina, arroccata sino ad allora, sotto la guida del deputato Angelo Facchin, su posizioni di duro contrasto nei confronti del gruppo sudtirolese. La Dc altoatesina viene addirittura commissariate ed è proprio Lidia Menapace, assieme a Giuseppe Farias, a gestirla direttamente per incarico dei vertici nazionali. Anche nel decennio successivo è una delle figure di punta di quella "Sinistra" che mantiene direttamente il controllo politico del partito. È la prima donna ad entrare in giunta provinciale.

Non è amata da tutti, ed anzi gli attacchi nei suoi confronti per la politica di appeasement verso la SVP si sommano con quelli per le sue posizioni di aperta contestazione dell'autorità e di sostegno alle lotte degli studenti e degli operai.

È quindi, con ogni probabilità, di malcelato sollievo l'atteggiamento con quale molti ambienti del suo stesso partito accolgono la sua decisione di uscirne. La reazione ufficiale della Dc altoatesina arriva a strettissimo giro di posta, dopo una riunione convocata già nel fine settimana. "La direzione provinciale - si afferma nel documento finale - nel rispettare la decisione della prof. Menapace e non intendendo per ora entrare nel merito delle sue valutazioni, si rammarica, a titolo di amicizia e di intenso lavoro politico svolto insieme sulla base di mozioni approvate dai congressi provinciali e quindi a titolo di interesse del partito e della sua presenza che deve essere sempre coerente, aperta e costruttiva, di non aver avuto modo di poter preventivamente approfondire negli organi del partito o anche in sede propria i particolari dissensi personali che la prof. Menapace ha posto alla base delle sue decisioni. Erano note da tempo, infatti, certe preoccupazioni politiche dell'amica dirigente che lascia la Dc, ma non se ne conoscevano compiutamente nel grado, nei punti specifici". Una critica, dunque, sia pur garbata al modo con cui l'addio si è consumato. Un giudizio non abbastanza severo da accontentare la minoranza del partito, che si rifiuta di approvare il testo.

Più polemica, come prevedibile, la reazione degli ambienti democristiani del Trentino. L'unico politico chiamato in causa direttamente con una forte critica da Lidia Menapace è infatti Flaminio Piccoli, allora vicesegretario nazionale del partito, che risponde con un editoriale pubblicato domenica 8 luglio dal quotidiano L'Adige da lui diretto. La vicenda finisce per far notizia anche sulla stampa nazionale. Nei giorni successivi, ad esempio, arriva a Bolzano l'inviato dell'Unità Ibio Paolucci che, in una sua corrispondenza datata 11 luglio, dopo aver dato ampio conto delle varie posizioni emerse, soprattutto nella Dc trentina, dopo le dimissioni, non manca di girare alla diretta interessata, la domanda maliziosamente avanzata da molti: dopo aver lasciato il gruppo Dc in consiglio provinciale per approdare in quello misto, avrebbe abbandonato anche lo scranno in giunta provinciale?

Ovvia e naturale la risposta: inutile provocare una crisi nel governo provinciale a poche settimane appena dalle nuove elezioni. Lidia Menapace dava la propria disponibilità a continuare il suo lavoro secondo le indicazioni del partito appena lasciato.

Tra grandi questioni di principio e piccoli veleni quotidiani, si concludeva così, in quel luglio del 1968, uno dei passaggi forse più interessanti di quell'anno fatidico in Alto Adige. Lidia Menapace, uscita dal ventre della grande Balena Bianca avrebbe iniziato un percorso politico e personale attraverso tutto l'arcipelago della nuova sinistra, nelle sue varie articolazioni, dei movimenti di diritti civili e soprattutto di quelli per i diritti della donna. Avrebbe mantenuto un legame costante con le vicende altoatesine, rafforzato, in tempi recenti, da alcune candidature.

Se abbiamo dato tanto spazio, in queste note storiche, a quelle diciannove pagine scritte esattamente cinquant'anni or sono è perché esse, a giudizio di chi scrive, rappresentano una testimonianza fedele dei turbamenti e del travaglio politico di quel periodo e perché in esse viene a raccordarsi in maniera limpida l'analisi sullo stato delle cose a livello nazionale e internazionale e sulle vicende altoatesine.

Allora, come detto, se ne parlò forse troppo poco, ma i problemi sollevati in quel documento tornarono e tornano di attualità ancor oggi.