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“Siamo la startup dei cammini europei”

La via Romea Germanica riconosciuta dall’Europa. Come Santiago e la Francigena. Flavio Foietta: “Covid, a emergenza finita riscopriamo i territori. Con il mondo tedesco”.
Flavio Foietta, via Romea Germanica
Foto: facebook/F. Foietta

Da Stade, a nord di Amburgo, a Roma. A piedi per 2.200 chilometri. Lungo tre nazioni, Germania, Austria, Italia, sei regioni nella sola parte del Belpaese, dal Trentino Alto Adige al Lazio. Un’infinità di sentieri, borghi, pievi, strade di campagna, fondovalle e montagna. Scorci di paesaggio, tesori “minori” del patrimonio storico-culturale da ammirare davvero cammin facendo. La via Romea Germanica, ora riconosciuta “rotta culturale europea” dal Consiglio d’Europa (non è la Ue, ma l’istituzione nata nel 1949 a cui fa capo la Corte europea dei diritti dell’uomo), è “la start up” degli itinerari slow del Vecchio continente. Così la descrive il suo principale fautore, Flavio Foietta, presidente dell’associazione europea della Via (con sede legale a Bolzano) e allora sindaco di Santa Sofia, piccolo comune in provincia di Forlì, ai piedi dell’Appennino, quando nel 2009 il progetto è nato dalla passione di un gruppo di volontari. Il prossimo obiettivo, per il percorso tracciato nelle sue 92 tappe (1.500 circa i ‘pellegrini’ che l’hanno percorsa ogni anno dal 2017, prima dell’irrompere del Covid), è crescere. Già dalla prossima primavera-estate, quando si spera l’emergenza coronavirus sarà attenuata, il turismo slow potrà essere un modo per riscoprire il territorio lontano dagli affollamenti. E perché non farlo proprio sulla rotta compiuta per la prima volta nel Duecento dal monaco Alberto di Stade? Da qui parte Foietta, che lancia un appello al mondo tedesco dell’Alto Adige.

La via Romea Germanica nasce da un’idea nel 2009 di un gruppo di volontari di Santa Sofia (Forlì). Ci siamo accorti che vicino casa passava la rotta fatta dal monaco Alberto nel 1236, da Stade a Roma

salto.bz: Foietta, da dove partiamo, dal monaco Alberto nel tredicesimo secolo o dall’iniziativa più contemporanea?

Flavio Foietta: Da tutti e due, visto che sono intrecciati. La via Romea Germanica nasce come cammino contemporaneo da un’idea venuta nel 2009 a un gruppo di volontari, di cui ho l’onore di fare parte. Qui a Santa Sofia, comune di 4.200 abitanti in provincia di Forlì, ci siamo accorti che proprio da queste zone passa il percorso compiuto nel 1236 dal monaco Alberto di Stade per andare a Roma, al fine di ottenere dal papa il nulla osta alla modifica della regola monastica. Un itinerario - simile per certi versi a quello fatto dal vescovo Sigerico da Canterbury a Roma, divenuto poi la via Francigena - che Alberto descrisse nel suo diario, intitolato Annales Stadenses. La nostra via Romea segue in maniera fedele il percorso descritto.

 

 

Andiamo indietro di ottocento anni, all’Europa del tredicesimo secolo.

Esatto. Per decidere il cammino, il monaco Alberto prende considerazione diverse strade che allora partivano da Germania e arrivavano Italia. Quella che noi abbiamo ritrovato e ritabellato è la “Melior via” conosciuta dai popoli del nord Europa, parlo di Scandinavia e Danimarca, che arrivavano a Stade, il più grosso porto fluviale sull’Elba, via mare del Nord in barca, e poi si incamminavano perpendicolarmente per arrivare a Roma. Il monaco descrive i pro e contro del passaggio nelle Alpi e sceglie il Brennero, perché il Resia risultava chiuso sei mesi l’anno. Descrive poi nell’odierno territorio italiano Vipiteno, Bressanone, Bolzano, Trento, da dove lui prende verso est percorrendo tutta la Valsugana, quindi Pergine, Levico, Grigno fino a Bassano del Grappa, dopodiché arriva a Padova, Ferrara. Ancora, prende diverse vie, quella principale che arriva a Sant’Alberto Ravenna, poi scende la valle Bidentina dove è situata Santa Sofia. Passa per l’attuale Bagno di Romagna e prende per il passo Serra, perché con i suoi 1.150 metri era il percorso più agevole e veloce, di circa due ore e mezzo, verso la Toscana. Tant’è che questa strada la chiamano la via Romea dell’Alpe di Serra. Allora infatti i passaggi tra le attuali regioni di Toscana e Emilia Romagna erano pochissimi. Anche per questioni strategiche, gli Appennini erano il baluardo difensivo per tutta la zona dell’Italia centrale.

Percorrendo l’autostrada da Firenze a Bologna oppure l’alta velocità in treno si fa fatica a pensarlo.

Certamente, però va considerato che addirittura fino a poco prima dell’Unità d’Italia c’erano solo alcune mulattiere in quella zona a cavallo dell’Appennino. E tornando ad Alberto di Stade, il monaco scrive che quando si arriva a Modena o Bologna conviene prendere la via Emilia, com’era allora, e inoltrarsi a Forlì e nella vallata Bidentina, dal nome del fiume Bidente.

 

 

Veniamo invece al progetto, come le è venuta la folgorazione?

Essenzialmente per due motivi. A me - che arrivo ai 70 anni, ingegnere, per trent’anni dirigente alle grandi infrastrutture del Comune di Forlì, poi per dieci anni sindaco di Santa Sofia - la malattia dei cammini se così si può dire in tempi di Covid mi è venuta per la prima volta lungo il cammino di Santiago. Che è il più famoso itinerario europeo dagli anni Settanta e il punto di riferimento per tutte le iniziative di questo tipo. Nel 2009 siamo venuti a conoscenza di notizie frammentarie di una via Romea che passava vicino a casa nostra. Da lì è partito tutto. Da sindaco inoltre è stato più semplice partire con il progetto.

 

 

I primi “passi” quali sono stati?

Sempre qui in Romagna abbiamo conosciuto Giovanni Caselli, storico antropologo di Bibbiena, che per tanti anni ha studiato sia la via Francigena che la Romea. In contemporanea abbiamo scoperto che in Germania, a Garmisch, era nata un’associazione intitolata “Romweg”, via Romea in tedesco, che si proponeva la stessa cosa. Da questa congiuntura casuale è nata nel 2012 formalmente l’associazione italiana, ma già da 2010 avevamp cominciato a lavorare assieme con i tedeschi. In primavera andavamo noi in Germania a fare dieci giorni di cammino sul probabile itinerario e in autunno venivano loro. Dal 2010 al 2015 abbiamo compiuto tutta la tratta, avendo però fin dall’inizio l’obiettivo di richiedere il riconoscimento europeo.

Bolzano è il nostro baricentro fondamentale. Auspico che anche il mondo tedesco dell’Alto Adige aderisca al progetto, è un’opportunità

Il punto d’incontro di questo lavoro congiunto diviene Bolzano.

È così. Il 22 novembre 2018 abbiamo costituito l’associazione europea via Romea Germanica, che ha tre soci. L’associazione italiana, di cui sono tesoriere e consigliere, l’associazione tedesca Romweg e l’austriaca Jerusalem Way. Quando è arrivato il momento di decidere dove collocare la sede, e visto che il Comune di Bolzano è stato uno soci fondatori con l’allora sindaco Spagnolli, abbiamo subito pensato al capoluogo altoatesino. Il perché è evidente: si tratta del punto d’incontro di due culture, nord e sud, lingua italiana e tedesca. Per noi è l’elemento punto fondamentale, baricentro di tutto il progetto. D’accordo con Caramaschi, nel frattempo divenuto sindaco, la sede ufficiale è stata collocata presso l’Azienda di soggiorno in via Alto Adige 60.

 

 

Ora il riconoscimento europeo, concesso dopo un’attenta valutazione dal governing board del Consiglio d’Europa. Cosa comporterà?

Come ho già detto, è una sfida e una grande opportunità che porterà la via Romea Germanica a crescere, per uno sviluppo culturale, turistico ed economico dei territori attraversati. Mentre le rotte culturali in Europa sono 40, quelle che si riferiscono ai cammini sono poche, due appunto in Italia, la Francigena riconosciuta nel 1995 e la seconda che è la nostra. Questo riconoscimento certifica che stiamo rispettando una serie di canoni, di valori e diritti europei, e ci consentirà di avere maggiore visibilità a beneficio prima di tutto dei territori attraversati, oltre che aiuti dal punto di vista dei finanziamenti e del brand. Anche se va rimarcato che l’intero progetto è stato animato da volontari. Io è dal 2010 che mi dedico completamente a questa iniziativa, ma ci sono tanti altri collaboratori. E se è vero che abbiamo soci istituzionali, non abbiamo però goduto di elargizioni particolari come i milioni di euro ottenuti dalla Francigena, appoggiata a suo tempo da Rutelli e Prodi. La via Romea Germanica è nata dal basso, da una gran passione. Abbiamo raggiunto un risultato significativo, in soli 8 anni. E stiamo comunque cercando di collaborare sia con la Francigena che con la Romea Strata, nata da poco, che parte dalla Polonia.

Senza particolari fondi o appoggi politici, con tanto lavoro dei volontari in soli 8 anni abbiamo ottenuto il riconoscimento europeo: un ottimo risultato

Sarà un volano per il turismo slow?

Aiuterà sicuramente la comunicazione, la promozione dei territori. Bolzano e l’Alto Adige magari non ne hanno bisogno, ma tutti i Comunelli sparsi nel Veneto o nell’Emilia Romagna, dove il grosso turismo non c’è, certamente avranno un beneficio. Come avviene lungo la rotta di Santiago: ci sono paesi che senza il cammino sarebbero dimenticati da Dio e dagli uomini. Mi consenta però di fare un appello che riguarda proprio la provincia di Bolzano.

 

 

Prego.

Noi ora puntiamo molto ad avere come soci le realtà della parte tedesca dell’Alto Adige. Abbiamo già il Comune capoluogo e il Cai, ma vorremmo anche avere la Provincia, l’Alpenverein e i Comuni che hanno una popolazione in prevalenza di lingua tedesca. Vorremmo che divenissero nostri soci attivi, un elemento molto importante per promuovere assieme tutto il territorio. Ricordiamo l’iniziativa compiuta dai tre altoatesini, Thomas Burger, Thomas Mohr e Walter Mair, che nel 2018 si sono recati a San Pietro con i lama allevati nel Renon. La direzione è questa.

 

 

Venendo ad aspetti più pratici, ci dà i numeri del percorso?

Il percorso a piedi è partito nel 2017. All’inizio con qualche centinaio di credenziali l’anno, che sono gli attestati lasciati dalle associazioni ai ‘pellegrini’. Storicamente una sorta di passaporto, è ora un libretto dove quando si va a dormire si riceve il timbro di attestazione che uno è passato di lì. A Roma poi ti danno testimonium. Ricalca la Compostela di Santiago, il documento che fornivano le autorità religiose al pellegrino che raggiungeva la città galiziana per motivi spirituali e che dimostrava di aver compiuto le diverse tappe. Venendo agli ultimi anni, tra le credenziali dell’associazione italiana, quella tedesca e le credenziali di altre associazioni arriviamo a circa 1.500 camminatori l’anno. Ovviamente prima del Covid.

Sono 92 tappe, 46 dal Brennero in giù, quasi tutte facili a parte passo Serra. Sul sito ci sono le informazioni, i punti di appoggio, dove mangiare e dormire

Tappe e loro lunghezza?

Da Stade a Roma sono 92 tappe, dal Brennero a Roma 46, dunque 46 giorni se uno fa una tappa al giorno oppure di più. Sono segnate, tabellate, il sito web contiene i riferimenti gpx, i punti d’appoggio dove mangiare e dormire, le strutture. La lunghezza è variabile, le più lunghe vanno dai 20 ai 30 chilometri come per Santiago. Laddove possibile le abbiamo previste più corte, con punti di appoggio per dormire anche in altre località, non solo presso arrivo e partenza. Per fare in modo che se uno vuole accorciare si ferma prima. Riguardo agli alloggi, sono strutture turistiche comuni o altre che possono ospitare, alcune convenzionate altre no. Dai conventi agli hotel passando per b&b, case di accoglienza, camping. Prenotare prima, naturalmente mi riferisco a quando torneremo a poter viaggiare liberamente, è sempre molto importante, suggeriamo sempre di farlo.

 

 

Facile o difficile?

In generale è un percorso alla portata di tutti. L’unica tappa impegnativa è quella appenninica, 25 chilometri, con i 600 metri di dislivello da Bagno di Romagna a passo Serra e poi altre discese e salite. Al Brennero ci si arriva diciamo non tranquillamente ma è comunque più dolce.

Cosa si vede sul percorso?

Passiamo il più possibile a mezzacosta, nelle vallate ad esempio dell’Adige, per paesi, sentieri, carrarecce, strade poderali, in mezzo alla natura ma sempre con qualcosa di appetibile, dal punto di vista del paesaggio e dei servizi, una farmacia, un posto per mangiare. Se possiamo evitiamo l’asfalto e le strade di grande traffico. È un’ottima occasione per scoprire ciò che non si vede passando dall’autostrada o dalla ferrovia, una pieve, un borgo antico, tutto ciò che costituisce il patrimonio in particolare del nostro Paese e che spesso è fuori dai radar del turismo di massa.

Passata l’emergenza Covid si aprirà una possibile riscoperta del turismo slow: lontano dalle folle, a passo d’uomo si vedono molte più cose

Il Covid come ha inciso su questo tipo di turismo?

Senz’altro il flusso è molto diminuito. Ma si aprono delle opportunità nel mondo post-Covid, speriamo naturalmente che a partire dalla prossima primavera la situazione possa tornare ampiamente sotto controllo. Già il nostro ministero Mibact ha promosso una riscoperta nell’estate scorsa dei cammini e dei luoghi definiti minori. L’escursione a piedi infatti non comporta grossi assembramenti. Sei all’aperto, in mezzo alla natura, ci sono meno potenzialità di contagio mentre invece i grossi centri e le spiagge è chiaro che sono molto più a rischio.

 

 

Cultura e natura vanno assieme?

Sì. Prendiamo l’esempio di Alto Adige e Trentino. Io conoscevo la vallata dell’Adige perché la percorrevo velocemente in autostrada, fino a Ora per poi salire in val di Fassa. Ebbene, poi l’ho fatta a piedi, a mezzacosta, dove ti accorgi di un mondo eccezionale, fatto appunto di natura e di fattore umano. A parte il panorama delle cime delle montagne, che varia a ogni passo, i prati tutti sistemati, le piccoli pievi, le fattorie, i sentieri sono cose che scopri e apprezzi quando te le trovi davanti. Diversamente non potresti farlo. Chi va piano, a piedi, vede molto di più.

La via Romea Germanica è come una startup. Ha una grande storia ma anche un grande futuro davanti a sè

Il vostro obiettivo?

Moltiplicare un bel po’ i numeri. La via Romea Germanica è nata da poco ma ha enorme potenziale. È come una startup, ha una grande storia ma anche un grande futuro davanti a sè. È un incentivo a portare persone che devono apprezzare l’Italia, e non solo naturalmente, per la sua cultura che è dappertutto, diffusa, per la cucina, lo star bene, non c’è posto dove la gente non ti accolga con affetto, dandoti il massimo. Pensiamo a quanto hanno da dire i territori attraversati. L’Alto Adige parla da sè, poi la Valsugana è molto bella, ancora le pianure che non sono così monotone. L’elenco continua con le valli di Comacchio, Padova, Ferrara, le pinete di Ravenna, l’Appennino, la Toscana e l’Umbria, il lago Trasimeno, la cultura etrusca a Cortona, ancora il monastero di La Verna importante per San Francesco. In Italia rispetto alla Spagna, abbiamo molte più cose da offrire. Uno cammina, poi se il territorio gli piace ritorna. La Via è anche un progetto di marketing territoriale. Rivolto anche agli stranieri, al mondo tedesco e nordeuropeo. Questa è la strada.