Gesellschaft | Diario K. #3

Una specie di abbecedario ucraino

La prima missione a Kyiv dell'associazione EUCraina ripercorsa attraverso le lettere dell'alfabeto.
Ucraina
Foto: Paolo Ghezzi Eucraina

A come allarme antiaereo. La compagnia delle notti più o meno insonni. Al ventiduesimo piano del nostro grattacielo di Kyiv ma anche nei rifugi sotterranei. A come angoscia, ansia: compagnia silente. A come Alina, che non legge più Bulgakov perché la letteratura russa non ha “prevenuto” il virus letale di Putin.

B come bombe russe, come in quel villaggio a nord della capitale, assurde. Bombe di vendetta. Bombe di cattiveria. Bombe insensate strategicamente. Bombe terroristiche.

C come cani. Quelli, abbandonati dai vicini, ma raccolti da Natalya, a Khukarì, nord di Kyiv, nella sua casa di campagna incasinata, approssimativa, risparmiata dalla bomba di “saluto” degli ex occupanti russi che ha scavato un cratere lunare nel prato di dietro. I cani dispersi, disperati, che si mangiano a vicenda perché non c’è nessuno che li sfama.

D come Daria, per gli amici Dasha, Kaleniuk. Donna intrepida, i figli portati al sicuro in Polonia, ciuffo battagliero, parole bellicose, tweet incendiari. Lei ha contestato Johnson a Varsavia, lei è andata a Washington, 50 incontri in 15 giorni, per chiedere armi armi armi. E “close the skies, don’t close your eyes”. Daria che si fa accompagnare, la domenica di Pasqua, nella sua casa di campagna, una quiete irreale, un’ora a ovest di Kyiv. La sua mamma ci prepara un pranzo coloratissimo, gustoso. La sua nonna, la nanusya, vive in una casupola di legno dipinta d’azzurro, soffitto più basso di noi, la dote di nozze, cuscini ricamati, sul divano del salotto, le icone nell’altro angolo. A Hanna, braccio destro di Daria, regala un sacco di patate, kartuplia, da seminare nella sua dacia di campagna. Le donne battagliere di Ucraina vivono la primavera, dopo due mesi di guerra, come se la vita dovesse tornare normale: vita, da un giorno all’altro. Patate, canzoni. Sole sui campi, sulle pianure sconfinate. Luci dell’Est. Ci vorrebbe Lucio Battisti, sì, per cantare le donne d’Ucraina.

E come Europa, Eirene (la pace), EUcraina. Per questo siamo andati a Kyiv e L’viv. Per questo EUcraina ci tornerà presto, per fargli sentire che quei missili è come se fossero puntati anche contro di noi. Perché il tiranno di Mosca non può, non deve vincere con la nostra “pacifica” complicità la sua “guerra totale”, razzista e antisemita, un’idea così simile a quella del dittatore di Berlino, ottant’anni fa.

F come fuoco. Lo vediamo impresso nelle carcasse arrugginite dei panzer, delle jeep russe centrate dall’artiglieria ucraina. Le lasciano a bordo strada. Sia per economia sia per memoria. Gli ucraini si fanno i selfie davanti ai trofei di guerra. No pasaràn.

Eucraina - carri armati lungo la strada di Khukarì

 

G come guerra. Europe Assistance non assicura neppure il rimpatrio delle salme. Figurarsi l’evento morte. E allora, senza assicurazioni e senza prenotare alberghi nella capitale, ma contando sulle case ospitali degli amici, EUcraina va, dentro un Paese in guerra, per la voglia di dire, alle ucraine e agli ucraini, che non sono soli.

H come Hanna Hopko, che semina le patate di Dasha nella sua dacia e che canta la canzone del viburno rosso, che è come la nostra Bella ciao. Ha una bella voce e una bella faccia resistente, è pronta a venire in Italia a convincere i “neutrali” che anche loro, gli ucraini, come gli italiani e i tirolesi, hanno diritto a piantare patate in pace, in un orto fuori città.

I come Italia. Per fortuna alla tv ucraina non vedono certi opinionisti a servizio permanente nei telesalotti italiani. I nostri passaporti rossi, toccati e sfogliati da decine di poliziotti e di soldati alle frontiere e ai posti di blocco, sono un buon lasciapassare. Ah, Italia. Italiano: brat, fratello. C’è perfino una catena di pizzerie intitolate a Celentano. Ci guardano, del passaporto leggono solo i nomi di battesimo: Giovanni? Paolo? Sorridono, sorridiamo. Viva l’Italia. L’Italia liberata. L’ambasciatore Zazo, l’ultimo a traslocare a Leopoli e il primo a tornare, suona il pianoforte, ha i sacchi di sabbia davanti alle finestre, è simpatico, alla mano, solidale. Maglioncino, niente cravatta, informalità. Sta dalla parte giusta.

K come Katia, riccioli rossi, di Automaidan, che ci mostra sul suo telefono una cartina di Kyiv con tutte le abitazioni dei giudici mappate nel loro lavoro di vigilanza anticorruzione. Se un magistrato ha una villazza da oligarca, forse gatta ci cova, c’è puzza di denaro per oliare le sentenze. K come Kyiv naturalmente, Kyiv la fiera, la bella. La culla del cristianesimo ortodosso (battesimo della Rus, 988). Kyiv di Maidan e delle cupole dorate, delle chiese azzurre e dei palazzi verdi. E delle mille foto dei morti della lotta per la libertà (Maidan, Donbass, gli eroi son giovani e belli).

 

L come L’viv. La città della retrovia occidentale. Bella. Colta. Mitteleuropea. Sorella di Trento, ex asburgica anche lei. Capitale della Galizia dove i nostri nonni e bisnonni trentini… L’viv dove i genitori telecomandano le automobiline dei loro popi davanti al teatro dell’Opera. Chiuso per guerra come il ristorante dove ti puoi far scudisciare dalle cameriere (la statua bronzea del conte von Masoch è lì davanti). Leopoli bella che sembri Venezia con tutti quei leoni. Leopoli che sembra un’oasi di pace dopo il clima plumbeo di Kyiv. E invece bombardano anche te, Leopoli bella.

M come Myroslava, detta Mira. La nostra amica di Trento, una delle tante ucraine che lavorano nelle nostre case e ci cucinano dei magnifici vareniky ripieni e garantiscono, mandando il loro stipendio, un accettabile tenore di vita ai parenti che sono rimasti là. Le sue figlie ci hanno fatto il borsch, rosso e saporito, nel loro villaggio vicino a Ternopil, dove siamo andati a trovarle sulla via del ritorno. Hanno le galline e i maiali, una casa graziosa e pulita. Quando sparano i missili verso L’viv, però, suona anche per loro l’allarme. E allora, c’è sempre la cantina: ma non si riesce a fare una buona notte, a dormire in qualche modo tra le cassette delle patate. Ma M anche come Mariupol, città consacrata a Maria, dove la Massima Ferocia si è scatenata, nonostante la consacrazione solenne voluta dal papa, del popolo russo e di quello ucraino. “Maria il periglio estremo vedi dei figli tuoi/ madre che tutto puoi, abbi di noi pietà”, dice il capitello di via Cervara, memore delle bombe sui Cappuccini di Trento.

N come Nazioni Unite. Mentre eravamo a L’viv, gran chiasso di clacson e sirene e sette gipponi bianchi con la scritta blu UN che sgommano in centro, accanto alla statua della Madonna e a noi, spiazzati. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Guterres, lo vedo a quattro metri di distanza, la mascherina chirurgica abbassata sotto il naso, il finestrino aperto, addirittura. Penso a Sarajevo e al patriota omicida che attendeva l’Arciduca. Sarebbe stato facile, su quella curva, uccidere il segretario generale. I russi, il giorno prima, avevano ucciso la giornalista Vira Hyrych di Radio Svoboda (Libertà), per dare un avvertimento a Guterres e al mondo. Missili vigliacchi. Mai intelligenti. Sempre prepotenti. Libertà.

O come ossessione. L’ossessione di Putin è eliminare l’Ucraina, radere al suolo la sua indipendenza e la sua cultura. Strangolarla togliendole Odessa e l’accesso al mare. Sottometterla, umiliarla. Ricostruire un impero alle spese degli ucraini. Ossessione che chiama l’Orrore delle stragi dei civili. Sono esseri umani inferiori (“Untermenschen”, sotto-uomini, è come il nazismo definiva gli slavi). Si schiacciano come le formiche. Entro due dita.

P come pace. La vogliono la pace, anche le ucraine e gli ucraini. Ma pretendono (pensate un po’, orsinisti d’Italia!) una pace da persone libere e da popolo sovrano. La Mir putiniana non è esattamente il genere di pace che hanno in mente. Quella pace cimiteriale.

R come resistenza. L’emozione più grande del viaggio. Un viaggio a ritroso nel tempo. Come incontrare il partigiano Johnny di Fenoglio, le resistenti e i resistenti di ottant’anni fa. Sono giovani come allora: si nascondono, si abbracciano, bevono vodka e camomilla, fanno le uova sode per la festa di Pasqua, twittano e postano. Vivono. Resistono.

S come Sos. Loro hanno bisogno di aiuto. Ci sentono vicini. Ma ci chiedono di non dimenticarli. Loro sono un’isola nel mare in tempesta della guerra. Chiedono che i nostri fari restino accesi.

T come Tonik e Tanik, cioè Tonya e Tanya, cioè Antonina e Tetyana: che ci hanno accompagnati e ospitati e guidati e istruiti e illuminati. E ci hanno augurato di innamorarci di Kyiv come lo sono loro, con una passione e una tenacia che merita ammirazione.

U come uomo. Essere umano. Che si prende cura. Uno come Roberto Brambilla, il chirurgo di Soleterre onlus che davanti alla clinica pediatrica di L’viv ci ha detto: “Arrivano i bambini mutilati, amputati, trafitti. Io sono un vulnologo e ne ho viste tante, nella mia vita. Traumi e ferite di ogni tipo. Ma quando sai che questi corpicini martoriati non sono un prodotto dell’incidente, della sfortuna, ma della guerra, be’ ti viene una rabbia che fai fatica a inghiottire”. E poi il dottor Brambilla, che si è licenziato dal suo ospedale di Monza per venire quaggiù ad aiutare, inghiotte le lacrime e la rabbia e si mette ad aggiustare i piccoli esseri umani straziati dai missili e dai mitra.

 

V come vittoria. Loro ci credono. Forse si illudono. Ma non si rassegnano che sia un privilegio garantito al più forte, all’invasore, al dittatore imperialista. Non fanno troppe analisi geopolitiche. Credono che Putin ragioni solo sul piano della forza, con cinica determinazione. Loro oppongono la volontà popolare dell’Ucraina alla volontà autoritaria dell’autocrate. Che annuncerà il 9 maggio, anniversario della vittoria sovietica contro la Germania nazista, la vittoria imminente e la guerra vera. A Kyiv sono pronti, a impedire quella vittoria.

Z come Zelensky. Non piaceva a tutti gli ucraini, anzi!, questo ucraino di famiglia ebraica (e dunque doppiamente odiato da Lavrov e dal Cremlino antisemita), furbetto, populista, perfino filorusso un tempo, uomo apparentemente senza qualità, attore mediocre che in una serie tv diventa presidente per caso. Costretto a diventare condottiero per caso per colpa di Putin, ora tutta l’Ucraina lo vede come un simbolo della resistenza all’invasione dell’Orso di Mosca. Con la barba incolta e la maglietta militare non stirata e i suoi discorsi retorici ai parlamenti di mezzo mondo (“La Nave di Teseo” li sta per pubblicare in anteprima mondiale, si annuncia), Volodymyr il predestinato all’eroismo, Volodia Z., leggendario per caso.

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Peter Gasser Mo., 22.01.2024 - 21:16

Antwort auf von Leonhard Clara

... in diesem Fall ist das schallende Lachen eindeutig: der Kriegsverbrecher und öffentliche Profi-Lügner Lawrow als besoffener Komiker...
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Sie zeigen („interessiert mich nicht“): Ihre Weltsicht gelingt nur, wenn Fakten ignoriert werden, bzw. durch Glauben und (ideologische) „Wahrheiten“ ersetzt werden.
Ist halt so, kann man muss man nehmen, wie es ist.

Mo., 22.01.2024 - 21:16 Permalink