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Amazon & Co.

Amazon è il più grande rivenditore di piattaforme in Europa. Il suo fatturato è il doppio di quello dei suoi 20 maggiori concorrenti. Chi di noi non lo usa?
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Foto: Fabio Petrini

di Alfred Ebner

Certo, le offerte di prodotti acquistabili in rete sono vantaggiose e al prezzo si aggiunge la comodità di poter fare shopping seduti tranquillamente sulla poltrona di casa propria. Per carità! Nulla di negativo, ma forse ognuno di noi dovrebbe anche spendere un pensiero su come questo sia possibile e dove potrebbe portare questa concentrazione di mercato. Conosciamo i problemi con il fisco dei giganti del Web. L'utile operativo di Amazon è stato pari a circa 11 miliardi di euro, ma l’azienda non ha pagato imposte sul 75% delle sue vendite nell'UE nel periodo 2003-2014 a causa di una decisione fiscale anticipata concordata con le autorità fiscali lussemburghesi. Google ha preso una multa da 13 miliardi e Facebook recentemente di 5 miliardi. Nonostante queste cifre imponenti non sono in liquidazione, anzi. E questo è un segnale del potere economico di questi giganti digitali.  Parlando di Amazon i dipendenti devono essere grati se guadagnano il salario minimo legale, vale a dire tra 1,42 € e 11,27 € all'ora nell'Ue. Il lavoro a cottimo o a pezzo, turni di 10 ore e trasporto anche di carichi fino a 50 tonnellate al giorno. Eppure nel 2018, Amazon ha realizzato un fatturato mondiale di circa 210 miliardi di euro e impiega oltre 600.000 persone in tutto il mondo. Con una capitalizzazione di mercato di oltre 730 miliardi di euro, è tra le società quotate di maggior valore al mondo, ma non redistribuisce risorse verso il lavoro, anzi!

Nel lungo periodo, senza interventi decisi della politica, queste pratiche, elusione fiscale e salari bassi, metteranno a repentaglio la stabilità e i bilanci dei paesi – ormai tanti - in cui queste società guadagnano effettivamente i loro soldi, ma dove non pagano le tasse. Ma questo è solo un lato della medaglia. D'altro canto, vi è lo sfruttamento dei lavoratori e l'eliminazione dei concorrenti sul mercato, per non dimenticare gli effetti sull'ambiente, come l'eccessivo consumo di imballaggi e la distruzione dei beni restituiti in condizioni ottimali, pratica, che ha pure provocato discussioni a livello politico. La rapida crescita di Amazon sta perciò in buona parte avvenendo a spese dei lavoratori e dei sistemi di sicurezza sociale. Basta pensare al lavoro a cottimo eseguito sotto costante controllo e con l'utilizzo di tecnologie di monitoraggio all'avanguardia. Con fatica il sindacato ha contrastato mezzi sempre più sofisticati, che con la scusa di razionalizzare il lavoro dei dipendenti erano in verità strumenti di controllo. In altri paesi la resistenza è poco organizzata e debole. Così i dipendenti percorrono sino a 16-20 km in un turno di 10 ore. La norma aziendale stabilisce la gestione di 300 pacchi all'ora a cranio e spesso le pause di lavoro non sono nemmeno possibili per andare in bagno. I dipendenti infine sono assunti solo su base temporanea e si utilizzano i contratti di lavoro meno costosi. Il sindacato italiano nel 2018 dopo aspri conflitti ha firmato per la prima volta un accordo con su salari, turni e orari di lavoro. Questo potrebbe essere un modello per la tutela dei dipendenti anche in altri paesi. In Germania si è infatti intensificata la lotta per imporre ad Amazon l’applicazione del contratto del commercio, al posto di quello della logistica meno oneroso. Inoltre, è stata costruita una rete tra 14 paesi per organizzare la lotta conto lo sfruttamento dei dipendenti. 

Ma è chiamata in causa soprattutto la politica che deve vigilare sulla concorrenza ed evitare situazioni di monopolio. Il mercato, dogma indiscusso del liberismo, può funzionare solo se le imprese si attengono alle norme, dal diritto fiscale, alle norme di tutela dei lavoratori, alla tutela dell'ambiente e dei consumatori. Nell’era digitale, dove esiste il rischio che chi vince alla fine prende tutto, siamo purtroppo in ritardo e attraverso il potere di mercato poche aziende fanno spesso valere le proprie ragioni. Amazon in pochi anni è diventata dominante grazie alla sua triplice funzione - mercato, venditore e società di consegna -  condizioni che si rafforzano reciprocamente. L'azienda raggiunge una quota di mercato sempre maggiore e la concorrenza viene man mano eliminata. Dentro un monopolio chi perde è il sicuramente il consumatore. Ma diventa anche più facile rompere il fronte sindacale per imporre salari bassissimi utilizzando il lavoro temporaneo o insediamenti in altri stati membri con salari più bassi. E noi stiamo già dentro fino in fondo a questo meccanismo.

Questo disillusione nel mondo del lavoro crea anche le condizioni che alimentano alcune pulsazioni politiche preoccupanti. Il sindacato è pertanto chiamato, possibilmente a livello più globale, a usare ogni strumento utile e legittimo in difesa dei dipendenti. Imporre condizioni svantaggiate ai lavoratori attraverso il proprio potere di mercato è per esempio vietato dalle norme europee. E ‘ una possibilità che andrebbe valutata e percorsa. Poi sappiamo benissimo che interventi fiscali o rimedi strutturali come la disaggregazione o la cessione di alcune parti dell'impresa sono per motivi geopolitici di difficile attuazione.  Ma mentre alcuni servizi in rete, penso alle Poste, alla ferrovia, alle telecomunicazioni e l'energia, sono soggette da sempre ad una rigida regolamentazione sia negli Stati Uniti che nell'Ue non esiste nulla di analogo nel mercato digitale. Mentre nei servizi tradizionali il tentativo è stato quello di aprire alla concorrenza eliminando il monopolio pubblico, - con risultati non sempre positivi -  qui non si fa nulla, anche se Il divario tra le imprese leader del settore e le altre si sta sempre più accentuando sotto gli occhi della politica. Più alta è la concentrazione aziendale, più diminuisce la quota dei salari in rapporto agli utili.

Il benessere collettivo ha bisogno di norme chiare che regolano la concorrenza, creando condizioni uguali per tutti. Ma proprio qui si vede l’impotenza della politica, che oggi mostra tutti i suoi limiti. Difficile ormai da capire se non si può – sarebbe uno scenario veramente catastrofico per la democrazia -  o se non si vuole intervenire. Siamo giunti forse all’ultimo appello se vogliamo evitare che l’economia digitale produca quasi esclusivamente perdenti. Anche le piattaforme digitali devono essere soggette a una regolamentazione rigida. In parole povere la politica deve riprendersi il proprio ruolo di regolatore e di garante dell’interesse collettivo.