Wirtschaft | L'intervista

“Eviteremo una terza ondata?”

Federico Giudiceandrea, presidente di Assoimprenditori Alto Adige, sulle strategie anti-contagio, l’economia contrapposta alla salute, l’era post-Covid e il suo carico.
Giudiceandrea, Federico
Foto: Assoimprenditori

salto.bz: Presidente Giudiceandrea, la seconda ondata di Covid-19 ha cambiato profondamente lo scenario in poche settimane. Quale prevede sarà l’impatto sull’economia altoatesina?

Federico Giudiceandrea: Sono e saranno tempi duri. Mi rendo conto che il mondo dell’industria, che rappresento, sia meno colpito rispetto ad altri settori - del resto la prima ondata del virus aveva già fiaccato molte aziende - ma non ce la passiamo bene neanche noi, con l’export in sofferenza dato che la crisi è mondiale.

Reazione a catena.

Anche all’interno del territorio altoatesino è così. Gli alberghi chiudono, non si fanno investimenti, non lavorano gli artigiani ma nemmeno le industrie che realizzano i prodotti.

Era da tempo che gli esperti sollecitavano interventi da parte della politica

Posta la “selva oscura” di dpcm, ordinanze e circolari, spesso anche in contrasto tra loro, ritiene adeguate le misure messe in campo per contenere la diffusione del contagio?

Sono tardive ma adeguate. La progressione attuale dell’indice di trasmissibilità Rt, arrivato quasi a 2 in provincia di Bolzano, determina un raddoppio dei casi positivi ogni settimana e in proporzione i ricoverati negli ospedali e nelle terapie intensive. Con lo spettro del crollo del sistema sanitario. Non sono un virologo, non sono in grado di dire se era meglio chiudere questo o quell’altro settore, ma mi fido degli scienziati e dei dati dell’Istituto superiore di sanità e delle scelte che vengono fatte in base alle loro considerazioni. Era da tempo che gli esperti sollecitavano interventi da parte della politica.

Ci si poteva pensare prima, insomma.

Così da finire anche prima, accorciando cioè il tempo per tornare alla “normalità”. È l’esperienza qui che insegna. Nella prima ondata eravamo impreparati, nella seconda evidentemente anche, spero che per scongiurare una eventuale terza si farà quanto si deve. Pensiamo al tracciamento dei contatti dei casi positivi che è andato in crisi, con il sistema dei test e dei tamponi finito presto in affanno, e quindi l’epidemia che è diventata fuori controllo. La burocrazia, com’è noto, è il male dell’Italia, al contrario in altri paesi, più pragmatici del nostro, sono stati validati test più rapidi. In Gran Bretagna c’è addirittura quello domestico, le persone possono cioè farsi il test da sole a casa.
Onestamente non ho compreso nemmeno tutta quella riluttanza a scaricare l’app Immuni, uno strumento che ha la finalità della tutela della salute pubblica. Quando invece si tratta dei social non ci si preoccupa della propria privacy? Un atteggiamento, questo, che ha il sapore della contrapposizione fine a se stessa, del voler andare controcorrente per partito preso. Ed è purtroppo un vizio comune in questo Paese.

A proposito di antitesi: l’immunologo statunitense Fauci dice che è “inappropriato contrapporre l’economia alla salute” e che “dobbiamo guardare alle misure sanitarie non come un ostacolo bensì una via d’uscita”.

Se la gestione sanitaria annaspa ci sono inevitabilmente ricadute anche sull’economia. È interessante notare come la Svezia del no-lockdown, ad esempio, abbia subìto comunque un calo sul piano economico. L’effetto più grave sui consumi è la paura, con la gente che si chiude in casa ed evita di fare qualsiasi attività.

E l’idea di isolare gli anziani per proteggerli, ma anche per evitare la diffusione del contagio e la saturazione delle terapie intensive?

È chiaro che gli anziani sono più vulnerabili e vanno protetti, ma “ghettizzarli”, etichettare tutti gli over 70 come un’unica categoria, causa di tutti i problemi che ci affliggono, è scorretto. Sarebbe bene ricordare il grande contributo che queste persone hanno dato allo sviluppo della nostra società.

L’effetto più grave sui consumi è la paura, con la gente che si chiude in casa ed evita di fare qualsiasi attività

Capitolo occupazione: il governo frena i licenziamenti (il blocco è stato prorogato fino al 31 marzo 2020, ndr), Confindustria è contraria. Perché?

Secondo noi i problemi vanno affrontati. Non abbiamo detto di non volere degli ammortizzatori sociali, ma la cassa integrazione è uno strumento fatto per attenuare delle crisi passeggere. Il punto è che dopo questa pandemia niente sarà più come prima. Molte aziende dovranno ristrutturarsi - e quindi anche assumere persone con altre competenze -, cambiare modelli organizzativi, cercare nuovi sbocchi sui mercati.

E in questo quadro i dipendenti attuali che fine fanno?

Nessuno vuole lasciare la gente senza reddito, sia chiaro. Sarebbe opportuno creare uno strumento ad hoc per quelle persone che già adesso si sa non potranno più essere ricollocate in azienda, in modo che vengano riqualificate in altro modo. Che almeno si tenti di riqualificarle. Trovo sbagliato dare l’illusione al lavoratore di poter tornare ad operare in un luogo in cui quel determinato livello di occupazione non ci sarà più. È anche nell’interesse dei lavoratori stessi capire quale sarà il loro futuro invece di spostare di mese in mese questa decisione. Occorre ragionare su nuovi modelli di distribuzione - anche oraria - del lavoro, di reddito, e nuovi modelli di solidarietà.

È nell’interesse dei lavoratori stessi capire quale sarà il loro futuro invece di spostare di mese in mese questa decisione

Si continua a dibattere sull’opportunità o meno di chiedere aiuto al Mes che, dice il ministro dell’economia Gualtieri, ha delle condizionalità minori rispetto ai prestiti del Recovery plan. La sua opinione?

Per quel che riguarda i fondi del Recovery Plan innanzitutto non è detto che l’Italia avrà la porzione più grande della torta. Poi c’è il fatto che l’entrata in vigore di Next Generation Eu dipende dall’approvazione di tutti i 27 parlamenti nazionali, al contrario salta tutto. Niente è ancora sicuro, dunque. Detto questo le condizioni del Mes possono anche essere migliori ma bisogna tenere a mente che quando si prendono in prestito dei soldi poi vanno restituiti. I debiti si onorano. E aggiungo: per evitare la scure della terza ondata occorre aumentare la capacità di fare i test, il denaro perciò servirebbe subito. E qui i soliti freni: i soldi sono pochi e il paese è ingessato dalla burocrazia.

Cosa la preoccupa di più oggi?

Penso che ci aspettano due, tre anni difficili. Ci sarà da reinventarsi, ma sono fiducioso, il nostro paese ha sempre saputo rialzarsi. Stavolta trattandosi di una situazione globale va anche affrontata in maniera globale. Se l’Italia fosse infatti da sola a fronteggiare l’epidemia, mentre il mondo va avanti come prima, per noi sarebbe un disastro, perché per un Paese che esporta come il nostro il problema più grande sarebbe perdere quote di mercato. È più facile tenersele, invece, se lo scenario è critico per tutti. Non vorrei dire “mal comune mezzo gaudio”, ma ecco, ci siamo capiti.