Wirtschaft | Povertà

Provincia ricca, cittadini poveri?

Diseguaglianze, povertà relativa e assoluta, crisi del ceto medio, reddito di cittadinanza e salario minimo per legge sono temi tornati alla ribalta. Una riflessione.
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Foto: Fabio Petrini

E’ una discussione sicuramente legittima, vista la precarietà dei giovani e i dati, forniti di recente dall‘Inps, sugli importi delle pensioni. A livello nazionale il 70% delle pensioni non supera i mille euro e nel ricco Alto Adige questo dato si attesta comunque attorno al 50%. Come per tutte le statistiche è utile poi fare qualche precisazione, perché almeno da noi un terzo dei quasi 120.000 pensionati ritira due o più assegni. In assenza dei codici fiscali, - per motivi di privacy non sono accessibili - diventa perciò difficile per un commentatore esterno valutare con esattezza la situazione economica reale degli anziani. Molti pensionati vivono poi dentro un nucleo familiare proprio o con figli e parenti. Dalle indagini risulta,  - e non è certamente un caso - che sono gli anziani soli, ma soprattutto le donne oltre i 65 anni, che hanno un elevato rischio di cadere nella povertà relativa, ma anche in quella assoluta. Eppure anche chi ha una vita lavorativa discontinua, come gli stagionali, si trova spesso in difficoltà. Più in generale il 17,1% della popolazione locale è a rischio povertà e circa l’8%, ovvero 17 mila famiglie, si salva grazie ai contributi sociali della mano pubblica. La povertà manifesta è attorno all'8%. In termini numerici è a rischio povertà chi ha un reddito inferiore al 60% del reddito mediano calcolato per l’Alto Adige, cioè attorno a 11.000 euro annui, mentre la povertà è manifesta quando il reddito non riesce a garantire alcune necessità ritenute fondamentali.

Ma a prescindere da queste valutazioni, rimangono comunque fattori negativi per l'andamento delle pensioni: una tassazione elevata (35 miliardi delle pensioni erogate vanno al fisco) e l’inadeguata rivalutazione delle pensioni. Questo incide più pesantemente a livello locale dove il tasso d'inflazione ha sempre superato quello nazionale, che fornisce la base di calcolo per l’adeguamento annuo dell'assegno pensionistico. Per le pensioni più alte la base di calcolo è addirittura leggermente inferiore rispetto all’aumento dei prezzi, accelerando così il processo di perdita del potere d'acquisto reale. Poi anche il "carrello della spesa", che raggruppa i prodotti maggiormente consumati dagli anziani, come l'alimentazione e la casa, di solito supera il tasso d'inflazione calcolato dall'Istat.

Prendere come base di calcolo un paniere che rispecchia i consumi delle persone in età avanzata è la prima richiesta che il sindacato ha formulato da tempo. Va individuato inoltre un meccanismo che faccia partecipare anche gli anziani ad una eventuale crescita della ricchezza prodotta in termini reali. In passato il legame con l'evoluzione dei salari, che sono legati strettamente alla produttività e all'andamento economico, garantiva un certo effetto redistributivo. Oggi in termini reali si potrà al massimo mantenere il valore della pensione, che, come accennato sopra, in molti casi, grazie all'attuale meccanismo di rivalutazione, addirittura si riduce. Ricordiamo che dopo due anni di sostanziale blocco - l'inflazione in Italia era anche sotto lo zero - per il 2018 le pensioni sono aumentate dell'1,1%, cioè di un importo quasi impercettibile.

Eppure il potere d'acquisto non è solo fornito dal reddito, ma anche dal costo della vita. Hanno ragione i pensionati, ma anche le famiglie, a lamentarsi del costo delle abitazioni che bruciano una consistente parte delle proprie entrate. Chi ha una casa Ipes, salvo imprevisti, è abbastanza al sicuro, ma chi deve acquistare o affittare una casa rivolgendosi al mercato deve sborsare, a seconda del territorio scelto, somme di danaro consistenti. Per fortuna molti anziani hanno la casa di proprietà, cosa abbastanza difficile da realizzare per i giovani di oggi.

I contributi pubblici sono sicuramente utili, se non quasi indispensabili, ma in futuro non potremmo sottrarci alla necessità di valutare i possibili effetti distorsivi sulle dinamiche tra domanda e offerta.

Non dobbiamo poi ignorare l'esistenza di prestazioni sociali locali che impediscono a molte famiglie di ritrovarsi in condizioni di vera e propria povertà. Meglio però non gioire troppo. In un futuro abbastanza vicino il problema dell’indigenza nella terza età rischia di esplodere se non troviamo correttivi per le pensioni contributive di chi oggi è ancora in attività, cioè dei giovani.