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Gesellschaft | Una grande donna

Nello studio della Dottoressa Zallinger

98 anni, una vita dedicata ai suoi pazienti. Conosciutissima, la Dottoressa Marianne Zallinger è una delle personalità più interessanti della nostra terra.

Una pioggia improvvisa precipita dal cielo.

Impassibile, lei aspetta che passi, all’uscita dal Regina Poli di corso Italia, dove spesso la si incontra.

Con la spesa in una mano e i giornali nell’altra, sosta al riparo della tettoia.

Ho un ombrello. «Dottoressa Zallinger - le dico - posso accompagnarla a casa?». Accetta, mi prende a braccetto e ci incamminiamo sotto l’acquazzone battente. Pochi giorni prima, le avevo proposto un’intervista. «Su di me non occorre scrivere proprio niente» mi aveva risposto. Ero preparato a un garbato «no» (non era il mio primo tentativo e so che lei non ha mai concesso interviste). Eppure, contro ogni mia aspettativa, questa volta aveva accettato. «Però la avverto – aveva aggiunto con un filo di ironia – ho quasi cento anni e la mia memoria è come un Emmenthal, ha qualche buco». Le ho chiesto allora un contatto telefonico e lei, senza pensarci sopra, aveva snocciolato le cifre del suo recapito. Altro che Emmenthal.

La pioggia primaverile ha anticipato la mia telefonata. Schivando le pozzanghere, passeggiamo assieme fino al suo leggendario studio di piazza Mazzini. Lascio l’ombrello nel giroscale. Mi invita ad entrare.

Tutto è rimasto come era. La sala d’aspetto, l’ambulatorio che tanti bolzanini conoscono bene: nulla è cambiato. Si siede dietro alla scrivania anni Cinquanta. Mi invita a prendere posto di fronte, proprio come generazioni di pazienti hanno fatto per mezzo secolo. Alla mia destra il lettino per le visite è allestito come se ella attendesse ancora qualcuno. Sopra di esso, un lenzuolo lindo e stirato. Libri di medicina, una ricchissima corrispondenza e un curioso piccolo Buddha di ceramica sono ordinatamente disposti sulla scrivania. Dietro di lei, su un comodino, una lampada ad olio. Un certo numero di orchidee, sul davanzale della finestra. Regali di ex pazienti. E così, ho il privilegio di intrattenermi con la dottoressa Marianne Zallinger, una delle personalità più interessanti della nostra Bolzano.

Marianne Zallinger nasce a Merano nel 1921. Appartiene a una famiglia nobiliare, gli Zallinger-Thurn. Un’antica casata di giuristi, alcuni occupano un posto d’onore nelle enciclopedie specializzate. «Ha presente l’arco che si trova in via Streiter? Apparteneva alla mia famiglia» mi dice. Gli Zallinger erano originari di Augsburg. Lì vicino, c’è ancora una cittadella che porta il loro nome. Sfila dal dito un elegante anello con lo stemma. Il padre, Bernhard, aveva uno dei più rinomati studi legali della regione. Ai tempi in cui era bambina, l’Europa precipitava nel baratro. Marianne è una giovane ragazza quando il fascismo costringe gli Zallinger a cercare riparo in Austria, dai parenti salisburghesi. A Salisburgo compie gli studi di pianoforte e si diploma nel prestigiosissimo «Mozarteum» (lo zio, Meinhard, era un importante direttore d’orchestra in Austria e a Monaco). Grazie alla musica, conobbe Arturo Benedetti Michelangeli, di cui fu molto amica. «La musica era solo il mio hobby», mi dice. «La mia vera vocazione era per la medicina. Sapevo fin da giovane che volevo essere un medico e aiutare gli altri, con tutte le mie forze». La guerra infuriava e tra le rovine della catastrofe questa donna minuta e dai grandi occhi azzurri studiava come guarire il prossimo. Compiuti gli studi di medicina a Vienna, rientra a Merano e quindi a Bolzano. Per alcuni anni ha il suo studio in via Streiter, poi si trasferisce nella sede di piazza Mazzini, quella dove ora ci troviamo a parlare.

Per la nemmeno trentenne dottoressa era già chiaro: i pazienti sarebbero stati sempre al primo posto. Per il successivo mezzo secolo e oltre, senza risparmiarsi mai. E la “leggenda Zallinger” lo attesta. Una delle prime donne medico (e una delle rare laureate) ha curato centinaia di persone. Nobiltà, sì. D’animo. Il paziente per lei non era un numero, ma una persona da guarire e da conoscere, da ascoltare, da incoraggiare. Un po’ di ironia, fermezza, ma sempre tanta umanità, presenza costante. A tutte le ore del giorno e della notte.

«Quante volte, racconta, di notte, squillava il telefono e partivo. Molti pazienti abitavano anche in montagna. Quante notti...». E quando arrivava era un sospiro di sollievo. La dottoressa Zallinger ha continuato a visitare pazienti fino a pochi anni fa. Come d’uso, li seguiva anche nelle cure ospedaliere. Al San Maurizio è conosciuta anche dai medici più giovani. Ricordo un amico medico che una volta mi disse: «Quando la Zallinger viene a visitare un suo paziente, noi giovani siamo tutti sull’attenti. La sua dedizione è per noi un esempio. E quanta conoscenza...». «La professione è cambiata», mi dice lei. «Oggi molti medici sono diventati come degli impiegati, lavorano a tavolino. Certo ci sono altre risorse, medicinali e poi il computer...noi si andava a casa, si parlava con il malato, lo si conosceva non solo clinicamente».

Da dietro la sua scrivania, stile anni Cinquanta, tra le cartoline spedite da pazienti che oggi sono anziani, tra i libri e le orchidee, nel suo ambulatorio rimasto così com’era – quasi che la sua missione non dovesse cessare mai – la quasi centenaria dottoressa Zallinger mi guarda con i suoi grandi occhi azzurri. «A 98 anni le forze non mi sorreggono e da alcuni anni non esercito più. Ho dato tutto. E quante fatiche...ma sono contenta di averle fatte. E sa? Le rifarei, tutte. Non ho rimpianti».

Poi abbozza un sorriso. «Guardi, mi dice, piove ancora».

Ma le nubi si sono un po’ squarciate e da un lembo di azzurro si scorgono i primi raggi di sole. La saluto cordialmente.

«Non dimentichi il Suo ombrello» mi raccomanda.