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Tra noi uomini

Il nuovo romanzo di Marco Pontoni è un libro sull’amicizia fra uomini, sull’impurità di questa e, insomma, sull’imperfezione maschile.
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Nel titolo del nuovo romanzo di Marco Pontoni, giornalista e scrittore di origine bolzanina, si può indovinare un’allusione al presente del campo letterario: Tra noi uomini (Nutrimenti, pp. 288, euro 18,00) sembra infatti cercare uno smarcamento rispetto a tanta narrativa “al femminile”, come si sarebbe detto qualche decennio fa, o “scritta da donne sulle donne”, come preferiranno dire altri – comunque quella che oggi è una linea dominante dell’editoria maggiore. Che sia voluto o no, lascerei da parte l’ammiccamento a favore di una nota meno polemica: di certo c’è bisogno anche di una narrativa che tratti il maschile, che lo esplori e lo decostruisca alla luce dei mutamenti in atto. E il romanzo di Pontoni è un contributo in tal senso.

Si è poi fatto notare, al lancio del libro, che Pontoni, classe 1965, tra le sue prove giovanili e oggi ha frequentato il corso over 30 della scuola Holden, come se questa fosse una nota di merito. Per chi scrive queste righe non lo è, ma non è neppure uno stigma: metti pure che in tal modo l’autore abbia avuto un più agevole approdo all’editoria indipendente di qualità, ma lo spauracchio dello scrittore clonato, del romanzo a trama iper-convenzionale, scritto secondo un ricettario standard, è in buona parte smentito dal testo, nel bene e nel male: pur con le sue debolezze, questa prova del Pontoni maturo dà l’impressione di essere scaturita da una onesto imperativo interiore. In altre parole, può piacere o no, ma c’è da credere non potesse essere un libro diverso: prendere o lasciare.

Non è un vezzo, questo dilemma. Pontoni ci sfida fin da subito con la scelta di un narratore la cui flemma ha un che di biblico – si legge nell’Apocalisse: «Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» – o del primo Svevo, quello ancora naturalista di Una vita, come un Alfonso Nitti dei giorni nostri. E sa pure di esser tale, poiché gli va riconosciuta una spiccata lucidità di analisi, di sé stesso e degli altri. Del resto è uno scrittore, benché un po’ velleitario. O meglio, è un velleitario che, tra le altre cose, aspira a vivere di scrittura e per lo più si accontenta, una volta adulto, di redigere articoli e reportage per gli enti pubblici o religiosi che finanziano i suoi viaggi in giro per il mondo. Del resto in lui il cattolicesimo è talmente introiettato e amalgamato con la sua nevrosi, pur entro un blando afflato progressista, che Enzo sa bene come il suo problema principale sia il «senso di colpa». Il secondo problema è la sua insopprimibile tendenza a istruire il lettore su origini o etimologie di parole o espressioni, ragion per cui ogni tanto si è tentati di mollarlo alla sua grigia sorte.

Se questo è il narratore, bisogna poi dire che sia lui che gli altri due personaggi maschili di cui narra il romanzo ne escono piuttosto male. Se ci limitassimo a riassumerne la trama, i loro atti avrebbero un che di meschino, addirittura di morboso: Enzo da ragazzo è amico per la pelle di Andrea, salvo poi frequentare il di lui padre, Antonio, vedovo e artista di provincia, cercando in quest’ultimo un papà carismatico, sostitutivo del proprio; è deluso da Antonio allorché si convince che questi sia giaciuto con la ragazza dark di cui lui nel frattempo si è innamorato, così molla tutti e se ne va; dopo mezza vita di ordinarie peripezie, rieccolo nella sua terra natia, sull’altipiano sopra Bolzano dove con Andrea e famiglia sta aspettando l’arrivo del vecchio Antonio; qui, nel frattempo, avvia una tresca con la moglie di Andrea, salvo poi scoprire che… Che Andrea è messo peggio di lui, e forse pure del padre, mentre le donne del romanzo hanno dalla loro una maggior serenità. Può essere tutto qui? No, e lo dice anche la quarta di copertina: questo è un «romanzo di relazioni», il suo spessore non è nella trama, ma nei personaggi e nei loro rapporti.

Questo di Pontoni, in effetti, è soprattutto un libro sull’amicizia fra uomini, sull’impurità di questa e, insomma, sull’imperfezione maschile. Non importa se si è, come Andrea nella scena d’apertura, destinati fin da piccoli a disobbedire a un padre ingombrante, fino a portarsi dietro per tutta la vita un agonismo volto a superarlo, o se si è bravi a dissimulare il proprio egoismo come Antonio, che nel suo narcisismo un po’ manipolatorio dapprima ci affascina, capace com’è di elargire pillole di affetto e saggezza a un Enzo che pende dalle sue labbra, poi però va svelandosi in tutta la sua decadenza. È pur sempre con virilità mediocri che abbiamo a che fare. Ed Enzo, che ci accompagna fra il presente del ritrovo vacanziero e le ampie ricognizioni nel proprio passato, dagli studi a Milano ai domicili di Bologna e Roma tra un viaggio e l’altro fuori dall’Europa, con o più spesso senza una compagna accanto, si riscatta solo in parte con la propria autocoscienza. L’immaturità con cui si congeda nella prima parte diventa autocertificazione di un fallimento nella seconda («Il mondo cambiava senza che io potessi influire in alcun modo sui cambiamenti. Dunque, la vita che stavo conducendo era una vita inutile») fino a scivolare, nella terza, in una molle e mal celata perversione.

Il romanzo, tuttavia, non è solo un’anamnesi senza troppi sconti sulla maschilità dei nostri tempi. È anche lo spaccato indiziario di un’epoca di grandi mutamenti, in cui il mondo si è fatto più piccolo e si può «arrivare dappertutto», la spiritualità si è trasformata in una pratica new age di auto-aiuto e la tecnologia ci ha cambiato la vita, dai primi computer portatili alle chat per incontri che trasformano l’amore nel suo mero «gioco». Ed è un romanzo, come forse si è notato arrivati fin qui, che è sì ambientato in parte a Bolzano, ma senza aver ceduto alla tentazione di fare di Bolzano la solita allegoria della terra di confine. Riconosciamo i luoghi, pur con qualche contraffazione, ritroviamo che la nostra è «una terra magnifica» anche se può indurci a fuggire, assistiamo alla brava musealizzazione del monumento della Vittoria, ma questo è tutto. Si è maschi qui come lo si è in molti altri luoghi, si è benestanti o si sta a galla come altrove, e soprattutto si ha bisogno di amore come tutti, uomini e donne, da adulti o da bambini, padri, madri, eterni figli: nessuno escluso.