Wirtschaft | Economia

Orario di lavoro: 4 giorni settimanali?

Dire in questo momento che rischiamo l’aumento della disoccupazione è come affermare che a Natale nevica.
Hinweis: Dies ist ein Partner-Artikel und spiegelt nicht notwendigerweise die Meinung der SALTO-Redaktion wider.
salto_wikipedia_00000002.jpg
Foto: Wikipedia

Bisogna, infatti, individuare i settori a maggior rischio, le zone e il tipo di azienda. Dopo l'espulsione dei lavoratori a tempo determinato, vanno ora verificati i danni sul restante mondo del lavoro. Visto che siamo legati all’andamento dell’economia italiana e dei paesi vicini, le previsioni sono complesse e serve cautela. Diffondere un ottimismo di facciata è sbagliato come analogamente lo è invocare scenari catastrofici.

Siamo dentro un quadro di transizione. Solo tra qualche tempo sarà possibile capire se a una caduta rapida dell'economia seguirà una ripresa forte, o un periodo di stagnazione più o meno lungo. In attesa di verifica dobbiamo affrontare le difficoltà di tante aziende. Di fronte a una prospettiva di ripresa, che ci sarà di sicuro, vanno evitati i licenziamenti, che, oltre a tutelare i lavoratori, garantiscono anche la produttività delle aziende senza soluzione di continuità.

Per questo va costruito un reciproco consenso tra le parti sociali per contrattare e attivare tutti gli ammortizzatori oggi esistenti, fino ai limiti massimi previsti dalle norme. Dissipare professionalità significa nel momento della ripresa perdere prezioso tempo per agganciare il treno della crescita. Questo vale ancora di più per le piccole aziende, che, persa la professionalità dei pochi dipendenti, non si riprendono più e chiudono poi i battenti come nella crisi del 2009. E questa sarà la nostra sfida nei prossimi mesi.

Il blocco dei licenziamenti ha sinora bloccato il mercato del lavoro. Con la fine della moratoria gli scenari cambiano e anche gli ammortizzatori prima o poi finiscono. In passato si ipotizzava spesso una riduzione dell’orario di lavoro. “Lavorare meno, per lavorare tutti" si diceva negli anni 90 del secolo scorso, cosa per la verità non molto amato dalle imprese, ma neppure tra molti lavoratori per la paura di perdere pezzi di salario.

Di fronte a questa crisi molto più profonda di quelle del passato, bisogna dare una prospettiva nuova a chi lavora, ma anche a chi è in cassa integrazione o a chi è disoccupato. Una migliore distribuzione del lavoro sarà inevitabile, non solo per la crisi del momento, ma anche per alcuni cambiamenti ormai avviati.

In Nuova Zelanda, per esempio, si pensa a una settimana di 4 giorni lavorativi per gestire gli effetti sull'occupazione del Covid. Alcune aziende europee hanno già sperimentato nuovi modelli di distribuzione dell'orario di lavoro con risultati incoraggianti, nonostante l'erogazione del salario pieno.

Questo progetti vanno studiati per verificare gli effetti che producono. Si afferma tra l'altro che chi lavora meno ore è più soddisfatto e che è più motivato e meno assente per malattia. Questo ha migliorato la produttività, pareggiando così il maggiore costo. E' anche noto, che con il passare delle ore cala la concentrazione ed è più facile commettere errori, cosa che poi incide negativamente sulla qualità. E infine si ridurrebbero il burn out e le depressioni, che provocano costi elevati alle casse pubbliche. Questi effetti vanno ovviamente studiati nel tempo prima di fare scelte più generali e definitive.

Per incentivare e sperimentare questi processi si potrebbe utilizzare una parte dei soldi spesi per gli ammortizzatori sociali per reintegrare i cassaintegrati nel ciclo produttivo, utilizzando modelli innovativi di distribuzione del lavoro ed erogando il salario pieno. Sarebbe non solo un rientro soft per chi è da tempo fuori dal posto di lavoro, ma le aziende potrebbero verificare gli effetti sui lavoratori e sulla produttività. Inoltre, più persone lavorano, più si allarga l'idea dell'esistenza di una prospettiva futura per se stessi e la propria famiglia, cosa fondamentale per la coesione della società.

Poi si può contrattare anche riduzioni dell'orario a totale carico dei lavoratori. Tanti chiedono per esempio passaggi più morbidi tra lavoro e pensione con una riduzione dell'orario. Ad altri piacerebbe scegliere tra un minore impegno lavorativo è più tempo libero.

In alcuni settori molti giovani, soprattutto se altamente qualificati, preferiscono il tempo libero al posto di un aumento di guadagno per studiare, viaggiare o dedicarsi alla famiglia. Va rimarcato che in questi casi il lavoratore si finanzierebbe da solo la riduzione. Purtroppo in questi casi spesso prevale la logica rigida delle 40 ore e la circostanza che sul tempo di lavoro decide comunque l'azienda.

Va anche rimarcato che la riduzione dell'orario di lavoro è subdolamente già in atto e spesso neppure voluta dal dipendente. Moltissimi lavori creati negli ultimi anni sono a tempo parziale e non sempre richiesti dai lavoratori, pardon dalle lavoratrici. Il part time è donna e non a caso le donne sono penalizzate in varia misura: meno stipendio, pensione misera e lavoro gratuito per la famiglia. Indirettamente una riduzione su larga scala dell'orario di lavoro potrebbe migliorare anche la conciliazione tra lavoro e famiglia e la distribuzione più equa degli impegni di cura dei figli e degli anziani.

Ovviamente non tutti i settori sono uguali per cui sarà difficile trovare una formula unica. Nei settori come la gastronomia e il turismo la produttività crescerà per sua natura sempre meno che nel settore industriale. Qui la produttività non sarà in grado di recuperare il maggiore costo che deriva da una diminuzione del tempo di lavoro con salario pieno. Tutto si scaricherebbe sui prezzi e la competitività.

Sarebbe inoltre difficile gestire i lavori in settori dove l'accesso è discontinuo! Questo non deve mettere in discussione il progetto stesso, ma soltanto spingere a una contrattazione che tenga conto delle diverse necessità.

Anche se parliamo di modelli futuri, di fronte alla possibilità di attenuare la crisi occupazionale del momento, varrebbe davvero la pena incominciare a discutere ed elaborare progetti innovativi tra le parti sociali e la politica.

Alfred Ebner