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Lo stravagante gusto del mistico

I tedeschi lo definiscono un guru. Paolo Coletto, maestro gelatiere e yogi, sulla creatività, il tempus fugit, una ricetta di nome Persia e quel viaggio in Thailandia.
Coletto, Paolo
Foto: Salto.bz

Entrando nell’Officina del gelo Avalon, piccola bottega del gusto in corso Libertà a Bolzano, la prima cosa che si nota è una fotografia incorniciata di un guru indiano che all’ingresso pare osservare e accogliere i clienti, pardon, “ospiti” come ci tiene a sottolineare Paolo Coletto, maestro gelatiere dai lunghi capelli raccolti in una treccia e un sorriso ampio e soffice che gli riduce gli occhi a due fessure quando parla del suo amore transitivo, fusionale per il suo mestiere. “Mi intervistano”, dice Coletto a una signora, probabilmente un habitué, che, intenta a raschiare con il cucchiaino il fondo della sua coppetta senza alzare gli occhi risponde: “Per forza, sei il König del gelato”.
 

salto.bz: Coletto, qualcuno l’ha già incoronata re, è finito al 18esimo posto fra le migliori gelaterie italiane nella classifica di “Dissapore”, punto di riferimento per l’enogastronomia sul web. I giornalisti, specie quelli tedeschi, fanno a gara per intervistarla, ne è un esempio l’intera pagina che le ha dedicato la Süddeutsche Zeitung, insomma lei è la “popstar” del momento, come si spiega tutto questo successo?
Paolo Coletto: Sa che non me lo spiego? E non so nemmeno dire perché il mondo di lingua tedesca, dai sudtirolesi agli austriaci, ai germanici, si sia così interessato a me e al mio lavoro. Ho iniziato questo mestiere 36 anni fa e non ho mai smesso di sperimentare. Gli addetti ai lavori hanno cominciato ad accorgersi di noi, e non solo a livello nazionale, siamo apparsi sulle guide europee, su una rivista svedese dedicata al cioccolato, per esempio, ma ci fu anche un’apparizione nel 2012 sul Bangkok post, nello specifico su una rubrica di viaggio thailandese sull’Alto Adige. Anche gli Stati Uniti ci hanno dedicato attenzione. Rick Steves, noto giornalista e promotore turistico americano, ha scritto che mangiare il gelato da Avalon è quasi un’esperienza religiosa.

Beh, un po’ ha indovinato, la chiamano guru.
Mi definiscono mistico e sì, anche guru, e se questo epiteto viene inteso nel senso di “maestro” allora è vero, lo sono. Il primo maestro artigiano in Provincia, con tanto di diploma preso con non poco sacrificio, sono io. Ho formato dei ragazzi che sono diventati, dopo di me, i primi 18 maestri artigiani in Alto Adige, ma poi tutto si è insabbiato. È un dolore sapere che l’attività del gelatiere non possa contare su una scuola di apprendistato, nonostante tutti i mezzi poderosi che la Provincia potrebbe mettere a disposizione. Sa, i tirocinanti si emozionano a vedermi lavorare, non ho niente da insegnare ma tanta esperienza diretta che posso trasferire ai giovani.  
 

 

Lei è uno yogi ed è stato iniziato 12 anni fa da un maestro indiano. Come si incastona la pratica dello yoga e della meditazione nel suo mestiere?
Vede, nonostante l'angusto ambiente in cui lavoro tutto il giorno, questo laboratorio che si trova praticamente sotto terra, senza finestre e illuminato solo da luci artificiali, vivo immerso in un continuo stato di meditazione, quello del qui e ora, che significa avere coscienza di quello che si fa in ogni più piccolo movimento. A me preme far passare il senso del mio lavoro, dell'importanza del come piuttosto che del cosa, che è solo una conseguenza. Credo nell’idea della possibilità di una vita piena, anche attraverso il lavoro, che non deve essere visto come un ergastolo bensì come un’attività a beneficio di se stessi e di quelli che ci sono intorno. La realizzazione, in questo modo, diventa inevitabile. Fin da bambino avevo una pulsione verso la conoscenza, nel senso più largo del termine, non quella data perciò da un processo di memorizzazione delle informazioni, non a caso, del resto, il periodo scolastico è stato il più terribile della mia vita.

"Ho cominciato a togliere tutto ciò che consideravo inutile per arrivare a ciò che costituisce il massimo della difficoltà che la nostra mente può concepire ovvero la semplicità"

Addirittura.
E per fortuna non sono andato all’università, non trovavo niente che mi interessasse e ho spinto i miei a rilevare questa attività. Pensi che quando ero piccolo sono stato buttato fuori dall’asilo. L’unico buon ricordo che ho è quello legato al periodo in cui ho frequentato, a Genova, il conservatorio Niccolò Paganini, perché lì ero immerso tutti i giorni nella musica. Per il resto la mia lotta personale era restare sveglio quando gli insegnanti parlavano. Anche il mio percorso di sperimentazione nel mio lavoro è partito con l’eliminazione di tutto quello che avevo imparato sui testi. Via, tutto quanto. Perché il mio obiettivo non era “rinnovare” ma fare qualcosa di completamente nuovo. Ho cominciato a togliere tutto ciò che consideravo inutile, il latte in polvere per esempio, per arrivare a ciò che costituisce il massimo della difficoltà che la nostra mente può concepire ovvero la semplicità. Su quanti articoli industriali troviamo una miriade di ingredienti, alcuni dei quali incomprensibili! Se invece un prodotto è veramente artigianale la lista degli ingredienti è spaventosamente ridotta, al punto che a volte si sospetta che ci sia qualcosa sotto. Ricordo che mio padre, che era responsabile del reparto alimentari di un grande supermercato a Genova, quando tornava a casa parlava sempre di lavoro. È stato lui a insegnarmi che dovevo controllare le etichette ancora prima che queste cose diventassero così obbligatorie e definite dai regolamenti.

Anche lei, come faceva suo padre, si porta il lavoro a casa?
Direi di sì, mi sveglio la mattina con le idee che mi frullano già nella testa. Rimugino molto sul come creare delle sinergie nel mio mestiere e scoprire come queste funzionano. Dico sempre che fatico a usare la parola “ingredienti”, anche se lo faccio per facilità e perché rientra nel modo di parlare comune, ma io so di rapportarmi con degli esseri viventi, e questo è senz’altro un punto diverso di partenza nell'approccio. Siamo così legati alla logica e al concetto disumanizzato di scienza, eppure se pensiamo per esempio al latte e lo guardiamo al microscopio vediamo una quantità infinita di esseri viventi. Non sto dicendo niente di paradossale, solo che qualcuno lo chiama misticismo, qualcun altro esagerazione o perfino allucinazione, io lo chiamo semplicemente gelato. E nel mio mestiere non esiste nessuna differenza fra quello che faccio e quello che sono, è un lavoro di riunificazione. Ho sempre fatto avanguardia e credo che questo le persone lo apprezzino. E mi sono costantemente dedicato alla meticolosa ricerca sulla provenienza degli ingredienti.

"Nel mio mestiere non esiste nessuna differenza fra quello che faccio e quello che sono, è un lavoro di riunificazione"

Qualche esempio?
Il pistacchio di Bronte, piccolo paese alle falde dell’Etna dove cresce appunto un pistacchio spettacolare, che fra l’altro ha una carica batterica molto bassa e non c’è quindi il pericolo di insorgenza delle aflatossine, rischio che invece esiste per quelli che arrivano dal Medio Oriente da dove, beninteso, arrivano anche prodotti di qualità, ma non c’è ancora la stessa tecnologia che utilizziamo in Europa, specialmente nella fase di essiccazione. La ricerca è prima di tutto finalizzata a soddisfare l’infinita curiosità che ho dentro, non voglio rovinare la mia vita facendomi sopraffare dalla noia. 

 

E in quanto alla ricerca sul territorio?
Il latte, prima di tutto. In Alto Adige sono molte le aziende che lo producono, ne ho cambiate diverse in questi anni per trovare il prodotto che potesse davvero soddisfarmi e ora mi affido a una ditta di Sesto Pusteria, dove so che si lavora il latte fieno, quello vero e mi fermo qui, perché non voglio entrare in polemica con chi spaccia il prodotto per latte fieno quando in verità non lo è. Anche perché la situazione non è ancora chiara dal momento che la normativa è in fase di transizione. E poi ancora le uova che arrivano da un maso di Aldino, con il quale lavoro da più di vent’anni. Insomma, da questa terra arrivano prodotti di eccellente qualità che ci invidiano dappertutto, ed è chiaro che c’è la mano dell’uomo dietro tutto questo. L’uomo affina la sua capacità di entrare in contatto e in armonia con la natura e questo incontro produce cose spettacolari. Sa però qual è il problema?

Quale?
Siamo diventati generalmente tutti molto distratti. E questa distrazione è un filtro che ci fa scambiare ciò che è normale, o che dovrebbe esserlo, per qualcosa di eccezionale. Faccio un esempio: mi è capitato di servire qualcuno e al primo assaggio sentirgli dire: “Questo gelato alla fragola sa davvero di fragola!”, a parte l'incontestabile qualità del frutto che arriva da un’azienda biologica che coltiva queste fragole da 40 anni, non è del contrario che ci si dovrebbe stupire? Ovvero quando il gelato sa di sciroppo industriale, di caramella? È in quel caso che bisognerebbe preoccuparsi.

"La ricerca è prima di tutto finalizzata a soddisfare l’infinita curiosità che ho dentro, non voglio rovinare la mia vita facendomi sopraffare dalla noia"

E a proposito di sperimentazioni, su cosa sta lavorando ultimamente?
Uno dei tentativi più recenti riguarda un sorbetto al sambuco. L’ho sempre preparato con dello sciroppo di provenienza biologica, quest’anno invece ho chiesto ai miei fornitori di farmi mandare l’estratto acquoso, in pratica quando i fiori sono carichi di polline vengono messi a bagno nell’acqua. Il liquido che ne deriva è quasi inodore e va quindi attivato con delle sostanze acide. E ci sono due scuole di pensiero in merito in Alto Adige: una che usa il succo di limone e una che preferisce l’aceto di mele, e poi c’è chi utilizza l’acido citrico, sostanza che rientra nel bagaglio di cose inutili di cui accennavo prima. Io faccio parte della prima scuola e i limoni mi arrivano direttamente da un’azienda biologica siciliana. Il risultato è delizioso. E poi ho fatto delle sperimentazioni con delle spezie, ho conosciuto una signora che importa dal Madagascar, oltre alla vaniglia, delle spezie pregiate che distribuisce in Italia, Belgio e Olanda. Così ne ho scoperte alcune che non conoscevo, come il pepe selvatico, il pepe verde fritto, o il peperoncino pili pili verde con il quale faccio il gelato al cioccolato aggiungendo del cardamomo che ho portato dall’India. Ho testato anche lo zafferano, creando una ricetta che ho chiamato Persia.

Lei dice sempre che dietro ogni ricetta c’è una storia, ci racconti questa.
È stata ispirata da una signora molto avvenente, che una volta è entrata nella nostra Officina. Era chiaro che non fosse italiana ma non riuscivo a capire da quale paese provenisse. “Sono di Teheran”, mi ha detto. “Ah, iraniana”, ho replicato. E lei ha risposto di no, che era persiana, e che ci tiene a sottolineare questa differenza perché ai tempi della rivoluzione, quando arrivarono gli ayatollah, le portarono via tutto, e lei e la sua famiglia riuscirono appena a infilare quelle poche cose in valigia prima di scappare. Mi chiese di provare a fare un gelato con lo zafferano, ma io ero scettico. Allora il giorno dopo è tornata con del gelato al fior di latte comprato al supermercato e ci ha sparso sopra un po’ di zafferano che aveva precedentemente pestato nel mortaio. Ebbene quando l’ho assaggiato ho avuto come un’illuminazione, avevo la ricetta davanti agli occhi, sbocciata come una poesia. Preparo il gusto fior di latte, aggiungo dell’olio essenziale di rose della Bulgaria, a parte preparo un gel con lo zafferano persiano in pistilli che prima pesto nel mortaio, e aggiungo del miele di castagno piemontese, che ha la stessa tonalità aromatica dello zafferano, che stendo sopra il gelato, a parte macino i pistacchi, che a loro volta applico sopra creando degli strati. Una sinfonia di sapori, garantisco.

 

Non ha mai pensato di tentare la fortuna fuori dai confini altoatesini?
Come le dicevo io sono cresciuto praticamente sotto terra, dentro questo laboratorio, come una radice un po’ dimenticata, ma poi arriva anche il momento in cui si ha forte la voglia di poter dividere con qualcun altro la propria esperienza, ho in mente infatti un progetto “on stage” che conto di portare in Thailandia. Immagino una scuola a 360° che dia la possibilità ai giovani di esprimere il proprio essere. Vorrei creare un ambiente dove non viene solo insegnato un mestiere, tecniche amministrative e di vendita, ma anche come ci si rapporta con il pubblico, e perché no contemplando qualche nozione di psicologia. È un’iniziativa che andrebbe a installarsi in seno ai The Royal Projects, che sono stati ispirati dal penultimo re della Thailandia, un grande uomo che ha regnato per oltre 70 anni e che si è speso molto per migliorare le condizioni di vita del suo popolo. Quando è morto, lo scorso anno, sono andato a rendergli omaggio, insieme ad altre decine di migliaia di thailandesi che si sono molto commossi a vedere uno straniero che portava l’ultimo saluto al loro sovrano.

Viaggiare ed entrare in contatto con altre culture indubbiamente l’affascina, dunque.
Assolutamente sì. E mi piace esplorare i posti fuori dal consueto tracciato turistico. Quando sono arrivato in Thailandia ho noleggiato una macchina e ho percorso più di 8mila chilometri in 70 giorni. Il tempo dell’inverno lo dedico a me stesso, siamo in un momento storico in cui veniamo continuamente defraudati di questo tempo personale. A fine stagione, quando chiudo la gelateria, dopo 100 metri dimentico cos’è il gelato, ma quando torno succede la cosa più bella di tutte, ricomincio tutto daccapo. Ho un taccuino su cui solitamente appunto le ricette e quando le riguardo non mi convincono più, e allora cambio. L’ispirazione, le cose nuove, arrivano quando la mente è libera, vuota. E l’evoluzione delle ricette va di pari passo con quella personale.

"L’ispirazione, le cose nuove, arrivano quando la mente è libera, vuota. E l’evoluzione delle ricette va di pari passo con quella personale"

E questa sua eredità dirompente a quanto pare è già stata raccolta da suo figlio.
Questa è una bella storia. Quando Gabriele ha finito il liceo classico ha deciso di iscriversi alla Facoltà di Architettura, io del resto non gli avevo mai proposto di andare a lavorare in gelateria, veniva solo durante l’estate per racimolare qualche soldo. Dato che per entrare all’università deve sostenere il test di ingresso, la sera del giorno designato gli chiedo com’è andata e lui mi risponde: “Non sono nemmeno entrato in aula, ho pensato che mi piace cosa fai e come lo fai, mi prendi a lavorare con te?”. Mi si è aperto il cuore in due. E pensi che stavo per cessare l’attività, ma a quel punto era fuori discussione. Abbiamo messo su un’impresa familiare e ora siamo alla terza generazione di gelatieri.

E lei, dov’è che ha assaggiato il gelato più buono? Planiamo dentro il piacere dell’autoreferenzialità?
Quando ero bambino vivevamo a Genova per via del lavoro di mio padre, io sono nato a Noale, vicino Venezia. La domenica i miei genitori mi portavano a prendere il gelato artigianale sempre nello stesso posto ed era una festa. Mi ricordo questa impressione di bontà, che mi ha segnato, quell’atmosfera gioiosa. A parte questo sì, il gelato più buono lo mangio nella mia Officina ogni giorno. Anche perché non vado a vedere di cosa sono capaci i miei colleghi, lei capirà, quando esco di qui ne ho abbastanza di gelato [ride].