Gesellschaft | Gastkommentar

La danza macabra della Chiesa Cattolica

Il vescovo Ivo Muser nella giornata mondiale contro l’AIDS: le ragioni di un paradosso morale.
Muser, Ivo
Foto: bz-bx.net

Sul Dolomiten del 2/3 dicembre 2017 è apparso un articolo sulle celebrazioni del 20° anniversario di Casa Emmaus, la comunità residenziale di Laives per sieropositivi e malati di AIDS, e del 25° compleanno di Iris, il servizio della Caritas dedicato alle persone affette dal virus dell’HIV. Le celebrazioni si sono svolte venerdì 1 dicembre, giornata mondiale contro l’AIDS. Nella fotografia che accompagna l’articolo si osserva, accanto al direttore della Caritas e ai responsabili del servizio, un sorridente Ivo Muser, vescovo di Bolzano-Bressanone. Poiché Muser riveste la più alta carica ecclesiastica in Sudtirolo e la sua presenza nell’ambito di una celebrazione pubblica non può essere derubricata a iniziativa privata e personale, sarebbe opportuno soffermarsi sulla posizione ufficiale della Chiesa Cattolica in materia di AIDS e della sua prevenzione.

Ad oggi, l’unico documento ufficiale che definisce la posizione della Chiesa al riguardo è l’Enciclica Humanae Vitae emessa da Paolo VI nel 1968, in cui all’articolo 14 si legge quanto segue: “È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione”. Qualsiasi forma di contraccezione è inequivocabilmente condannata come immorale, e al di là del chiacchiericcio sulla progressiva apertura di importanti settori della Chiesa su questo tema, né le encicliche dei papi succedutisi sullo scranno di Pietro da Giovanni Paolo I a Papa Francesco, né il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1997, né alcun altro documento emanato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede o dalle Conferenze Episcopali di tutto il mondo ha mai smentito, riformato, attenuato o relativizzato questa posizione. Che l’AIDS sia una malattia sessualmente trasmissibile e che l’unico modo per prevenirne la diffusione tra persone sessualmente attive sia l’uso del preservativo, per la Chiesa Cattolica non è mai stato e continua tutt’ora a non essere un motivo valido per modificare la propria dottrina.

Chi dalla metà degli anni Ottanta in poi ha tentato faticosamente di diffondere nelle scuole pubbliche campagne di informazione sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili sa bene quante resistenze la Chiesa Cattolica, nonché le sue articolate e capillari ramificazioni nella sfera politica, vi hanno opposto. Lo stesso vale per i tentativi di aggredire il flagello dell’AIDS nei paesi più poveri del pianeta, dove l’educazione all’uso degli anticoncezionali persegue anche l’obiettivo di porre un argine all’esplosione demografica e ai suoi effetti devastanti. La Chiesa Cattolica ritiene che l’unica scelta moralmente lecita da opporre alla diffusione dell’HIV sia quella della “sessualità responsabile”, ovvero la rinuncia ad avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio. Infatti, la Chiesa non condanna soltanto i rapporti sessuali occasionali tra persone adulte e consenzienti, ma anche quelli prematrimoniali tra persone legate da una relazione stabile (Persona Humana, Lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede, articolo 7, 1975).

"Di fronte alla scelta di dare a chi ha rapporti sessuali fuori dal matrimonio tutti gli strumenti conoscitivi per proteggersi da un virus letale, la Chiesa Cattolica, nella sua posizione ufficiale e solenne, sceglie l’intangibilità del proprio codice"

Sappiamo bene che nella loro predicazione non tutti i sacerdoti aderiscono pedissequamente ai precetti della Chiesa (ma non risultano ad oggi aperture del vescovo di Bolzano-Bressanone al riguardo), così come è del tutto evidente che moltissimi cattolici se ne infischiano altamente della dottrina ufficiale della Chiesa, praticando una sessualità libera e gioiosa e ricorrendo agli anticoncezionali sia per evitare gravidanze indesiderate sia per proteggersi dall’HIV. Ma è altrettanto evidente che affermando in punto di dottrina l’illiceità dell’utilizzo del preservativo anche di fronte alla diffusione di una malattia mortale, la Chiesa Cattolica afferma la priorità dell’adesione ai suoi precetti morali rispetto alla tutela della salute e della vita stessa di chi quei precetti ignora o rifiuta. Di fronte alla scelta di dare a chi ha rapporti sessuali fuori dal matrimonio tutti gli strumenti conoscitivi per proteggersi da un virus letale, la Chiesa Cattolica, nella sua posizione ufficiale e solenne, sceglie l’intangibilità del proprio codice. Che in questo modo si tramuta nell’antivalore più esecrabile: si afferma l’assolutezza della dottrina, a scapito dell’assolutezza della vita di chi non la fa propria.

Pertanto, fa davvero specie vedere il vescovo di Bolzano-Bressanone intervenire alle celebrazioni di un gruppo di persone che da 25 anni e con profonda dedizione cerca di alleviare le sofferenze di chi ha contratto l’HIV. Se alle lusinghe voluttuose della visibilità mediatica avesse opposto una morigerata astinenza, ne avremmo senz’altro apprezzato l’esempio.