Gesellschaft | Mania da connessione

Blindati in un cellulare

È una buona notizia che i giovani oggi facciano meno uso di alcool, sigarette e droghe in generale, non fosse per l'attaccamento morboso agli smartphone...
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L’ho letto da qualche parte, poco tempo fa: sembra che i ragazzi di oggi facciano meno uso di alcool, sigarette e droghe in generale. Buona notizia mi verrebbe da dire. E di fatto lo è. Non fosse che i giovani sono sempre più attaccati a smartphone e i-pad. Gli aggeggi elettronici sempre più in auge, le droghe in diminuzione. Come se i sistemi di controllo globali avessero trovato mercati molto più remunerativi e all’apparenza meno nocivi.

Mi dà un fastidio enorme chi sfodera subito il telefono per mostrarmi un filmato, una foto, una barzelletta da leggere. Giudico, e sbaglio, lo so, ma mi è successo anche stamane: i primi raggi del sole illuminavano il gruppo del Sella, un fine zucchero di velo si era posato sul Piz Boé, la neve luccicava mentre nuvole veloci correvano sotto un cielo color cobalto. Un ospite esce di casa, mi vede che osservo, prende il telefono scatta una foto e rientra. Di quel momento magico non ha visto niente. E non lo rivedrà nemmeno in futuro. Anche se lo inoltrerà mille volte ai suoi amici, quel quadretto digitale rimarrà nella memoria dell’apparecchio elettronico e non nel suo cervello.

Credo che stiamo assistendo a un processo di rimbambimento collettivo, narcotizzati senza saperlo di essere dagli strumenti elettronici che il capitalismo algoritmico diffonde a profusione. Mi chiedo: ma non è che l’essere perennemente connessi sia proprio la paura di perdere qualcosa mentre non essendo mai sul posto si perde tutto?

Sembra che le droghe leggere non creino dipendenza. Non fosse per il fatto che stimolano l’appetito per cose altre, più forti, più da sballo. E i telefonini? Spesso hanno a che fare con un’orrenda dipendenza comportamentale a cui ci siamo costretti. E ciò toglie curiosità, narcotizza la sensibilità verso ciò che di bello ci circonda. Ma che senso ha essere connessi continuamente via twitter e facebook ed essere sconnessi con le persone con le quali siamo insieme? Oggi la moltiplicazione e l’assuefazione dell’immagine a cui l’essere umano è sottoposto sembra imporre un’atroce condizione: quella di guardare senza percepire, di sentire senza ascoltare. Nessun moralismo, ma è così. È chiaro che non si può e non si vuole rinunciare a usi e costumi che prepotentemente sono entrati a far parte delle nostre vite. Guardare la bellezza del mondo reale, del sole che sorge, di queste montagne, un bel quadro, ma anche prendere un vinile, studiarne la copertina, invece che scaricare da spotify un brano e consumarlo avidamente, significa anche dedicarci un po’ ti tempo per toglierci le polveri dannose di progresso che accumuliamo in continuazione. Potrebbe aiutarci, in quest’opera detergente, godere della bellezza che c’è tutt’intorno. Ma, come scrive Roth nella sua Pastorale americana, la vita non è solo un breve periodo di tempo nel quale sei vivo?

Propongo l’istituzione di un tempo di sconnessione da quegli aggeggi ogni giorno nelle nostre vite, riscoprendo la bellezza dell’assenza del bombardamento dei social, riscoprendo quella solitudine che è dentro di noi e della quale non dobbiamo averne paura. Non dobbiamo arginarla con false connessioni virtuali. La solitudine è un patrimonio da coltivare e tutelare. Zygmunt Bauman parlava di "affollata solitudine". Nell’affollata solitudine digitale diventa sempre più difficile non distrarsi, riflettere in modo tranquillo. Nella solitudine reale, quella in cui si è soli con se stessi per davvero, penso che possa esservi una sorta di stato sublime in cui è possibile vedersi, scrutarsi, immaginarsi. In cui è possibile creare, riflettere, sognare, disperarsi, certo. Nella solitudine puoi raccogliere le idee, meditare, dare vita a nuovi impulsi di comunicazione. Di più: la solitudine è l’anticamera della comunicazione fra noi e gli altri. Senza solitudine non saremmo niente. Quando ti guardi allo specchio e vedi il vuoto, sai anche che quel vuoto è un trampolino. Una rampa di lancio verso la vita. Dentro di te. Fuori di te. Un’altalena quotidiana verso gli altri. Non cambierò mai il mio vecchio Nokia ottocentesco e non perché voglia fare il finto rivoluzionario, o lo snob amante del vintage, ma perché ritengo che la vita non sia camminare curvi con gli occhi perennemente attaccati al display: e la prossima volta, e che nessuno si offenda, quando qualcuno vorrà farmi vedere qualcosa sul telefonino dirò: non mostrarmi nulla. Raccontami. E intanto che ascolterò la storia che ha da raccontarmi mi accenderò un bel sigaro. Lo ammetto: sono toscano-dipendente. Sarà poi così grave?

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gorgias Fr., 07.04.2017 - 18:36

Il telefonino a molte funzionalità orologio, sveglia, walkman, fotocamera, orario dei treni, calendario, organizer, lampada, giornale, videoregistratore, fotocamera, videocamera, cartina geographica, video giocho, gps e pure telefono. Se uno invece di usare mille ogetti si riduce a uno non cambia mica tanto.

I giovani parlano ancora fra di loro. Con qui non parlano sono i vecchi che rompono le scattole perchè invece di capire il loro mondo ci fano filosofie romantiche dei vecchi tempi. Cioè dei bei tempi dove si guardavano le stronzate in televisione perchè non si poteva scegliere cosa guardare . . .

Smettiamo con questi romanticismi, solo chi è aperto di mente riesce a capire le opportunità.

Fr., 07.04.2017 - 18:36 Permalink