Gesellschaft | L'intervista

"Perché la notte l'avvocato può dormire"

Crescente insofferenza sul ruolo degli avvocati nei casi di cronaca particolarmente cruenti. Migliucci: "Il nostro lavoro è a tutela di tutti, senza sarebbe la barbarie".
Beniamino Migliucci
Foto: Beniamino Migliucci

Qui a Bolzano, con il "caso Benno" che ha tenuto banco per mesi, ed analogamente in tutta Italia di fronte a fatti di cronaca particolarmente cruenti, sempre più spesso viene messo in discussione il diritto alla difesa degli indagati e il ruolo stesso degli avvocati. Parte consistente dell'opinione pubblica, nei post e nei commenti sui social, spesso tende a sovrapporre gli avvocati alle ipotesi di reato per le quali difendono i propri assistiti. E così non di rado accade che vengano dileggiati, insultati, se non addirittura minacciati. Ne parliamo con Beniamino Migliucci, che un tempo con linguaggio desueto sarebbe stato definito "principe del foro". E che, con linguaggio contemporaneo, non è comunque improprio oggi definire uno dei maggiori avvocati italiani, attivo a Bolzano e in tutto il Paese, fino a pochi mesi fa presidente delle Camere penali italiane.  

 

salto.bz: Avvocato Migliucci, sempre più spesso sui social il diritto alla difesa, soprattutto in casi particolarmente eclatanti, viene pesantemente messo in discussione. Si sovrappone quasi la figura dell'avvocato a quella dell'ipotesi di reato. In alcuni casi gli avvocati vengono dileggiati, insultati se non addirittura minacciati. Come siamo arrivati a tutto questo?

Beniamino Migliucci: Si tratta chiaramente di una delle conseguenze delle distorsioni del processo mediatico, che nella sua discendenza culturale ulteriormente deformata ha poi originato il processo social. In sostanza avviene questo: l'opinione pubblica in buona fede viene sottoposta a un battage difficile da reggere, da sostenere. Un martellamento che ha per sostanziale e spesso unica voce quella dell'accusa, che, pur non ammettendolo esplicitamente, tende a sostenere la tesi secondo cui un'indagine è una sentenza, mentre spesso le indagini, per mancanza di elementi, non arrivano nemmeno al rinvio a giudizio.

Cosa produce questo meccanismo?

Come dice Luciano Violante, questi settori della società non chiedono il processo, chiedono la punizione secondo la teoria catartica per cui ciò che punisce risana. Soprattutto nei casi di accuse per reati particolarmente cruenti, il meccanismo mediatico crea una sorta di processo anticipato, che occulta e spesso condiziona il procedimento reale. Questo tipo di informazione, ad esempio quella dei talk show, si sostituisce a tal punto alle Procure e ai Tribunali che finisce per delegittimare spesso irreparabilmente gli attori reali del processo. E tende ad inquadrare le regole e i limiti della giurisdizione come ostili alla giustizia, mentre ne costituiscono al contrario i cardini, le fondamenta. Un meccanismo tremendo: se oggigiorno un penalista non è in grado di saper reggere l'urto di questo sistema, il mio consiglio è non continuare a fare il penalista.

Soprattutto nei casi di accuse per reati particolarmente cruenti, il meccanismo mediatico crea una sorta di processo anticipato, che occulta e spesso condiziona il procedimento reale

Come si sente un avvocato che assiste un indagato per un crimine particolarmente efferato?

Vorrei anzitutto smitizzare la vulgata secondo cui l'avvocato sa da subito che magari sei colpevole ed è lì per aiutarti a farla franca. Questa è una caricatura dei rapporti reali, perché nella gran parte dei casi l'indagato viene da te, ti parla, professa la propria innocenza, ti chiede aiuto. Tu studi il fascicolo e cerchi di consigliarlo nel migliore dei modi. Se ti accorgi che la situazione lo richiede, dai il tuo consiglio professionale che magari contempla il patteggiamento, il rito abbreviato, o magari l'ammissione della responsabilità.

Spesso sui social si leggono frasi tipo “ma l'avvocato come fa a difendere un ‘mostro’ del genere, come fa a dormire la notte, come fa a guardarsi allo specchio". Ce lo dica lei: perché un avvocato penalista riesce a prendere sonno la notte?

Perché un avvocato sa che, difendendo le ragioni del proprio assistito, operando diligentemente alla ricerca di tutti gli elementi di non colpevolezza o delle circostanze attenuanti difende non solo lui, ma la democrazia del processo che poi è la democrazia del Paese. I Paesi che non riconoscono il diritto alla difesa sono i Paesi dittatoriali. Vi siete mai chiesti perché? Semplice: perché il ruolo di un avvocato è garanzia di civiltà e di democrazia. Nei Paesi dittatoriali non esiste difesa, non esiste libera informazione. Un tribunale che è spesso braccio diretto del potere politico decide la tua vita, il tuo futuro, e spesso la tua morte, senza nessuna garanzia.

 

I nostri Padri costituenti hanno elaborato una Carta con solidi principi garantisti: lo hanno fatto perché avevano vissuto e sperimentato sulla propria pelle il fascismo?

Evidentemente sì, e già questo elemento, da solo, dovrebbe farci riflettere molto.

Lei parla del sistema dei talk show: tuttavia siamo in presenza di un sistema evidentemente alimentato anche dagli avvocati, che spesso si prestano vonetieri al circo mediatico.

In generale se un avvocato va ad alimentare questo cattivo tipo di informazione non fa a mio avviso gli interessi del proprio assistito. È uno dei motivi per i quali generalmente declino ospitate in tv per questo o per quel caso. Non voglio alimentare un meccanismo che contesto in radice perché dannoso per il concetto stesso di giustizia.

Quando arriva il tempo delle sentenze il martellamento mediatico rischia di condizionare gli organi giudicanti?

Io tendo a sostenere la teoria secondo la quale il cervello dei giudici è uguale a quello di tutti gli altri esseri umani. Perfino un giudice togato con vasta esperienza rischia inevitabilmente di subire un alone di condizionamento, è appunto umano, fisiologico, naturale. Figuriamoci i giudici popolari, ancora più tendenti a essere sensibili alle pulsioni dell'opinione pubblica.

Occorrerebbe un grande patto tra tutte le forze in campo che sancisse, e sostenesse, e divulgasse un sacro concetto costituzionale: ognuno è innocente fino a sentenza definitiva

Si metta adesso nei panni di un commentatore social che sta per scrivere la solta frasetta che chiede vendetta, occhio per occhio, buttate via la chiave, manca la certezza della pena eccetera: cosa gli direbbe un attimo prima, per indurlo a riflettere?

Gli direi: in Italia il cinquanta per cento dei processi si conclude complessivamente con sentenze di assoluzione. In secondo grado, delle sentenze di condanna, il 40 per cento diventano assoluzioni. Gli direi ancora che l'Italia ha dovuto pagare 630 milioni di sanzioni per ingiusta detenzione. ma a questo odiatore schiederei soprattutto: e se un'accusa capitasse a te, se un tuo vicino di casa che ti odia ad esempio ti denunciasse per abusi su minore, o ad essere denunciato fosse un tuo parente, oa un tuo amico, cosa diresti se fosse stabilito che tu, o il tuo parente, o il tuo amico semplicemente non avete diritto alla difesa? Ti sembrerebbe giusto? Gli direi ancora: guarda che un processo è come una malattia, fino a che riguarda gli altri sembra che la cosa nemmeno esiste, ma se riguarda te cambia tutto.

Cosa servirebbe per tornare su binari più equilibrati?

Occorrerebbe un grande patto tra tutte le forze in campo che sancisse, e sostenesse, e divulgasse un sacro concetto costituzionale: ognuno è innocente fino a sentenza definitiva. E prevedesse ad esempio che alle tante sentenze di assoluzione, spesso anni dopo, venisse riservato lo stesso risalto dato alle indagini, anni prima. Anzitutto, e so di parlare di una cosa molto difficile, servirebbe una classe politica in grado di formare l'opinione pubblica invece di inseguirne il facile consenso cavalcandone tutti gli umori a seconda del proprio tornaconto elettorale. Occorrerebbe serietà e riserbo nella fase delle indagini, a tutela anzitutto delle indagini stesse. A mio avviso, gioverebbe moltissimo che ad emettere le sentenze fosse un organo terzo e separato rispetto alla magistratura inquirente. Solo con la separazione delle carriere un giudice realmente terzo riuscirà a far riacquistare peso alla fase finale e cruciale, ossia la sentenza. Quella stessa sentenza che oggi, nel mondo della comunicazione deformata, finisce assurdamente a essere quasi derubricata a un'opinione come un'altra, mentre in realtà ha infinitamente più valore di tutte le altre fasi processuali.

Chi è, al di fuori della vulgata colpevolizzante di questi ultimi anni, un avvocato?

L'avvocato è la persona che nel momento di più grave difficoltà della tua vita, mentre magari sei accusato di un crimine odioso, quando sei respinto da tutto e da tutti, quando ti ritrovi a sentirti davvero come l’ultimo dei reietti, quando sovente nemmeno la famiglia è più attorno a te, e spesso sei anche in situazioni di ristrettezza economica, ti supporta, ti assiste, ti aiuta a sostenere un'accusa nel rispetto delle regole e della civiltà di uno Stato democratico.

Perché chiunque ha il diritto di essere difeso?

Vorrei ricordare il presidente degli avvocati di Torino, Fulvio Croce, al processo contro i brigatisti rossi negli Anni Settanta. I brigatisti rifiutavano la difesa in quanto simbolo dello Stato che avevano in animo di abbattere, e minacciavano gli avvocati che avessero accettato la nomina d'ufficio. Ebbene Croce, in quanto presidente dell'Ordine, li difese egualmente, pur essendo essendo egli peraltro un civilista. Fu ucciso, per questo. Oggi Croce è Medaglia d'Oro al valor civile.

Perché è comunque importante difendere anche Caino?

Perché l'alternativa sarebbe la barbarie.

 

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Massimo Mollica Mo., 10.05.2021 - 09:16

Confesso che ho avuto difficoltà a rimanere calmo a leggere questo articolo. Perché emerge che gli avvocati siano tutti dei santi immacolati. E nonostante riconosca le parole saggie dell'intervistato e l'importanza di difendere Caino. Il problema è che la giustia in Italia è marcia, dalle fondamenta. In sostanza non abbiamo una reale giustizia! E gli avvocati, che sono esseri umani come tutti, ci sguazzano. Solo che nell'ambito in cui operano ci sono delle vittimi. Sia morte che vive. L'avvocato pone una domanda: "e se un'accusa capitasse a te, se un tuo vicino di casa che ti odia ad esempio ti denunciasse per abusi su minore, o ad essere denunciato fosse un tuo parente, oa un tuo amico, cosa diresti se fosse stabilito che tu, o il tuo parente, o il tuo amico semplicemente non avete diritto alla difesa? Ti sembrerebbe giusto?" E io ribalto la posizione: riuscirebbe a difendere colui che ha ucciso sua figlia, magari con 27 pugnalate, con un giudice che sentenzia che non è stata aggravante? Riuscirebbe a difendere colui che ha stuprato sua moglie, sostenendo (come hanno fatto in passato e continuano a fare ancora oggi) che in fondo lei se l'era cercata? Che aveva magari indossato una gonna provocante? Come si sentirebbe ad aver messo in libertà uno che ha ucciso la propria compagna e compie un'altro assassinio?
Sì la difesa ci vuole ed è sacrosanta ma se il fatto è stato commesso la pena dev'essere certa ed equa. E per equità bisogna rifarsi a valori comuni. Quanto vale la vita? Quanto vale la dignità dell'essere umano? Quanto importante è difendere i più deboli?
Grazie a Dio non lavoro nel campo giudiziario.

Mo., 10.05.2021 - 09:16 Permalink
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Massimo Mollica Di., 18.05.2021 - 10:36

p.s. Oggi leggo da l' Alto Adige la triste vicenda del "padre" condannato a 9 anni (sconto della pena di un terzo per rito abbreviato) per aver abusato della figlia fino a metterla incinta a 14 anni. "La bambina soffrirebbe anche di problemi di carattere psichico". Comunque "l’imputato è stato assolto dall’accusa di incesto contemplato all’articolo 564 del codice penale. La giudice ha ritenuto che non fosse perseguibile in quanto commesso senza “pubblico scandalo”".
Lascio a voi giudicare, io vado a vomitare.

Di., 18.05.2021 - 10:36 Permalink