Politik | Trentino

Quale autonomia da Salvini?

Paolo Ghezzi, consigliere provinciale di “Futura” a Trento, sulla sconfitta del centrosinistra, la Lega in giunta, il rapporto coi Verdi – e le nuove formule politiche.
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Foto: ghezzi

Nel risultato delle elezioni provinciali in Trentino, che hanno visto il trionfo della Lega dopo un ventennio di governo del centrosinistra, proprio da sinistra è arrivata una sorpresa. Si tratta della lista “Futura 2018” guidata dall'indipendente Paolo Ghezzi, giornalista già direttore del quotidiano l'Adige dal 1998 al 2006 e tra i fondatori della casa editrice “Il Margine” di Trento. Dopo che come candidato Presidente della “alleanza democratica e popolare” gli è stato preferito il senatore uscente del PD Giorgio Tonini, Ghezzi – pur restando parte della coalizione – ha battezzato al MUSE la sua nuova lista. Alla fine le urne gli hanno dato ragione, con quasi il 7% (come il Movimento 5 Stelle) ed eleggendo due consiglieri al debutto: lo stesso Ghezzi e Lucia Coppola, esponente dei Verdi del Trentino e presidente del Consiglio comunale di Trento. Nel capoluogo trentino la lista ha ottenuto il 13,5%. Ora l'associazione Futura guarda a nord, verso Bolzano: "Diciamo sì a un asse regionale in senso democratico, federalista ed europeo con i Verdi sudtirolesi".

Salto.bz: Ghezzi, la coalizione del fu “centrosinistra autonomista” – senza PATT – è uscita sconfitta dalle urne. La candidatura a presidente dell'ex senatore Tonini è arrivata appena un mese prima del voto: il risultato della coalizione ha perciò il sapore amaro della disfatta annunciata. Come l'ha vissuta, da persona che per molte settimane è stata in ballo per la candidatura a presidente della Provincia?

Paolo Ghezzi: Prima di tutto, non mi ero illuso che la mia candidatura alternativa e innovativa, al di fuori degli schemi (proposta da alcune componenti che poi sono diventate Futura, una parte del PD e dell'Unione per il Trentino) potesse perforare le corazze piuttosto arruginite dei partiti che uscivano dall'esperienza del centrosinistra autonomista e che per alcuni mesi si erano fatte del male incartandosi in un tavolo che non decideva nulla. Da una parte non erano convinti della ricandidatura del presidente uscente, Ugo Rossi, ma dall'altra non riuscivano a trovare un nome alternativo che mettesse d'accordo le varie anime del centrosinistra autonomista. In una situazione generale già pesantemente compromessa, probabilmente nemmeno Superman sarebbe riuscito a ribaltare una tendenza non solo nazionale, ma europea, di “vento di destra” molto marcato. Quasi sicuramente nessun candidato avrebbe potuto evitare la sconfitta – anche se sommassimo il risultato del PATT, al di sopra delle previsioni, comunque non si sarebbe arrivati a invertire le sorti.

Quindi non ha mai creduto in una convergenza sulla sua candidatura a governatore?

Non ho mai pensato di diventare candidato, conoscevo la tendenza conservatrice di quei partiti in pesante crisi. Il nostro risultato è buono, vista la scarsità di tempo a disposizione per organizzarci, però certamente dentro un risultato negativo, che avrebbe potuto essere diverso con un altro percorso – ma solo nelle proporzioni, non nell'esito. Saremmo forse riusciti a tenere le liste Fugatti sotto il 40%, avremmo ridotto la distanza, ma non avremmo potuto invertire quella che era una chiarissima tendenza dell'elettorato trentino: "beh, adesso proviamo qualche altra cosa, siamo stufi di vent'anni di centrosinistra autonomista, vogliamo semplicemente provare un altro contesto". Una mia candidatura avrebbe potuto coagulare qualche consenso in più e probabilmente qualche percentuale in più, perché avrebbe indicato l'intenzione dell'alleanza democratica e popolare, come l'abbiamo chiamata, di reagire in maniera innovativa alla crisi che l'attanagliava.

La tendenza dell'elettorato trentino era chiarissima: "beh, adesso proviamo qualcos'altro, siamo stufi di vent'anni di centrosinistra autonomista".

Vent'anni di governo del centrosinistra autonomista, in una provincia considerata una roccaforte – se non addirittura un laboratorio – della formula del “centro-sinistra”: appena qualche mese fa sarebbe stato impensabile che il Trentino andasse nelle mani del centrodestra. Al di là della tendenza generale “di destra” che ha citato, ci sono responsabilità nella spesso sbandierata cultura di governo autonomista? C'è stata arroganza, mancanza di innovazione, di ricambio generazionale anche a livello di leadership – o pesano gli errori passati?

Le cause specifiche trentine ci sono: c'è stata una arroganza della presidenza uscente di Ugo Rossi che prima del 4 marzo aveva annunciato cappotto in tutti i collegi a favore del centrosinistra – e dopo il 4 marzo non ha tirato le conseguenze. Banalmente, se Rossi avesse fatto un passo indietro, era tutto un altro film. Si poteva dare l'impressione all'elettore che si prendeva sul serio una sconfitta – che non era la prima volta che avveniva, sul piano delle elezioni politiche – ma che questa volta vista la Lega montante aveva il segnale di un campanello d'allarme, anzi, direi di una sirena d'allarme rispetto a quello che sarebbe successo qualche mese dopo. Questo non è stato fatto per una sorta di presunzione della giunta uscente: con responsabilità del presidente del PATT e dei suoi assessori, della componente del PD che comunque era divisa e non era in grado di esprimere una posizione anche forte di rinnovamento, tanto che l'ala governista si era appiattita sul governatore uscente, cui si aggiunge la crisi irreversibile dell'Upt spaccata in tre-quattro. I partiti sono stati incapaci di riconoscere che si trattava di una crisi strutturale, e non transitoria.

Ora il presidente Rossi dispensa consigli al successore Fugatti, soprattutto su come comportarsi verso il governo di cui il leghista è stato sottosegretario sino a ieri l'altro – ed è ancora parlamentare. Il cambiamento vero è che il Trentino rischia di essere “telecomandato” da Roma, in particolare dal ministro degli interni?

La differenza rispetto a prima è che manca un passo di esperienza specifica nella squadra che la Lega ha eletto, questo senza pregiudizio rispetto al nuovo. Non si può certo dire che sia una pattuglia di esperti dell'amministrazione – cosa che si poteva dire del centrosinistra uscente. C'è un'incognita sulla capacità di Fugatti di formare una giunta all'altezza della situazione. La seconda incognita è il suo grado di autonomia rispetto a Salvini: è evidente che questo grado di autonomia non esiste, Salvini sarà il dominus della situazione. Questo renderà per noi opposizione la sfida più “appassionante”, perché in realtà noi faremo resistenza e opposizione a Salvini più che a Fugatti. Fugatti anche in questa campagna elettorale ha fatto il democristiano, il moderato, non certo il Salvini, ma era Salvini che comandava la campagna della Lega e dei suoi alleati.

Il grado di autonomia di Fugatti? È evidente che non esiste, Salvini sarà il dominus della situazione.

Il ministro degli interni Salvini che solo all'ultimo minuto si è precipitato, selfie alla mano, nel bellunese duramente colpito dal maltempo.

A maggior ragione, nella situazione iniziale in cui ci troviamo in questa legislatura, di fronte – cosa che non va dimenticata – a un'emergenza territoriale dopo l'alluvione e i danni enormi che ci sono stati alle foreste del Trentino, all'economia, alle case, alle famiglie del Trentino, insomma, è un compito davvero difficile che attende la giunta Fugatti. In questo senso noi faremo un'opposizione dura e intransigente, però anche intelligente. Se prenderanno dei provvedimenti straordinari per la difesa del territorio, positivamente organizzati, sarà difficile votare contro per partito preso. Ci dovremo assumere anche delle responsabilità, partendo da una situazione di grandissima emergenza.

Salvini ha parlato di “ambientalisti da salotto”; la linea della Lega rispetto alla gestione del territorio potrebbe essere di segno decisamente opposto. Il ministro, da europarlamentare, ha votato contro la ratifica dell'accordo di Parigi per il contrasto dei cambiamenti climatici.

Il primo banco di prova rispetto alle sparate salviniane sarà il grado di pragmatismo e saggezza riformista che dimostrerà la giunta della Lega sul piano della difesa del territorio, della prevenzione soprattutto di altre tragedie come queste. Si parla di cambiamenti climatici a livello globale, ma se l'atteggiamento culturale della Lega è quello delle polemiche salviniane andiamo poco lontani. Fugatti da questo punto di vista sa che il Trentino ha qualcosa da insegnare: una tradizione di gestione delle foreste del territorio, delle opere idrauliche, dell'assetto idrogeologico, che ci fa partire da una base di partenza relativamente buona, ma non abbastanza da evitare danni così gravi.

L'Euregio che ruolo gioca, nella misura in cui i cugini sudtirolesi lavoreranno ancora a lungo alla formazione della giunta provinciale? La SVP si trova di fronte a un bivio storico: allearsi per la prima volta con un partito del centrodestra italiano, oppure riproporre un'alleanza con un PD “dimezzato” ampliata ai Verdi come new entry – o pure al Team Köllensperger. E ci sarà un consiglio regionale da gestire...

Nel frattempo ho firmato l'appello perché la SVP non scelga di fare la giunta con la Lega. Il PD, per come è ridotto a Bolzano, crea dei problemi. Ma ci sono i Verdi – cui siamo legati dalla nostra componente verde dentro Futura, conosco Riccardo Dello Sbarba e so della sua capacità politica e di visione. A me piacerebbe che ci fosse una capacità della SVP di ragionare in termini diversi da quelli più opportunistici nel rapporto con Roma. Sicuramente il fatto che in Germania alle ultime elezioni dei Länder i Verdi siano andati così bene, ci dà forse una prospettiva non solo euroregionale ma europea per puntare su un'alleanza di questo tipo. Chiaro che io non sono dentro la testa della SVP, quindi... ci sono logiche blockfrei abbastanza consolidate, però è chiaro che darebbe un respiro diverso anche da noi in Trentino, che non ci sia un'assoluta omologazione delle formule politiche tra le due province autonome.

Che in Germania i Verdi siano andati così bene alle urne, dà forse una prospettiva non solo euroregionale ma europea alla SVP per puntare su un'alleanza. Spero non ci sia un'assoluta omologazione politica tra le due province autonome.

Anche in Tirolo, restando nell'Euregio, la Volkspartei governa con i Verdi. Per Bolzano si tratta di seguire Trento oppure Innsbruck.

In questo caso dobbiamo guardare a nord, perché se guardiamo a est, a ovest e a sud non andiamo molto lontani, in effetti.

Per Futura al debutto è arrivato un buon risultato – due consiglieri provinciali eletti – in uno scenario andato, come abbiamo visto, nella direzione esattamente contraria. Ora che il presidente Fugatti si è insediato, come ci si muove?

Ci si muove innanzitutto strutturandosi come soggetto politico. Lunedì abbiamo avuto la prima assemblea ancora informale, perché in realtà non ci sono adesioni, iscrizioni formali all'associazione Futura, titolare del simbolo elettorale. La prima cosa da fare è aprire il tesseramento, le “iscrizioni” a questa associazione di cultura politica e impegno sociale. Come tale resterà, non facciamo un'accelerazione per diventare partito: abbiamo concordato tutti quanti che resti un'associaizone aperta e plurale. Ciò significa che un verde può rimanere un verde e aderire all'associazione, e così per altre appartenenze sociali, politiche, sindacali. Siamo un soggetto che resta movimento più che partito, che conserva questo stile associativo e aperto, non si organizza subito in forma partito o simil-partito ma vuole rimanere un laboratorio politico.

Restiamo movimento più che partito, con questo nostro stile associativo aperto e plurale, che vuole rimanere un laboratorio politico senza fossilizzarsi nella formula partito.

In Alto Adige c'è stato l'ottimo risultato di un'altra lista "personale", il Team Köllensperger, al 15% ad appena qualche mese dalla nascita. Lei crede che queste nuove formule – più creative rispetto ai partiti tradizionali, “langeriane” nel riformulare continuamente la proposta politica – siano il futuro della politica? Futura si inserisce in questo filone, ovvero cambiare a ogni appuntamento elettorale, senza ricadere nelle dinamiche partitiche che citava all'inizio?

Credo nella modularità della presenza agli appuntamenti elettorali. La scelta di rimanere un'associazione aperta e plurale, come ci hanno chiesto di rimanere i Verdi, credo vada in questa direzione. Non fossilizzarsi in una formula partito che poi è sempre escludente e tende ad avere subito delle regole rigide per cui “chi è fuori è fuori, chi è dentro è dentro”, ma restare abbastanza aperti a un'elasticità di partecipazione alle varie occasioni che si presentano dal punto di vista elettorale.

Anche in Consiglio regionale si potrebbe prospettare per lei una collaborazione coi Verdi sudtirolesi, grazie all'elezione della componente verde della sua lista?

Penso che questo sia non solo possibile, ma necessario per noi. Anche perché ritengo assolutamente premature le ipotesi provenienti dal PD trentino di un gruppo consiliare comune per quello che era stato il centrosinistra (senza gli autonomisti) in questa campagna elettorale. Mi sembra un abbraccio innaturale, se non mortale, per noi. Il PD ha i suoi problemi e glieli lasciamo gestire volentieri. Noi non c'entriamo. Viceversa, un asse regionale ci vuole in senso democratico, federalista, europeo e non solo ambientalista, che credo garantisca il rapporto con i Verdi del Sudtirolo. A noi – a me in particolare – interessa davvero molto, ci credo.