Gesellschaft | Migranti

L'etica della migrazione

La migrazione globale è una delle maggiori sfide per molte società con un alto livello di prosperità e sicurezza. Alcune riflessioni di Alfred Ebner.
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Foto: Free on Pixabay

La persecuzione politica, la violenza militare e le difficoltà economiche stanno facendo in modo che un numero sempre maggiore di persone lasci le proprie case e cerchi altrove migliori condizioni di vita. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) stima il numero di sfollati forzati nel mondo in 65,3 milioni nel solo 2015. Non si intravede una soluzione, a breve termine, delle cause della migrazione e i problemi ecologici emergenti suggeriscono che ci possiamo aspettare ulteriori movimenti migratori. L'onere principale per l'alloggio e l'assistenza alle persone in fuga dalla violenza o dalla povertà è senza dubbio a carico degli Stati confinanti alle zone di crisi. Sebbene molte delle persone colpite non abbiano i mezzi finanziari per uscire da queste regioni, anche le società ricche devono affrontare una crescente pressione migratoria.

Questo è probabilmente uno dei motivi per cui, a partire dagli anni '70, c'è stata un'ampia discussione etica e morale sull'immigrazione, dalla quale sono nate diverse posizioni teoriche. La controversia si concentra principalmente sulla questione se - e, in caso affermativo, in quale misura - gli Stati sovrani siano obbligati ad aprire le loro frontiere ai migranti. A causa dei molti fattori in campo, affidarsi esclusivamente a principi etici non fornisce però una soluzione concreta. Tuttavia, è necessario definire chiaramente i concetti di base nel dibattito pubblico. Dichiarazioni chiare per la comprensione del problema sono necessarie. Cosa si intende, per esempio, per un rifugiato? E cosa è un migrante? Da un punto di vista puramente accademico siamo quasi tutti migranti, ma non rifugiati. Per gli etici ci sono solo migranti, perché anche i rifugiati sono migranti. Ma certamente non tutti i migranti sono rifugiati. Qual è la differenza tra le persone che fuggono dalla guerra e quelle che muoiono di fame? E perché il siriano che viene dalla Turchia o da un altro paese terzo verso la Germania non è più un rifugiato? Come è evidente è molto difficile tracciare confini chiari anche affrontando in maniera realistica e razionale l'argomento. Naturalmente, aprire le frontiere a tutti coloro che desiderano immigrare sarebbe una soluzione definitiva per sciogliere il dilemma.

Eppure queste definizioni hanno già una sfumatura etica. La disponibilità ad aiutare i rifugiati è più esplicita che per i migranti che danno sempre l'impressione di ricercare il proprio vantaggio. E' un dato di fatto, però, che il diritto fondamentale di entrare nel territorio di un altro Stato e di stabilirsi temporaneamente o permanentemente non è incluso in nessun documento sui diritti umani rilevante ai fini del diritto internazionale. Anche la Convenzione di Ginevra sui rifugiati limita il concetto di rifugiato alle persone che, per fondato timore di persecuzioni, si trovano al di fuori del paese di cui hanno la nazionalità. L'espulsione o il respingimento dei rifugiati è vietato se accompagnato da una minaccia alla loro vita o alle loro libertà. Anche in questo caso, le interpretazioni differiscono a seconda delle scelte politiche di uno Stato. Chi proviene da una zona dove è in atto una guerra civile non è un rifugiato. E' giustificabile, poi, dal punto di vista etico o umanitario, espellere persone che hanno vissuto a lungo in un paese contro la loro volontà di tornare al proprio paese?

Anche la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo parla solo del diritto di lasciare il proprio paese e di tornarci, di chiedere asilo in altri paesi e del diritto di cambiare la propria cittadinanza. Il diritto di lasciare il paese è certamente importante, ma senza il diritto di ingresso e di soggiorno è solo un diritto a metà. Il diritto d'asilo comunque non è oggetto di discussione come principio. In molti paesi, tuttavia, quest'ultimo soffre sempre più di interpretazioni restrittive o viene semplicemente ignorato. Sta diventando sempre meno diffusa l'accettazione nei paesi economicamente sviluppati degli immigrati. Ad esempio, i rifugiati provenienti da regioni in crisi sono sempre più spesso etichettati come rifugiati economici.

A mio parere, tuttavia, in linea di principio, la politica migratoria dovrebbe essere orientata in modo tale da non aggravare le disuguaglianze sociali nel paese ospitante, da non mettere in pericolo lo stato sociale e da essere accettata da tutti gli strati della popolazione. In caso contrario, vengono agevolate forze populiste nazionaliste e di destra, la cui forza può minacciare la democrazia nel suo complesso. Che questa non è solo teoria si può chiaramente vedere dagli sviluppi politici degli ultimi anni.

Nonostante tutto in democrazia non si può agire contro la volontà del popolo, ovviamente senza violare i principi etici fondamentali. L'unica soluzione sarebbe cambiare l'opinione pubblica, ma questo è di solito un processo lungo con un esito incerto. I politici tendono, infatti, ad adattarsi all'opinione pubblica, piuttosto che cercare di cambiarla. Dare risposte semplici a questioni complesse porta a un numero maggiore di voti, che ragionamenti etici complicati. Parlare di sogni crea più consenso che essere confrontati con la cruda realtà.