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“Piste da sci, ecco l’impatto sui prati”

Sara Casagrande e le novità della sua ricerca, al femminile: la neve artificiale riduce la diversità delle piante e cambia i pascoli, ma può essere resa più sostenibile.
Sara Casagrande Lub turismo invernale piste sci
Foto: Itap spa/L. Hechenblaikner

 

Una grandissima soddisfazione, dopo tanto lavoro. L’università di Bolzano mi ha dato autonomia e questo è un incoraggiamento per tutte le giovani ricercatrici”. Sara Casagrande Bacchiocchi, 30 anni, dottoranda della Lub, ha appena ottenuto la pubblicazione della sua ricerca sulla rivista scientifica internazionale Science of the Total Environment. Uno studio che riguarda da vicino un tema molto attuale, per l’Alto Adige e non solo: la sostenibilità del turismo invernale alla luce del cambiamento climatico. Qual è l’impatto della neve artificiale - è uno dei quesiti da cui è partita l’indagine - sul suolo montano? E sulle piante dei prati alpini? Ancora, come si possono gestire gli impianti da sci in modo più ecologico? Le risposte della ricercatrice, in questa intervista che chiude la settimana dell’8 marzo su salto, aprono scenari inediti e non per forza negativi.

Una grandissima soddisfazione, dopo tanto lavoro. L’università di Bolzano mi ha dato autonomia e questo è un incoraggiamento per tutte le giovani ricercatrici

 

 

salto.bz: lo studio si intitola “L’impatto della gestione delle piste da sci sulle superfici prative montane delle Alpi”. Un progetto avviato per capire i reali effetti dell’innevamento artificiale, sempre più diffuso anche in Alto Adige?​

Sara Casagrande: in parte sì. La premessa è che a causa dell’aumento delle temperature osservato negli ultimi decenni, delle alterazioni del regime delle precipitazioni e della conseguente elevata variabilità della durata del manto nevoso, il numero di aree sciistiche con innevamento naturale sta diminuendo e costringendo i gestori delle aree sciistiche ad un uso intensivo della neve artificiale, che può avere caratteristiche chimiche e fisiche diverse. Visto che la neve svolge un ruolo cruciale nell’ambiente alpino-subalpino e montano nel creare condizioni adeguate per lo sviluppo delle piante, controllando temperatura e umidità del suolo, abbiamo voluto analizzare le possibili modifiche a tale sviluppo.

Visto che la neve svolge un ruolo cruciale nell’ambiente alpino e montano nel creare condizioni adeguate per lo sviluppo delle piante, abbiamo analizzato i cambiamenti prodotti dalla neve artificiale

Ci sono state difficoltà nell’analisi?​

Nel mio studio, che si è svolto all’interno di un progetto di dottorato della Libera università di Bolzano con la dottoressa Camilla Wellstein e il docente Stefan Zerbe, eravamo interessati a valutare l’impatto della pista da sci sulle proprietà chimiche e fisiche della neve, sul suolo e sulla vegetazione di prateria. È stato difficile isolare l’effetto della neve artificiale poiché su una pista da sci ci sono più elementi che possono contribuire ad alterare la vegetazione. Per questo più che valutare l’impatto della neve artificiale abbiamo misurato per intero l’effetto del “sistema pista”. In questo studio ci siamo anche chiesti se fosse corretto generalizzare l’effetto delle piste da sci, poiché in Alto Adige coesistono due diverse strategie di gestione degli impianti.

Qual è la differenza? ​

Grandi e medi comprensori sciistici, che hanno sufficienti risorse economiche e umane per estendere la stagione sciistica fino a 5 mesi, mentre i piccoli comprensori sciistici locali hanno limitate risorse che non consentono una stagione sciistica più lunga di 2-3 mesi. Abbiamo quindi voluto verificare se questo impatto variasse tra medi e piccoli comprensori sciistici. 

Abbiamo selezionato 4 impianti sciistici, uno medio-grande, Ski Center Latemar, e 3 piccoli  - Jochgrimm, Villnöss e Petersberg - che sono stati analizzati insieme. In un inverno secco, quello 2016-2017, che rappresenta i futuri scenari climatici

 

Che ambiti territoriali sono stati scelti?​

Abbiamo selezionato 4 impianti sciistici, uno medio-grande, Ski Center Latemar, e 3 piccoli  - Jochgrimm, Villnöss e Petersberg - che sono stati analizzati insieme. Abbiamo scelto solo zone dolomitiche e gli ski resort sono stati scelti in base alla disponibilità dei proprietari nel partecipare alla ricerca. Sono stati esclusi i “grandi”, ovvero val Gardena, val Badia e Plan de Corones perché all’estero sono già state fatte ricerche sui grandi impianti. In Italia questo argomento è ancora poco trattato, ma svolgere lo studio in aree sciistiche di dimensioni diverse era un ulteriore elemento di novità. Un’ulteriore elemento nuovo di questo studio è che si è svolto nell’inverno 2016-2017, un inverno particolarmente secco e che ben rappresenta i futuri scenari previsti dai modelli climatici.

 

 

 Negli highlights dello studio si dice che “i parametri della neve e del suolo differiscono tra le piste e le aree circostanti”. Cosa significa?​

Abbiamo trovato differenze significative nella densità della neve sulla pista e fuori, un valore che influenza la temperatura del suolo. La concentrazione di alcuni cationi, soprattutto calcio e magnesio, è risultata 5 volte più alta sulla pista rispetto a fuori, con modifiche all’elettroconduttività e al pH della neve e del suolo. È importante specificare che non stiamo parlando di nulla di “dannoso”, non vengono assolutamente utilizzati additivi chimici. Tuttavia, bisogna spiegare che le piante di alta quota sono particolarmente sensibili e hanno bisogno di caratteristiche del suolo specifiche per crescere, e alterarle significa cambiare l’habitat di alcune specie che poi non possono più crescere lì. La neve artificiale non è meglio o peggio di quella naturale, è semplicemente acqua diversa, perché viene prelevata da fiumi dolomitici (quindi ricchi di calcare) e da bacini idrici e per forza è diversa dall’acqua piovana.

La neve artificiale non è meglio o peggio di quella naturale, è semplicemente acqua diversa. E bisogna spiegare che le piante di alta quota sono sensibili, con condizioni differenti nello stesso luogo non possono più crescere

Ancora, si legge che “l’impatto sulla vegetazione è molto più forte nelle medie che nelle piccole stazioni sciistiche”. Significa che per il turismo invernale, se lo si vuole sostenibile, “piccolo è bello”?

Esatto, significa che non voler per forza estendere la stagione sciistica da novembre ad aprile, ma concentrarla in pochi mesi significa utilizzare meno neve artificiale e “stressare” meno il terreno, perché tutte le attività sono più ridotte. È sicuramente più sostenibile per l’ecosistema, se consideriamo che comunque la neve naturale sarà sempre meno in futuro, soprattutto alle quote del mio studio.

Fuori dalle piste del comprensorio di medie dimensioni abbiamo trovato un numero minore di piante rispetto a fuori e meno biomassa. E se parliamo di impianti da sci sostenibili, certamente “piccolo è bello”. Le strutture che aprono per poco tempo stressano meno il terreno

 

La riduzione della ricchezza, ovvero il numero, delle specie nelle aree delle piste da sci è l’effettivo risultato della ricerca? O ci sono altre cose da aggiungere?​

Per riassumere, noi abbiamo ravvisato due elementi principali. Primo, che le temperature del suolo sono più basse sotto la pista da sci, ma solo in presenza di neve naturale fuori. Secondo, nel comprensorio medio, sulla pista, rispetto ai controlli fuori pista, abbiamo registrato minore biomassa vegetale, che è una quantificazione della produttività delle piante e del suolo, e minore numero di specie, c’erano in altre parole meno specie sulla pista rispetto a fuori. Per riassumere con una frase, la composizione floristica era alterata, ma gli effetti erano maggiori nel medio comprensorio rispetto che nei piccoli. I nostri risultati sono comunque più contenuti di quelli che riguardano altri grandi comprensori sciistici in Europa.

La pista da sci ha un impatto sulla vegetazione di montagna, anche sulla qualità dei foraggi, e  sarebbe auspicabile evitare di fare piste in aree con vegetazione ad alto valore conservativo. Noi abbiamo mostrato che ci sono pratiche di gestione degli impianti più sostenibili, come la concentrazione del periodo di innevamento in pochi mesi

Stando all’articolo, avete notato una riduzione della ricchezza di specie del 20% nelle zone delle piste da sci del medio comprensorio. Per una persona comune sembra poco. È al contrario un fenomeno di cui ci si deve preoccupare?

Il nostro studio mostra un cambiamento in atto sulle piste rispetto a fuori, ma non sono dati allarmanti. Il messaggio che vogliamo mandare è che la pista da sci ha un impatto sulla vegetazione di montagna e che sarebbe auspicabile evitare di fare piste in aree con vegetazione ad alto valore conservativo. Se cambiano le piante, possono impattare anche i servizi ecosistemici, come la qualità dei foraggi ad esempio. 

 

 

Sono emersi degli spunti per la gestione del turismo invernale altoatesino, per renderlo più “amico della biodiversità e dell’ambiente”?

Io come scienziata riporto i risultati, le applicazioni le decidono gli stakeholders. Quello che è importante è la consapevolezza degli effetti per la futura pianificazione di nuove piste. Noi abbiamo mostrato che ci sono pratiche di gestione degli impianti più sostenibili, come la concentrazione del periodo di innevamento in pochi mesi. Sicuramente bisogna mantenere l’attenzione su certi temi ed è necessario che la ricerca scientifica in questo campo venga sostenuta. 

Soddisfatta della pubblicazione su una prestigiosa rivista scientifica internazionale?

È una grandissima soddisfazione dopo tanto lavoro.

L’università di Bolzano mi ha dato l’opportunità di portare avanti una mia idea in autonomia. Un incoraggiamento per altre giovani ricercatrici che hanno voglia di investire in un loro progetto

Anche perché è un esempio delle opportunità che possono cogliere nella ricerca i giovani, senza distinzioni di genere?​

Posso dire che l’università di Bolzano mi ha dato l’opportunità di portare avanti una mia idea in autonomia, nonostante la mia giovane età, e i risultati sono molto soddisfacenti. Questo deve essere sicuramente un incoraggiamento per altre giovani ricercatrici che hanno voglia di investire in un loro progetto.